martedì 2 aprile 2019

LUCIANO DOMENIGHINI LEGGE: "I DINTORNI DELLA SOLITUDINE" DI NAZARIO P.


 I DINTORNI DELLA SOLITUDINE” DI N. PARDINI: APPUNTI PER UN’ESEGESI.


E’ tutto un mondo di ricordi, passato ma rimasto vivo nel suo cuore, quello che Nazario Pardini racconta, con sinestesica dovizia di dettagli, nella sua ultima opera poetica, “I dintorni della solitudine”.
Le poesie di tutti i poeti, anche dei più modesti, vanno lette con attenzione e senza urgenza, per  poterne intercettare e penetrare lo spirito loro proprio, per coglierne il clima e l’atmosfera peculiari e distintivi, per trovarne la chiave di lettura.
Questo approccio “di maturazione e di rispetto” è tanto più raccomandabile quando si esaminano quelle di un poeta di vaglia come Pardini e , in particolare, la sua produzione più matura e consapevole dei propri mezzi tanto naturali che acquisiti tramite una militanza letteraria feconda, protrattasi per un’intera vita. Così è per questa raccolta poetica del 2018, edita a ottantun’anni di età, che segna il punto forse più alto e consapevole del suo percorso letterario.
L’opera è divisa in tre parti: la prima consta di 39 liriche “della memoria”, dove l’idillio del presente evoca e recupera sovvenimenti lontani e cari; la seconda, simbolica, storica, è un “Dialogo”fra Leonida e la Storia in cui l’eroe rappresenta l’individuo, come volontà, fama, mentre la storia personifica il destino; la terza, infine, intitolata “Verso la luce” è un polimetro di 176 versi, ricapitolativo, intimistico,riflessivo e perorativo, sul senso della propria vita trascorsa e presente e sui confini dell’esistenza, imminenti e misteriosi.
In quest’opera poetica, sosta meditativa negli anni della saggezza, il poeta toscano si lascia cullare  dalla 
musica aleggiante e riafforante di agevoli endecasillabi, sovente ingemmati in franchi periodi prosastici 
occupanti due o più versi, spesso da emistichio a emistichio, endecasillabi rotondi, suadenti e leggeri, chiamati a dettare la cadenza dominante e a sostenere l’eloquio poetico.
L’impianto metrico pardiniano meriterebbe uno studio approfondito e un’analisi attenta.
Il suo modello-guida è la canzone leopardiana, endecasillabi e settenari. Tuttavia in liriche quasi sempre 
monostrofiche, lunghe solitamente dai venti ai quaranta versi, all’endecasillabo e al settenario si alternano decasillabi singoli o a gruppi brevi oppure dodecasillabi isolati ma, eccezionalmente, compaiono anche altre misure. Perciò il suo metro abituale potrebbe definirsi “polimetro a canzone leopardiana dominante”.
Vanno segnalati altresì l’accostamento, o meglio, la compenetrazione di metro e prosa, l’alternanza dei toni dell’eloquio poetico, dal conversante, al colloquiale (anche in forma diretta), a passaggi letterariamente più ricercati e rifiniti, la sicura invenzione metonimica e metaforica, le corrispondenze fonetiche anche con un impiego, sebbene intermittente, sporadico e incidentale, delle rime. Il suo linguaggio, pur non essendo ostentatamente “totale”, appare come eclettico e compilativo, con l’evidente intenzione di estenderne facoltà espressive. Poesia composita e articolata dunque, a ben vedere complessa, ma ( e qui emerge il magistero compositivo del poeta)  sempre coesa e fluida, schietta, comunicativa, governata da un equilibrio e da una misura e, in definitiva da un gusto, che la tutelano da scadimenti iperbolici e gratuite ridondanze. Il colore dominante è quello elegiaco ma è un’elegia sommessa, colloquiale,contenuta, pacata, che sgorga da sé medesima, spontaneamente, quasi suo malgrado, da una realistica lettura dei ricordi.
Accanto a quello narrativo evidente è poi il talento descrittivo, tanto d’insieme che di particolare; 
notevolissimi, ad esempio, la pittura naturalistica, sinestesico-dinamica, della “Piena del Serchio” o il breve asindeto, sospeso, immerso nella luce, morandiano, che apre “Senza una meta” (“ Quasi alla fine il tempo che ci è dato: uno spicchio di mare, una canzone,/ un viale d’autunno in un tramonto….”).
Per toni e per temi e per la forte componente narrativo-descrittiva dell’esposto, il modello di riferimento è Pascoli.
Pascoliana della più bell’acqua, ad esempio, è “Voci di campane”, miniata pascolianamente nella pertinenza della terminologia botanica dell’esordio (“ Gli equiseti, il vilucchio, la gramigna / affollano la piana/…), nei successivi primi piani di dettagli d’ambiente e infine nella chiusa, elegiaca e cristiana (“…le voci di campane/ che chiamano i credenti alla preghiera/per qualcuno che è andato oltre la terra).
