giovedì 18 aprile 2019

CARMELO CONSOLI LEGGE: "I DINTORNI DELLA SOLITUDINE" DI N. PARDINI




Nazario Pardini
I Dintorni della solitudine
 
Carmelo Consoli,
collaboratore di Lèucade
 

Dopo la sua ultima impresa letteraria dal titoloCronaca di un soggiornoNazario Pardini torna a deliziare gli innumerevoli  amanti della sua grande poesia ( tra i quali il sottoscritto) con una nuova e ricca silloge dal titoloI dintorni della solitudine”.
Un volume che già nella propria titolazione annuncia orizzonti in cui si insinuano luoghi di intensa riflessione  e canti di un elegiaco distacco dall'umana esperienza, dove il dolce approccio ai ricordi e i ritorni al fiato caldo degli amori vissuti acquietano e allentano, ammorbidendola  di una fine luce dorata, una eclatante e carnale esperienza espressa nelle sue molteplici opere in particolare quelle che vanno dal periodo 1997- 2013.
Nazario Pardini maestro indiscusso del canto magico della natura e del richiamo alla classicità della parola poetica scopre così sempre più la sottile e straziante vena dell'amarezza,  peraltro già presente in Cantici, quella del doloroso avvertimento della fragilità umana e quasi cala un velo soffuso di malinconia che si stende su quel tempo che fu di estasi e godimento ma al tempo stesso ponendosi in cammino verso una luce futura.
Ed allora dai suoi versi, in cui ritroviamo il già noto fascino magico del linguaggio e la sua splendida musicalità, viene fuori un canto che mette in scena la caducità delle cose e il mistero della vita sospesa nella brevità del  tempo, legata al miracolo della grazia della parola , delle forme vitali e che si fa solitudine nell'atto della presa di coscienza della vicinanza di un distacco vitale.
La solitudine nella poesia  di Pardini  è magnificamente descritta nelle sue multiforni espressioni e tutto viene traguardato con il suo filtro sia che si tratti  di luoghi, cose o persone dandoci la sensazione che questa sua ulteriore opera contenga per ogni singola lirica un'addio malinconico ai luoghi e ai tempi di un vivere edenico.
Ma non è così in quanto, la sua, non è mai una condizione di decadimento psicofisico, una sorta di deluso distacco dalla vita, bensì un forte arricchimento interiore, una fase esistenziale preparatoria a quell'incontro di luce che dovrà avvenire e che si materializza  sin dalla prima poesia “L'ultimo autunno”.
La poetica pardiana è stata sempre animata da un grande afflato di amori e speranze, una esistenza da vivere con gioia ed entusiasmo  ma anche nel pensiero umile  del transuente, del viaggio travagliato attraverso i mari tempestosi del tempo mortale.
Ma in  questo suo ultimo volume più che mai si riscontarno densità di concetti e meditazioni sull'uomo e sul suo moderno travaglio ed è il suo ragionare sul tempo che resta, su quello stare sul filo appunto della solitudine finale  a vincere,  dove la bellezza della creazione si fonde con il grande volo verso l'Oltre e il poeta con la solita grande maestria tenta recuperi esistenziali, visioni idilliache, tutta la gamma delle sue armonie d'anima vissute da cui alla fine traspare la sua inqiuetudine ed amarezza per il venir meno, attraverso la morte, di tutte quelle bellezze creative di cui l'uomo è attore e spettatore.
Ed ecco che ritornano negli originari smaglianti arcobaleni l'amato fiume, ( splendida la lirica “ Verso la foce),  e tanti particolari che si rianimano come una giacca, un aratro, uno stradone, tutto lucidamente rivisitato, come pure immensità d'orizzonti e visioni splendide di un paese dimora e rifugio d'amore riappaiono.
Tutto quindi diviene memorabile flash-back dalle case, ai fiori, alle campane.
Tutto si fa vera poesia come afferma nella lirica :”L'incendio dei papaveri (II)”- /Solo se/  davanti a quell'incendio o a quel mare,/ scoprimmo un sentimento parallelo/ai colori in questione, o vivemmo/un incontro emotivo di stagione,/ tale stato d'animo ritorna/ in scene tanto vive; solo allora/l'immagine si fa cotta a puntino/ per tramutare il fuoco in poesia..../”
Il messaggio finale che chiaramente lancia Nazario Pardini va verso la sua ricerca della luce, ne fa proprio un poemetto che pone al termine della sua opera ( Verso la luce), ed è un cammino in stile dantesco verso una sorta di immortalità della vita  nelle sue compenti di bellezza e di grazia  vissute.
Un viaggio in sogno verso un'edenica terra dove le care figure familiari, i luoghi , le solarità e soprattutto l'incontro con Silva la dea della purezza diventano strumenti di chiarificazione e riappropio di quella vera luce che è stato il suo vissuto, non dunque si tratta di una luminosità di un Oltre sconosciuto, ma di quella reale, carnale della sua vita, come scrive: “ / ma pur sempre la luce, quella chiara,/ quella di casa mia.../” che rimarrà in eterno attraverso le  vecchie  ma sempre nuove strade da percorrere.
  
Carmelo Consoli
























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