Maria Rizzi, collaboratrice di Lèucade |
I DINTORNI DELLA SOLITUDINE
Nella
Silloge del Professor Nazario Pardini “I dintorni della solitudine” di Guido
Miano Editore, pur confermando le tematiche che gli sono congeniali, l’Autore
scrive pagine tra le più alte del suo tesoro poetico e vi si può apprezzare lo
splendore opimo e prezioso di un discorso, sempre sostenuto da una
verseggiatura fluida e modulata, che attinge, con magistrale modernità al metro
classico. I quadri presenti nella Raccolta sono figurativi, non soggetti a
rilevanti deformazioni rappresentative, e vengono introdotti spesso da un
caleidoscopio di immagini. Passano dinanzi ai nostri occhi le stagioni vissute,
i canti dedicati alla natura e un album di progetti attuali densi di pathos,
che rappresentano l’Uomo in viaggio e non di ritorno dall’avventura
dell’esistenza.
E’
rilevante l’atteggiamento, che si potrebbe definire francescano, per le
creature della natura, come i piccioni, i papaveri, i girasoli, le rondini, unita
alla valorizzazione della loro umiltà e quasi a un religioso rispetto. Il Poeta
sembra sottolineare quanto noi uomini, distratti da aspirazioni e preoccupazioni
diverse, non abbiamo tempo, né amore sufficienti per prestare loro il dovuto
riconoscimento.
Immenso
il suo amore per il mare ,
che nella lirica “La solitudine del mare” si esplicita, in quanto il mare
diviene protagonista assoluto, con l’ampiezza del proprio respiro, le storie
che ha raccolto e raccoglie nel suo eterno, libero e infinito scorrere, e le
domande che si pone sull’universo che gli è sconosciuto: “quello che fuori
esiste / e che mi è ignoto”.
Scorrendo
le varie liriche dedicate a questo elemento ho pensato a
Baudelaire:
“Uomo libero amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio /contempli la
tua anima nello svolgersi infinito della tua onda”.
Le
figure familiari rendono il Professor Pardini un magico Poeta del tempo, degli
eventi che lo hanno attraversato. La sua esistenza e tali elementi memoriali
formano un repertorio di simboli. - la giacca, l’aratro, il fratello, il padre
-, che scorrono dinanzi ai nostri occhi con potere intimistico e struggente.
Sono le vicende di ognuno, ma l’Autore sa renderle uniche, grazie ai suoi
accenti memorabili, alla voce appassionata, commossa e, senza ombra di dubbio,
autentica.
La
saudade, cara al Poeta, è presente in questa Silloge d’amore, di dolore, di
saggezza e di levità. Egli darebbe, forse, la luce del suo tempo attuale , per
rivivere un minuto di quelle stagioni trascorse: “è il gioco della vita/ che se
ti lascia tu ti trovi solo/ senza sapere perché ti sia sfuggita”. – tratto da
“Giocarsi il mare”.
Dopo
le liriche troviamo il capitolo storico, che sembra interrompere i canti ed è scritto
dall’Autore in forma di Dialogo tra la Storia e Leonida. Io l’ho vissuta come
una sorta di guado per arrivare al Poemetto finale “Verso la luce”. Un
passaggio che ha carattere di svolta in direzione della realtà sociale, della
Storia, infinita come il mare, e di Leonida, finito e imperfetto come ogni
uomo. Il Dialogo rende l’idea di un anti - eroe, simile al Nostro e a tutti
noi, che pur avendo conosciuto
carnefici, vittime, campi di battaglie, afferma la volontà di pace e sembra
aderire tragicamente al momento storico
che l’intera Europa attraversa.
Originale
e ricco di vigorose e solenni compenetrazioni di immagini il Dialogo spalanca
la porta al Poemetto che chiude la Raccolta.
In
esso il Poeta evoca il cammino dantesco, anche se, in realtà, procede a ritroso
nel tempo, penetra nell’essenza del proprio vissuto, degli amori mai
dimenticati e, rispettando l’estetica del bello, sublimando i sentimenti, torna
alla luce che bramava,
‘quella
di casa sua’.
Una
chiusa che rende il testo un vero e proprio romanzo in versi e ci rende salvi…
almeno per il tempo
di magico surplace della lettura.
Maria
Rizzi
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