mercoledì 10 aprile 2019

MARIA RIZZI LEGGE: "I DINTORNI DELLA SOLITUDINE" DI N. PARDINI



Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade

        I DINTORNI DELLA SOLITUDINE



Nella Silloge del Professor Nazario Pardini “I dintorni della solitudine” di Guido Miano Editore, pur confermando le tematiche che gli sono congeniali, l’Autore scrive pagine tra le più alte del suo tesoro poetico e vi si può apprezzare lo splendore opimo e prezioso di un discorso, sempre sostenuto da una verseggiatura fluida e modulata, che attinge, con magistrale modernità al metro classico. I quadri presenti nella Raccolta sono figurativi, non soggetti a rilevanti deformazioni rappresentative, e vengono introdotti spesso da un caleidoscopio di immagini. Passano dinanzi ai nostri occhi le stagioni vissute, i canti dedicati alla natura e un album di progetti attuali densi di pathos, che rappresentano l’Uomo in viaggio e non di ritorno dall’avventura dell’esistenza.
E’ rilevante l’atteggiamento, che si potrebbe definire francescano, per le creature della natura, come i piccioni, i papaveri, i girasoli, le rondini, unita alla valorizzazione della loro umiltà e quasi a un religioso rispetto. Il Poeta sembra sottolineare quanto noi uomini, distratti da aspirazioni e preoccupazioni diverse, non abbiamo tempo, né amore sufficienti per prestare loro il dovuto riconoscimento.
Immenso il suo amore per il mare, che nella lirica “La solitudine del mare” si esplicita, in quanto il mare diviene protagonista assoluto, con l’ampiezza del proprio respiro, le storie che ha raccolto e raccoglie nel suo eterno, libero e infinito scorrere, e le domande che si pone sull’universo che gli è sconosciuto: “quello che fuori esiste / e che mi è ignoto”.
Scorrendo le varie liriche dedicate a questo elemento ho pensato a
Baudelaire: “Uomo libero amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio /contempli la tua anima nello svolgersi infinito della tua onda”.
Le figure familiari rendono il Professor Pardini un magico Poeta del tempo, degli eventi che lo hanno attraversato. La sua esistenza e tali elementi memoriali formano un repertorio di simboli. - la giacca, l’aratro, il fratello, il padre -, che scorrono dinanzi ai nostri occhi con potere intimistico e struggente. Sono le vicende di ognuno, ma l’Autore sa renderle uniche, grazie ai suoi accenti memorabili, alla voce appassionata, commossa e, senza ombra di dubbio, autentica.
La saudade, cara al Poeta, è presente in questa Silloge d’amore, di dolore, di saggezza e di levità. Egli darebbe, forse, la luce del suo tempo attuale , per rivivere un minuto di quelle stagioni trascorse: “è il gioco della vita/ che se ti lascia tu ti trovi solo/ senza sapere perché ti sia sfuggita”. – tratto da “Giocarsi il mare”.
Dopo le liriche troviamo il capitolo storico, che sembra interrompere i canti ed è scritto dall’Autore in forma di Dialogo tra la Storia e Leonida. Io l’ho vissuta come una sorta di guado per arrivare al Poemetto finale “Verso la luce”. Un passaggio che ha carattere di svolta in direzione della realtà sociale, della Storia, infinita come il mare, e di Leonida, finito e imperfetto come ogni uomo. Il Dialogo rende l’idea di un anti - eroe, simile al Nostro e a tutti noi,  che pur avendo conosciuto carnefici, vittime, campi di battaglie, afferma la volontà di pace e sembra aderire  tragicamente al momento storico che l’intera Europa attraversa.
Originale e ricco di vigorose e solenni compenetrazioni di immagini il Dialogo spalanca la porta al Poemetto che chiude la Raccolta.
In esso il Poeta evoca il cammino dantesco, anche se, in realtà, procede a ritroso nel tempo, penetra nell’essenza del proprio vissuto, degli amori mai dimenticati e, rispettando l’estetica del bello, sublimando i sentimenti, torna alla luce che bramava,
‘quella di casa sua’.
Una chiusa che rende il testo un vero e proprio romanzo in versi e ci rende salvi… almeno per il tempo di magico surplace della lettura.

 Maria Rizzi  


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