Maria Rizzi su “Lunamajella”
di Gian Piero Stefanoni , Confine editore
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Maria Rizzi, collaboratrice di Lèucade |
Gian Piero Stefanoni, in quest’Opera dal titolo
magico, “Lunamajella”, editore Cofine, che la prefatrice Anna Maria Curci
racconta proprio con la levità dell’incantesimo, oltre che con la
professionalità dell’eccellente esegeta, asserendo che “lunamajella è una
parola che raccorda la lontananza con la prossimità, il cielo e la terra, la
spiritualità (“globo sospeso”) con la fisicità (“che quasi ci tocca”)”, non
narra della terra natia, ma per adottare ancora le parole della Curci “(di una determinata area del teatino
divenuta per il poeta paese dell’anima e della terra del cuore) che si va
manifestando come madre terra, come un universo nel quale geografia e sonorità
concorrono a ri –nominare e a ri-fondare”. In effetti se si è capaci di mettere
radici nella terra, si saprà anche ergersi alti nel cielo, e divenire talee del
mondo visibile così da poter raggiungere l’invisibile. Stefanoni è proteso
verso una seconda patria, che ruota intorno alla Montagna Madre, come in
Abruzzo tutti la conoscono, piena in ogni sua parte dei segni della presenza
umana dai tempi più antichi. Un luogo privilegiato di ritualità, di rifugi per
officiare culti e cerimonie religiose, la Majella ha da sempre suscitato la ricerca del
contatto con la divinità. Lo confermano la presenza di grotte sacre, di
chiesette, di eremi… Per gli abruzzesi la montagna è la Madre, la personificazione
della crescita delle cose viventi, della fertilità della terra. Nell’Opera
l’Autore si illumina e si arricchisce di un dire poetico appartenente a una
lunga tradizione di italiano e di dialetto, correda le pagine di versi di
illustri abruzzesi come Tito Verratti, Vittorio Clemente e si avvale per le
traduzioni in abruzzese di Mario D’Arcangelo. Di Verratti è quella che la Curci definisce in modo
superbo ‘perla in epigrafe’: “Sbrane e turmente l’alme, triste core, / l’alme
ch’è tormentate nen si more”. La prima lirica è dedicata a uno dei paesi più
famosi della zona, Pennadomo, chiamata dagli abitanti di Chieti semplicemente
Penna. “Ciaffòssene le stelle, / quacche mbrije a lu spettà, /aunìte a le Sante
ce’ncavéme a le rocce” – “Ci incavano stelle, vaghe ombre in attesa, /
preghiamo con i Santi / allungati alle rocce”. E già dalla soavità di questi
versi si evince l’importanza di custodire il dialetto, che costruisce mondi ed
è, quindi, più che una lingua, una visione.
Oltre che alla Montagna Madre e a Pennadomo, nella Silloge sono
contenute liriche dedicate ad altri paesi come Lama dei Peligni, San Martino,
Marina di Torino di Sangro, Fara. Lunamajella rappresenta l’astro intorno al
quale si srotola la vena dell’Autore. Le dedica otto liriche e Pennadomo la
segue a ruota libera con ben sette poesie. Stefanoni rivela il suo rapporto
empatico con la natura di questa zona. “Giacché / anche tu cerchi sbocco /
nell’autunno di viole / che di noi non si scorda -/un azzurro, un giallo / e un
rosso per chi resta / ora che le anime / come uccelli si lanciano - / più non
si guardano torve - / verdi in un lago verde di monti / dentro quel cielo / che
mai vuole perderci”- (Lunamajella VII) – tradotta in abruzzese da Mario
D’Arcangelo. E dei luoghi si coglie il misticismo e il carattere selvaggio dei
monti, delle colline e del mare. La protagonista del libro, la Montagna che le dà il
titolo, è paragonabile a una delle grandi cattedrali della terra, con i suoi
portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve,
le volte di porpora scintillanti di stelle. Gian Piero Stefanoni con il suo
spirito entra negli alberi, nel parato, nei fiori, nelle onde. Lunamajella è
per lui un sentimento. Leggendo questa Silloge di incantesimi e insegnamenti ho
ripensato a una frase di Ennio Flaiano: “Tra i dati positivi della mia eredità
abruzzese metto anche la tolleranza, la pietà cristiana (nelle campagne un uomo
è ancora ‘nu cristiane’), la benevolenza”. Questa eredità il nostro Poeta
sembra possederla tutta. Dai suoi versi traspare la tenerezza e la modestia di
fronte a tutte le bellezze della zona. Il Poeta ci convince che i dialetti
devono essere eterni: Gesù parlava in dialetto, Dante scriveva in dialetto e,
probabilmente, il Padreterno nel cielo, si esprime in dialetto.
Maria Rizzi
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Un grande abbraccio e grazie di cuore alla dolcissima Maria per la bontà di questa esatta lettura del mio mondo nel magico della Majella e grazie al caro Nazario per la sua risonanza su Leucade. Grazie!
RispondiEliminaGian Piero mio, non so più quante volte hai ringraziato e ti ripeto, in questa illustre sede, che è stata pura gioia leggere la tua magia. Ringrazio il nostro Nume Tutelare che accoglie tutte le istanze e vi stringo al cuore entrambi!
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