Sandro
Angelucci. Titiwai. Giuliano Ladolfi
Editore. Borgomanero (NO). 2019
Sandro Angelucci, collaboratore di Lèucade |
Mi è arrivata oggi 28 marzo la nuova plaquette
di Sandro Angelucci pubblicata per i caratteri di Giuliano Ladolfi Editore di
Borgomanero. Opera realizzata con gusto, con passione: elegante, fine,
delicata, maneggevole, e piacevole per forma, impostazione grafica, carta,
impaginazione, caratteri, con in quarta un lacerto tratto dalla attenta e
profonda prefazione di Franca Alaimo, di cui tutti conosciamo la valenza
critica, e con in copertina un cielo stellato che tanto ci dice di ricerca, di
odeporico slancio verso la luce dalle latebre della notte; di esseri
simbolicamente “reietti” ma che trovano la forza di tramutare la volta di una
grotta in cielo notturno coi loro segnali luminosi:
Esistono
le stelle sotto terra.
Lo
sapevate?
Nelle
grotte del distretto di Waitom.
(…)
Sono
larve che emettono bagliori
sulla
scala degli azzurri.
(…)
I Maori
li
chiamano titiwai.
A me
piace pensare significhi stupore
e tutte
le parole
che
inventano i bambini.
Una simbologia attinente a tutto il corso della
narrazione; di una pièce di eponima
valenza che ci introduce in un canto tanto poetico quanto le stelle e tanto
luminoso quanto la luce del sole. Poesia che io avrei messo all’inizio del
testo per la sua portata di prodromica simbologia, dacché l’Autore è in quel
cielo, fra quelle luccioline di catartica intrusione, di epifanica elevazione
come lo è tutta la poesia tesa a raggiungere la spiritualità di Madre Terra,
partendo dalla materialità di cui ogni uomo è intriso. Ma a elevarci è soprattutto
la distribuzione lineare del contenuto; le spinte emotive che trascinano il
nostro Sandro sugli alti livelli della melodia che si riverbera in un canto“splendidamente monotono”, come sapeva dire, da par suo,
Cesare Pavese della poesia. C’è l’amore, la vita, la parola, e ci sono le
callidae iuncturae di cui Sandro è maestro. Ed è con quelle che riesce a
reificare le vertigini dei suoi abbrivi: tutto si fa canto, armonia; leggendo è
come ascoltare una romanza di Chopin tipo Notturno
o Tristezza. I brividi incrinano la schiena, e la gola s’ingroppa, si
chiude o si apre per seguire il saliscendi delle euritmiche assonanze. Sandro
ama la terra, la Madre Antica, la vorrebbe pura, come è nella sua mente ed è
proprio la Terra della sua mente che ci appare in tutta la sua integrità. Ama
il supremo, la Bellezza, l’assoluto, il principio di tutte le cose, che, in una evoluzione diacronica, dovrebbe giungere
fino a noi per stimolarci alla epifanica redenzione umana, lontana da quel
materialismo invadente che corrompe la vita:
(…)
Eppure è
ciò che accade.
I Maori
li chiamano titiwai.
A me piace pensare significhi stupore
e tutte le parole
che inventano i bambini.
(dalla poesia eponima TITIWAI)
(…)
Ed io ti prometto
che con le mie lacrime
neppure una rosa
sfiorirà lungo il deserto
di questa via crucis.
(Via crucis)
Quando persino
l’amore, concretizzato in contorni di panica parvenza (sentiero, rovi, spine,
masso) può tornare selvatico “torni
selvatico… per sentirsi libero”:
Ricordi il sentiero
dove, per la prima volta,
ci
baciammo?
Mi dicono che non si passa più,
che i rovi sono cresciuti
e nessuno
ha
voglia di tagliarli.
Nemmeno io. Nemmeno tu.
Con quelle spine
un tempo ci ferimmo
per arrivare in fondo
a sedere sognanti su quel masso.
Torni selvatico
Ciò che viene concepito
e nasca
per sentirsi libero
(Torni
selvatico)
Ed è esemplare
il modo con cui Angelucci riesce ad adattare i brandelli della natura al suo
scrosciare di emozioni. Tutto si fa pulito, visivo, ecfrasticamente energico
nella melodia di audaci rivisitazioni. Vera poesia. Una vicissitudine tenuta in
animo per offrirla alla liricità del canto. Per chi conosce Sandro un
sovraccarico di emozioni.
Comunque non
dovete pensare che il suo sia un credo ecclesiale, va ben oltre, libero e
fattivo, verso quella integrità di cui l’uomo dovrebbe essere cosciente. E
quello che ci commuove e che è piacevole seguire è il suo linguismo. Una
melodia di strumenti a corda e a fiato che si fa compagna del poeta, lo segue
passo per passo, lo accoglie fra le braccia, offrendogli il terreno fertile su
cui far sbocciare i fiori della poesia. Tirare in
ballo E. A. Poe (1809-1840), non è per niente
improprio: pubblicate le sue Poesie nel
1831, nel saggio postumo Il principio poetico definisce la
poesia “creazione ritmica della bellezza”, convinto che “il sentimento poetico
si ottiene nell’unione tra poesia e musica, giacché nella musica, forse,
l’anima raggiunge quasi interamente il grande fine per il quale, se ispirata da
un sentimento poetico, essa lotta… per raggiunge la creazione della Bellezza
Suprema…”. E non lo è, neppure, richiamare l’intervento
di un altro grande: Seneca nelle sue Epistulae
scrive: “Ignoranti quem portum
petat, nullus suus ventus est - Per chi non
sa in quale porto dirigersi, nessun vento è favorevole (Seneca, Epistulae Morales
Ad Lucilium - Libro VIII, LXXI, 3). Nella poesia di Sandro il
vento è favorevole, viene dal monte e spira
verso il mare dove il poeta si inoltra; lo spinge alle spalle per
favorirne l’approdo all’isola del Bello;
è lì che è diretto il suo viaggio; e lo compie sull’imbarcazione dei versi,
generosi, ed empaticamente vicini a ché non si smarrisca. In fin dei conti, una
volta sbarcato, trova in epigrafe, incisa su una pietra del porto, una frase di
Keats: «Se la poesia non
nasce con la stessa naturalezza delle foglie sugli alberi, è meglio che non
nasca neppure.». E lì s’inchina, in devota preghiera, davanti al tempio del dio
che adora:
(Ogni dieci metri)
… Ogni dieci metri
un Dio o ciò che ci resta
trema sotto le stelle
sotto la
volta della sua promessa.
Mentre il prezzo da pagare
esorbita
gratuito ed incombente
si fa il bisogno della nostra morte.
(Il poco (tanto)
che abbiamo)
… Siamo lampi
nella notte infinita
di miliardi e miliardi di stelle.
Nazario Pardini
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