Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
Dina
Ferri (Anqua di Radicondoli
1908 -1930): Quaderno del nulla e altri testi, a cura di Nicoletta
Mainardi, introduzione di Marco Marchi, Firenze, Casa Editrice Le Lettere,
2020.
Vorrei
Vorrei
fuggire nella notte nera,
vorrei
fuggire per ignota via,
per
ascoltare il vento e la bufera,
per
ricantare la canzone mia.
Vorrei
mirare nella cupa volta
fise
le stelle nella notte scura;
vorrei
tremare ancor come una volta,
tremar
vorrei, di freddo e di paura.
Vorrei
passar l’incognito sentiero,
fuggir
per valli, riposarmi a sera,
mentre
ritorni, o giovinetto fiero,
chiamando
i greggi, e piange la bufera.
Morta
prematuramente, dimenticata, Dina Ferri fu un talento naturale, benché il suo sia
un canto incompiuto. La nuova pubblicazione-2020- può condurre Dina
Ferri fuori dalla conoscenza localistica
(senese) e dalle dimenticanze distratte dei letterati specialisti verso il
vasto sensibile pubblico dei lettori che
ne sanno individuare la sua commovente sensibilità, la malinconia, lo stupore
incantato della vita.
Mi
colpisce di questa poetessa la sua prosa, di grande originalità, forza poetica,
che poco deve alle sue fonti libresche poetiche
e ai suoi studi, peraltro limitati. La prosa cantante e luminosa,
spontanea, impressionista e nel contempo simbolica, esprime il suo misterioso
animo poetico in toto, a cominciare dalla passeggiata tra i boschi, terreni
aridi, strade sassose, orizzonti che si espandevano su vasti monti
azzurrognoli, solitudine e silenzi -metafore della vita- fino al rustico paese- Ciciano- fatto
di vicoli stretti e di case deserte, di vecchine che filano e di gerani
assetati…o il ricordo, dall’ospedale, del variare delle stagioni, dell’arrivo
malinconico dell’Autunno…( “No, io non desidero l’Autunno, perché non so
cantare lungo i filari, e non voglio udire il canto della vendemmia, perché la
malinconia di quel canto assopirà le campagne…”) che è l’annuncio sobrio,
misurato inevitabile della morte, del
nulla, pure poeticamente attesa, con la quale ha sublime confidenza: “E sopra
di me passerà l’Autunno e piangerà la bufera. Ma io non udrò, e sognerò la
canicola che imbianca le stoppie.”
Pascoli
di Myricae pare il testo cui fare riferimento, fattole conoscere dalla scuola ,
ma è del tutto involontario: in realtà la sua vita era dedita al pascolo e alle
fatiche rurali prima ancora che agli estetici lavori di ricamo che tanto le
piacevano e poi ci fu “la scrittura rivelatasi per lei lo spazio espressivo
d’elezione: uno spazio impegnativo quanto importante, attraente e in definitiva
ineludibile.”. È protagonista delle sue
poesie e prose il sentimento della natura vissuto
come inquieto piacere ed estatico abbandono “Era bello quel giorno, e nella serenità
dell’aria fredda di marzo, camminavo con un desiderio nuovo. Forse ero stanca,
ma non lo sentivo. E l’orizzonte ingrandiva sempre, e lontano si vedevano
grandi monti azzurrognoli. Si udiva il campano di un gregge, un belato, un
richiamo, poi silenzio. Incontro un viandante, si scambiava un saluto, guardavo
un istante senza voglia di camminare. Dall’alto di un colle si scorgevano in un
campo, dietro un torrente pieno di ciottoli, due buoi aggiogati all’aratro, un
bifolco, una striscia scura di terra. Poi di nuovo la solitudine e il
silenzio…”
Il sentimento inquieto della vita fa tutt’uno col sentimento malinconico della morte :
“Qui, dove la morte alita il suo gelido respiro, non sento più, come costà, la
ribellione della mia giovinezza e non penso più ai peschi in fiore di
primavera. Prima non mi saziavo di sole e di canzoni; ora mi basta quel raggio
che mi tocca la coperta e mi contento del cinguettìo di pochi passeri al
mattino”.( lettera di Dina ai genitori dall’ospedale di Siena, 1930)
Ospedale
di Siena, 10 giugno 1930
Muore
l’Estate come un gran giorno pieno di sole. Ingialliscono le foglie del
granturco e il sole non arde più. Ritorna l’Autunno; si sente nell’aria l’alito
del suo respiro. Viene l’Autunno e verrà il giorno della vendemmia. Usciranno
lungo i filari le donne e i fanciulli, i vecchi e gli uomini forti. Le
giovinette si cingeranno di tralci e il vino stillerà dal frutto maturo e
verseranno le coppe ricolme e ovunque sarà festa.Intanto, nell’attesa, si
preparano i tini che spumeranno del dolce liquore.
Ma io
amo gli ardori della canicola che imbianca le stoppie e ho paura dell’Autunno,
perché dietro di esso c’è l’asprezza del rovaio. No, io non desidero l’Autunno,
perché non so cantare lungo i filari, e non voglio udire il canto della
vendemmia, perché la malinconia di quel canto assopirà le campagne. E poi io
non potrò raccogliere, come il forte agricoltore, il frutto del dolce liquore,
poiché nulla avrò seminato o saranno morte le tenere viti. E l’Autunno sarà
triste per me.
