sabato 3 ottobre 2020

NAZARIO PARDINI: "LAURA E IL BOSCO DEGLI ULIVI"

Laura e il bosco degli ulivi

 

La vita di campagna l’arricchiva:

si fermava estasiata ad ammirare

il sole che diviso in semicerchi

per metà si dava alle acque 

e l’altra continuava a illuminare

le spiagge circostanti ed i poderi,

dove la luna poi sarebbe scesa

a sfarinarsi sull’argine del fiume.

Là si gustava le scene che il vespero

combinava con la sua malinconia;

era allora che la nuvola dei passeri

rientrava dai voli giornalieri, e lei

ci si mischiava con la mente ed il cuore.

Fingeva di andare lontano, in alto,

indossando le ali degli uccelli.

Le dispiaceva persino strappare

il filo dell’erba,

cosciente di togliergli la vita.

Ne respirava il selvaggio profumo

accostando l’olfatto al prunaio

che arzillo vibrava al vento del mare.

Laura. I suoi occhi di un celeste marino

traevano la profondità

dagli abissi del cielo che trafitto

dal passo degli uccelli, si spargeva

tra i raccolti; fu proprio dal padre

che aveva tratto l’amore per i campi,

e il simbolico senso dei colori:

il rosso del tramonto, il rosa dell’alba,

il buio delle giornate di pioggia.

Chiedeva spesso al padre

perché la natura creasse tante gradazioni:

l’uva rossa, l’uva bianca, l’erba verde,

la luce brillante del sole.

Un giorno il padre le si posò di fianco

con la vanga a tracolla e il viso stanco.

Fece appena a dire: “Mi sento male”

che s’accasciò senz’anima vicino

alla figlia che sbalordita vide

il genitore tramortito a terra.

Pianse e spaventata, chiamò ad alta voce

la madre che in cucina preparava la cena.

Ma tutto fu superfluo; fu la fine.

Toccò a Laura prenderne le veci:

preparare la stalla, mungere, seminare,

raccogliere, pulire, essiccare,

fare conserve e preparare fichi

in zucchero al caramello, la sua specialità.

In certi momenti,

quando il sole si poggiava sulle viti,

vedeva la figura del padre che arcigno

e silenzioso annaffiava i raccolti

col sudore; un sudore che spesso asciugava

alla vecchia maniera,

strusciando il braccio sulla fronte. Allora

Laura si metteva seduta a dialogare

con l’immagine del padre. Piangeva,

e piangeva non tanto per la fatica,

quanto per la solitudine che provava

in mezzo alle distese, senza poter gridare

il suo nome. Sì, un po’ si distraeva

quando una tortora o una garzetta gli

gironzolavano attorno.  Che meraviglia!

Forse era il padre che trasferitosi

nei piumaggi degli uccelli, in licenza,

veniva a trovare la figlia: “Laura,

sono qui”, sembrava dicesse, e lei

si accostava  ai volatili con l’intenzione

di accarezzarli, ma le sfuggivano di mano

e schioccando le ali sparivano nel cielo.

Un giorno Laura si mise a rincorrere

la luna che bella rotonda e luminosa

si sfarinava tra le viti come

latte munto da poco dalle capre.

Corri e corri si trovò vicina al monte

dove non era mai stata; i tanti impegni    

 non le permettevano di viaggiare.

E sul monte cominciò a camminare:

prese una stradetta tra gli ulivi

e in breve si trovò sulla cima.

Da là vedeva il mondo: il lago, il podere,

gli uccelli che piccoli

svolazzavano in cielo ora assiepandosi

e ora dividendosi in tanti rigagnoli.

Udì una voce, sembrava venisse

dall’altro mondo: “Laura come stai?

Sono la voce di tuo padre che abita

nel regno del cielo. Qui in alto,

sul monte vicino alle nubi; figlia

sei giunta, non volendo, nel mio regno,

ed io ti vedo e ti sento; come vorrei abbracciarti,

ma  non posso, posso soltanto parlarti:

non ti perdere sul monte, torna a casa,

le capre hanno bisogno di te.

La cosa che più mi fa triste

è quella di non poterti dare

l’aiuto dei giorni in cui vivevo

accanto al tuo respiro. Vai là,

io ti sono vicino, sempre, con te,

in ogni momento della vita.”.

Si mise in marcia Laura e attraversò

Il bosco degli ulivi; qui si presentò

un personaggio strano, disumano,

a forma di albero nodoso: “Laura,

non ti perdere in questa strada folta,

segui la scia che io ti segnerò; e torna presto

a casa dove tua madre stanca e senza forze

non potrà sopperire a lungo al gran lavoro.

