Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
Miti e Graphie
Un’opera unica di
Lino Tardia
6 - 26 ottobre 2021
inaugurazione Mercoledì 6 ottobre 2021 ore 19.00
cocktail ayurvedico
Bibliothè Gallery
Via Celsa n 4/5, Roma
dal lunedì al sabato – dalle ore 10,00 alle 20,0
Bhagavat Atheneum
Bhaktivedanta Cultural and Eductional Library
Signum
La rassegna “Signum”
ideata da Francesco Gallo Mazzeo, propone un appuntamento al mese; “Un
artista, una grande opera”. Ciascun evento è presentato da un testo di un
poeta, filosofo, artista, critico, mistico. Con il coordinamento di Enzo Barchi
e il progetto grafico di Mauro Aquilanti.
Lino Tardia
Nasce a Trapani nel
1938. Conseguita la maturità artistica, rifiuta l’incarico di docenza in
Discipline Pittoriche in un liceo artistico di Palermo e si trasferisce a Roma,
dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti. Qui conosce Renato Guttuso, del
quale è prima allievo e poi assistente. Il realismo guttusiano influenza il suo
linguaggio, che inizialmente si concentra sulla realizzazione di paesaggi
siciliani connotati dalla vivacità della tavolozza e dalla pulizia delle linee.
Inizia a esporre alla
fine degli anni Cinquanta e tiene la sua prima personale all’inizio degli anni
Sessanta. Sono gli anni della Dolce vita e Tardia entra in contatto e stringe rapporti di amicizia
con molti dei più noti personaggi dello spettacolo, del cinema e della
cultura. Nella metà degli anni Sessanta, passando per un breve periodo
informale, abbraccia l’idea di una nuova figurazione secondo la maniera di
Francis Bacon, che conosce durante un soggiorno a Londra. In una continua
evoluzione ispirata a una convivenza tra architetture geometriche e profondità
metafisiche, Tardia approda alla ricerca più recente a partire dalla fine degli
anni Settanta. L’esperienza giovanile di assistente agli scavi del sito archeologico
di Mozia, l’antica città fenicia sull’isola di San Pantaleo vicino Trapani,
riaffiora attraverso il ricordo della scultura antropomorfa della Madre
fenicia (V-VI secolo a.C.) il cui plasticismo figurativo, in equilibrio tra
linee arcaiche e stilizzate, ne ispira lo stile pittorico. Temi quali la
memoria, il legame ancestrale con la natura della terra siciliana, il mito
dell’Iliade e dell’Odissea, divengono centrali nel linguaggio
della maturità che si compone non più solo di pittura ma anche di interventi
scultorei applicati sulla tela e realizzati con materiali vinilici esaltati
dalla foglia d’oro zecchino.
Tra le tante mostre in
Italia e all’estero (Londra, Parigi, New York, Chicago, Houston, Ottawa,
Tripoli) si segnalano, come tappe più significative, la personale In viaggio
con i Fenici, presentata nel 1996 alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di
Spoleto e nel 1997 al Convento San Rocco di Trapani, e l’antologica La
scatola dei miti presso il Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma nel
2009. Tardia ha ricoperto, tra il 2001 e il 2008, l’incarico di docente di
pittura presso la RUFA (Rome University of Fine Arts) e del suo lavoro si sono
occupati alcuni tra i più importanti esponenti della critica nazionale. Nel
2003 è stato insignito della Medaglia d’Oro per i Benemeriti della Cultura
della Presidenza della Repubblica Italiana. Lino Tardia vive e lavora a
Ciampino.
MITI
Flessi che sembrano. Riflessi che sono. Incroci che
fasciano aliti. Matematiche forme di spazio. Tutto.
Niente. Mentre saltano sogni e avvolgono
echi, di miti lontani, come
venti, senza ragione, divini.
Templi, arcani fasciami, venti, ventuno, repliche
e colori, balli in maschera, mentre intorno è spazio
concreto, versus, astratto, come un rito, fatto
politono,
intriso, sudore, catrame, pesci
volanti, come sireni.
Sanno, conoscono, salgono, scendono, fanno ritorno
con giri di boa e poeti di corte, in aulo e burlesco,
come torni, di chiavi e
catenacci, leonardi, algebri.
Cantano, muti pregano inerti, come altri, che sanno
d’anabasi, stanchi di Sisifo e destino, divino,
mentre arrivano altri, carichi di tempo e flussi
saperi.
Francesco Gallo
Mazzeo
L'ISOLA PURPUREA
Dolcissimo
approdo questo lido sperduto, quest'acquatica terra appesa ad un eterno occaso.
Sbarcati dai neri flutti, noi rossi fantasmi di bibliti, torniamo alla matria
perduta, all'isola purpurea cosparsa di bètili sacri. Ed erriamo nel tophet dei templi disfatti entro un
dedalo di bifronti miti. L'Essere è il Nulla e il Nulla è l'Essere, legge innocente
e mirabile di ondeggianti equilibri, di ritorni eterni dove ogni fine muore
nell'inizio ed ogni inizio sorge dalla fine. E sempre si riapre il cerchio là
dove si chiude, e tutto muta senza mutare mai. Rinasce dalle proprie ceneri
l'araba fenice e s'avvinghiano Vita e Morte in abbracci stritolanti, s'inchioda
la propulsione centrifuga dei contendenti, l'altera spinta degli opposti di cui
la realtà si compone. Nella camera della
morte, Nonno Bosco troneggia, eroe della mattanza e leggendario rais di tonnara. E sulla riva deserta si
trasforma Eros in Thanatos, mutando gli aquiloni nel becco
adunco d'un rapace, nella testa di un siluro che semina morte, nel sibilo
sinistro del cacciabombardiere. Ma negli occhi stupiti dei fanciulli sempre
rinascono amori e risorgono principi e fate...
Così i cieli
inceneriti nel tramonto si colorano di nuove albe ed arie diamantine. Sempre ha
due facce la medaglia e si capovolge la clessidra nell'aspro e dolce mistero
speculare. Là, nelle terre apollinee, nelle regioni esangui del Nulla da cui
siamo salpati, la vita agonizza in aridi giochi e trionfa la non contraddizione. Ma qui, su queste
rive nascoste, è il contrasto a dominare, il puro scontro, l'antitesi senza
sintesi, la metamorfosi circolare, unica armonia del mondo. E vanno e vengono
le onde della risacca nello scintillio di riflessi dorati. Tutto converge nella
scatola dei miti, icone arcaiche ed echi cronachistici, memorie cosmiche e
stralci di giornale. Così vaghiamo tra questi resti totemici, tra questi cubi
prismatici e magnetici cristalli che catturano corpi celesti, lune e satelliti,
corni e portali. Cosmogonie nuove infiammano il mondo in un rigurgito di punici canti, di leggendari e
arcaici racconti di mare. La Madre Fenicia è qui, da qualche parte, a partorire
e a spezzarsi come il pane, in un germinare inesausto di mondi che muoiono
senza morire e nascono senza nascere mai. E sempre due soli nel cielo e sempre
due lune sul mare. E coppie di opposti a rincorrersi, al di qua e al di là del
mondo, al di sotto e al di sopra, al di dentro e al di fuori...
Franco Campegiani
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