Ma io
non vedrò ingiallire le foglie della vite come quelle del granturco. Quando
l’ultimo raggio della canicola sarà impallidito, io dormirò sul ciglio del
fossato.
C’è un
segreto giù nei campi e me lo disse una mattina una fanciulla che incontrai.
Esiste un fiore strano che ha nel calice un nèttare divino. Non so per quale ninfa fu creato questo fiore, ma l’uomo che una volta si disseta con quel nèttare, s’addormenta e non sa più. Anch’io accosterò le labbra al calice del fiore strano, gusterò del nèttare divino, e m’addormenterò sul fossato. E sopra di me passerà l’Autunno e piangerà la bufera. Ma io non udrò, e sognerò la canicola che imbianca le stoppie.
Maria
Grazia Ferraris
"No, io non desidero l’Autunno, perché non so cantare lungo i filari, e non voglio udire il canto della vendemmia, perché la malinconia di quel canto assopirà le campagne". Non conosco, mio malgrado, Dina Ferri, ma è sufficiente questo spunto delicato e struggente per farmi amare la sua poetica. L'autunno annuncia la fine di un ciclo vitale e la scrittrice è colta da tremore mortale. Tornerà indubbiamente l'estate a farle amare "gli ardori della canicola che imbianca le stoppie", ma non importa per ora sapere che un altro ciclo vitale verrà. Questo è il momento della fine e non si può che essere tristi di fronte a questa sottrazione di vitalità. Maria Grazia Ferraris, in questa pagina ricca di pathos e di umanità, mostra tutta la sua acuta sensibilità nel farsi partecipe e renderci partecipi dello smarrimento della delicatissima scrittrice di fronte alla finitudine, alla sconfitta, all'azzeramento e alla perdita di pienezza vitale.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Maria Grazia, scrivendo questa pagina dedicata a Dina Ferri, hai marcato il territorio incredibile, oserei dire magico, della tua capacità di esegeta che non può essere paragonata a quella di nessun altro. Affreschi con passione autentica e con riferimenti a te stessa, che scuotono le fronde dell'anima, l'esistenza e l'Arte di una donna semplice, legata alla terra, ai cicli delle stagioni, che si dedica al ricamo come tutte le donne dell'epoca e finisce per scrivere versi e prosa di struggente valore quasi per caso. Immersa nelle vicende rurali teme l'avvento dell'autunno, a dispetto di tutti coloro che lo considerano la stagione che non consente abbastanza mani, penne, tele e colori per dipingere la bellezza del creato. L'Autrice legge in questo periodo "l'annuncio sobrio, misurato inevitabile della morte, del nulla, pure poeticamente attesa, con la quale ha sublime confidenza". Una donna piegata sull'esistenza, tesa al disincanto, o forse, come suggerisci, a un personale mosaico di sensazioni, che solo chi sperimenta può comprendere. Hai accostato la Nostra al Pascoli delle Myricae, che richiama implicitamente “una poesia che si eleva poco da terra”, come affermava lo stesso Pascoli,una poesia umile, dallo stile (apparentemente) semplice. Nell''apparentemente' si cela il mistero che da sempre accompagna il lirismo vero, e che trapela dai tuoi estratti di cara, calda dolcissima complicità con la Ferri, con la volontà di identificarti quasi nelle sue scelte. Ho pensato con infinita malinconia che in autunno le foglie compiono il loro ultimo viaggio dal ramo alla terra e ti ho stretto più forte, amica di sangue e carne, che sei arrivata a introiettare gli Autori, a farli vivere anche attraverso te stessa. Sei una donna che insegna con inconsapevolezza e immensa umiltà. Ti ho nel cuore e sono fiera di conoscerti!
RispondiEliminaRingrazio sentitamente i due amici acuti ed originali commentatori che mi seguono nel mio cocciuto insistito proposito di dare voce ai dimenticati e soprattutto alle dimenticate, nella poesia e nella letteratura: sono troppi e troppe e muoiono definitivamente tra tanti esibizionisti dell’ultima ora se non si riesce ad accendere una luce su di loro e sul loro talento poetico. Tale è Dina Ferri cui dobbiamo le parole grazie alla pubblicazione curata dal critico M. Marchi. Franco ne sottolinea il pathos e l’umanità, il senso di finitudine e di sconfitta che si fanno largo in un’anima inquieta e sensibile, che possiede naturali doni poetici, pur consapevole della vitalità della natura che riprenderà la sua corsa, Maria si abbandona a una partecipe lettura empatica, malinconica e struggente. Maria ha certo una sensibilità e un’attenzione di lettrice eccezionale di cui la ringrazio con una poesia di Dina Ferri:
RispondiEliminaMai più!
Chiesi un giorno alle nubi lontane
quando l’ombra finisce quaggiù;
mi rispose vicino una voce,
una voce che disse: – Mai più!
A le stelle del cielo turchino,
a la notte vestita di nero,
io richiedo con timida voce,
come allora, lo stesso mistero.
Io richiedo ne l’ombra la via
e risogno la luce che fu.
Ma risento la solita voce;
quella voce che dice: – Mai più!
Siena, 2 marzo 1929