Altri gnomi le si affollarono attorno

 e tutti ripetevano le stesse parole.

Laura camminò più spedita, ma non riusciva

a trovare la strada di casa; a questo punto

l’amica più cara la affiancò,

facendo con lei la strada del ritorno.       

Il lago brillava dei raggi della luna,

la natura era bella, mai come allora,

bevve, si rinfrescò, e chiese ad un passero

di accompagnarla alla sua terra.

Le svolazzava attorno, e cinguettava,

guidandola coi frulli delle ali.

Finché vide sua madre che spargeva

il granoturco alle galline sul cortile.

Abbracciò la madre, e felice, imbracciò

la vanga. La voce di suo padre

dal monte osservava la figlia

non più sola, ma in compagnia di un suono

che il vento di monte le portava.             

3 commenti:

  1. Un sogno, una dolcissima illusione, ma c'è sempre una verità in fondo all'illusione... Laura corre verso una voce amica che la porta fuori da se stessa, la fa evadere dal mondo. Quando tuttavia si ferma per ascoltare veramente quella voce, si accorge che quella le chiede di tornare sui suoi passi, nella sua vita giornaliera, per prendersi cura delle persone e delle cose amate che hanno bisogno di lei. Grande poesia, dove, con tratti sognanti e lievi, altamente metaforici, si svela il vero ruolo della metafisica e della trascendenza.
    Franco Campegiani

    RispondiElimina
  2. Nazario mio, suppongo, come l'amico Franco, che in questa lirica viaggi su un registro fiabesco - onirico, ma al tempo stesso riesci a compiere un operazione stilistica di rara difficoltà. Il tuo potrebbe definirsi un Cantico dedicato a Laura, a questa fanciulla figlia della vita di campagna. Poco importa se sia esistita, conta l'armonia del creato ch'ella respira, 'le scene che il vespero combinava con la sua malinconia', le corse dietro alla luna; 'la nuvola dei passeri (che)
    rientrava dai voli giornalieri' ai quali
    'si mischiava con la mente ed il cuore'. Laura non è felice. In questi versi rotondi, perfetti, tutto si compie con un senso di poesia e di verità difficilissimi da coniugare. Non c'è enfasi. E la morte del padre della ragazza segna l'improvviso cambio di vita, rende l'idea di quanto crescere può fare molto male, in quanto scortica l'anima, dà la consapevolezza di come tutto può cambiare. Tu sei il re della saudade e affreschi la solitudine di Laura mettendo in luce che la presenza degli assenti nella memoria dei vivi sa essere più potente della morte. Questa lirica conferma la mia idea che le eredità sono state inventate dal diavolo, mentre hanno valore le trasmissioni che avvengono in vita. La fanciulla eredita la vanga, il lavoro del padre e il 'suono che il vento di monte le portava'. Quanti messaggi in questo cantico, Amico mio Poeta! Muoversi nei tuoi versi è scivolare in un meraviglioso utero denso di sensazioni, di suoni, di profumi. E' rinascere. Grazie per tanta ricchezza. Ti ho nel cuore!

    RispondiElimina
  3. "era allora che la nuvola dei passeri

    rientrava dai voli giornalieri, e lei

    ci si mischiava con la mente ed il cuore.

    Fingeva di andare lontano, in alto,

    indossando le ali degli uccelli".

    Fantastico il narrare poetico di un vero maestro della parola. Fantastico e allo stesso tempo estatico, realistico e pregno di vite da altri vissute.
    In questo splendido racconto, il Professor Pardini mette in luce e manifesta il suo sapere, la sua immensa cultura e la sua grande e dolce sensibilità. Alcune persone sono un vero e proprio "Patrimonio dell'umanità " e il Prof. Pardini lo è in tutto e per tutto. Un vero e grande patrimonio che spinge a volgere lo sguardo verso l'arte pura e vera. Verso ciò che contraddistingue gli esseri umani da ogni altro essere vivente (in tutti i sensi). Pochi ma buoni anzi, ottimi, eccelsi ed eccellenti sia per quello che fa, sia per quello che dice.
    Troppo bello per essere vero... il sogno, eppure c'è, si muove e, per nostra fortuna, esiste.
    Certo che esisterà per sempre, dolcemente continuo a sognare.
    Grazie, grazie e mille volte grazie.

    Josye Traulcer

    RispondiElimina