Nazario Pardini. Alla volta di Lèucade. Baroni. Viareggio. 1999 |
Non ciurlavano nel manico le madri
I SASSI DI LEUCADE |
Non
ciurlavano nel manico le madri
stanche e
disfatte. Avevano nel seno
una serpe
infedele del colore
della terra
invernale. Carezzavano
solchi
bislunghi al tremito di foglie
verdognole
e gelate, per intere giornate,
senza sole,
perdendo tramontana
se la
civetta non falcava le ali
tra le rame
dorate. E non ciurlavano
nel manico
la sera alle faccende
tra le
pareti smosse dalle lingue
di fascine
affocate. L’ora tarda
restavano a
pensare: - Per domani
è questo il
pranzo.
- Ma non attecchivano
il pranzo
con la cena. Non avevano
il coraggio
persino di dormire
se
guardavano languide che il fumido
tepore di
lenzuola sul caldano
sortiva
umor di pino. Ripetevano:
- La scuola
al primo posto - poi smettevano
senza finire
mai quel bel discorso
paesano;
senz’altro lo facevano
per non
sottrarre alla terra il valore
di pagano
rispetto che nutrivano
(era
mentalità d’altronde in casa
dei paesani
che, se non sporcavi
le mani con
la terra, tu eri quasi
un da niente). E proprio fino in fondo,
un da niente). E proprio fino in fondo,
con gli
occhi alla campagna abbandonata
dalle fughe
in città, mi ripeteva
mia madre: - Tutto è vuoto! Non si semina
più quel bendiddio. È tutto un abbandono.
più quel bendiddio. È tutto un abbandono.
Che cosa
mangeremo nel futuro.
Più nessuno
lavora. - Mi ricordo
che il mio
campo si apriva tanto lungo
al
maestrale o alla tramontana
che ancora
porto il gelo dentro il ventre.
Ma è
l’animo che sgela tutto quanto,
se evadono
da oggetti i volti aperti
di tutti
noi accalcati a un tavolone
cadente giù
con orli di tovaglie
ricamate di
trine per le feste.
da “Alla
volta di Lèucade” , Viareggio, 1999
Scusatemi se non entro nel merito artistico di questi versi, peraltro meravigliosamente pardiniani....qui altro mi ha profondamente commosso.
RispondiEliminaE' un inno cantato con gli accenti e le parole di una Toscana contadina che ai nostri giorni sembra un'invenzione.. I versi hanno il profumo dei camini accesi....del letto riscaldato col "trabiccolo"...l'eco di una povertà ricca di sapienza...
Vero! Le madri "non ciurlavano nel manico" la sera , quando a fine della giornata di fatica si "lambiccavano il cervello" per l'avvenire dei figli, così come per il" desinare" da mettere in tavola il giorno dopo.
Eppure, quale indimenticabile tesoro della memoria quel : "....tutti noi accalcati a un tavolone/ cadente giù con orli di tovaglie/ ricamate di trine per le feste."
Carissimo Poeta, caro amico e Maestro, non solo i tuoi occhi oggi hanno i "lucciconi"!
Grazie! Edda Conte
Questa lirica è l'Esempio del tempo che è stato e che nonostante la fame, il gelo, la povertà, era reso sereno dallo stare vicini, dal condividere le situazioni e la speranza. L'immagine del 'tavolone /cadente giù con orli di tovaglie/ ricamate di trine per le feste" è struggente, denso del pathos che molti dei nostri parenti ci hanno trasmesso... e che spesso non siamo stati volenterosi nell'ascoltare... Chissà perchè la lettura di questi versi incide più di manciate preziose di ricordi. Credo sia merito della maturità, della consapevolezza che le mancanze sono quasi sempre quelle interiori, che il tempo può lenire certe sofferenze e accentuarne altre. In questi giorni vicini alla Pasqua calarci nell'affresco di Nazario equivale a riflettere sui valori. Il materialismo e le vicende di ordinaria follia ci stanno rendendo sordi e muti. Lui invita ad ascoltare l'Amore, quello del coraggio, della mesta fiducia nel domani, della casa come topos attorno al quale giravano le vite. Molte cose sono cambiate. Coloro che digiunano restano troppi, ma sono altrettanto numerosi coloro che praticano il culto dell'esagerazione, del 'tutto e subito', del consumare il cibo e, purtroppo, i sentimenti.
RispondiEliminaLa poesia evoca i classici della letteratura, commuove e invita a riflettere e a non lamentarsi.
Un grazie immenso al mio Nazario che abbraccio con l'Anima e cari saluti e auguri agli ospiti del suo magico Scoglio.
Maria Rizzi