Valore aggiunto di questa poesia anfibolica, tributaria in pari grado tanto all’armonioisa musicalità del metro quanto alla diretta e gergale facondia della prosa, è la confezione di alcuni virtuosismi metaforici di alta caratura, inediti e suggestivi, oppure anche di talune singolari corrispondenze fonetiche ( “O Caprigliola immersa fra i capricci/ di ulivi centenari…..”).
Nei “Dintorni” il sentimento del tempo ignora i  confini convenzionali di passato presente e futuro, la mente cosciente della giovinezza irrompe nel presente  e la percezione della realtà si arricchisce dei segni della profezia, della visione, del sogno.
L’inventario dei ricordi e degli affetti è residuale ma così è meglio, sembra dirci il poeta, perché solo quello che conta è giusto che rimanga.
 C’e’ un distico di endecasillabi che chiude una lirica che parla del vigneto paterno ormai scomparso ( 
“Disatteso” pag. 53). E’ un momento di alta poesia, imprevisto e indifeso, commovente e commosso, dove bene si vede come per il poeta gli affetti siano il comune denominatore delle memorie, il loro senso, la forza primaria che assimila e riconduce il tempo e gli accadimenti della vita alla dimensione singola, costante, incorrotta, onnicomprensiva dell’affezione, dove tutto, ma proprio tutto il vissuto, diviene un “unicum” transepocale, sempre immanente. Anche il sogno, anche chi non è più:
“Come farò a dirglielo al mio babbo/ Se mi tornasse in sogno questa notte”
Nata dalla solitudine e dalla desolazione che avvolgono  la senilità, la poesia equilibrata e sapiente dei 
“Dintorni”, esprime, con saggia mitezza, con affettuosa, disincantata clemenza, una lucida, universale, assolvente pacificazione, fiorita dalla coscienza e dalla conoscenza del mondo e delle cose.
Nei “Dintorni”, non c’è traccia di enfasi autocelebrativa o di orpelli consolatori, non si rintracciano 
compiacimenti o sensazionalismi.
 L’opera, dal tono conversante e contenuto,  è ispirata e conformata a un genuino realismo che trapela e si palesa nei passaggi prosastici, di corrente gergalità e, malgrado il confine della vita ne sia il motore, 
l’occasione poetica, il suo spirito disdegna qualunque rituale autocommiserativo, qualunque tentazione di iperbole tragica. Persino la tentazione profetica, oracolare, sentenziosa ( le profezie della seconda strofa di “Il fiore” sono in realtà ancora evocazione del doloroso passato della guerra) viene qui governata e, infine, scongiurata dall’onestà intellettuale del poeta che in “La commediola” (P.42) riconosce la forte valenza teatrale della vita, vocata alla finzione. Con lo stesso candore, in “Non chiedermi” (p.46) delinea la sua poetica ( “…Ti posso solo dire delle cose/ che mi sono vicine e che hanno un corpo”) e in “La poesia si scrive” (P. 43) 
dettaglia ulteriormente gli ambiti e le occasioni delle sue epifanie poetiche, concludendo con un distico 
spregiudicato e sorprendente (“E’ l’unico modo per fregare/lo scettro imperituro della sorte”).
Per una volta dagli anni della vecchiezza non sono scaturite penose e sgomente lamentazioni di amari e 
nostalgici rendiconti, ma le parole limpide e sapienti, umili e forti, e per questo incoraggianti e rasserenanti, di chi non ha mai smarrito le ragioni del suo amore.
E’ un piacere e un’occasione leggere le poesie di questo libro ma è ancor più piacevole e istruttivo tornare a rileggerle, perché ad ogni “rilettura”si scoprono bellezze e profondità nuove.

Luciano Domenighini 
(febbraio-marzo 2019)


2 commenti:

  1. È davvero una lettura competente e puntuale questa di Luciano Domenghini, perché “I dintorni della solitudine” di Nazario Pardini si manifestano, attraverso questa chiave interpretativa, in tutta la loro sofferta grazia che una trepidazione senile per le vicende e i tempi della vita (anche per quelli futuri) rende più viva e pervasiva.
    Meraviglia che uno scritto critico di notevole livello come questo sia rimasto fino ad ora senza alcun commento.
    Pasquale Balestriere

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  2. Grazie Pasquale. La mia nota di commento a questi testi poetici straordinari è breve e sommaria, sebbene molto sentita.La poesia di Nazario Pardini meriterebbe un'esegesi più ampia e approfondita.

    Luciano Domenighini

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