Prefazione
Sonia Giovannetti è un’affermata poetessa che è già divenuta testimonio ed esempio della poesia italiana contemporanea sia per le opere pubblicate sia per l’intensa attività svolta come promotrice della Poesia nei concorsi di cui è Presidente di Giuria sia, infine, per la sua alacre attività di convegnista su temi letterari connessi alla storia delle poetiche. La Poesia è, dunque, un modo di essere della scrittrice romana.
Giovannetti ha recuperato e rivitalizzato la preminenza dell’identificazione del poeta con il linguaggio da lui
ingaggiato. La scelta del linguaggio della poesia è sempre stato un problema preminente del Novecento italiano, che ha avuto la sua acme in Eugenio Montale, ma che poi è andato vieppiù perdendo di significato con lo sperimentalismo della seconda metà del secolo e si è definitivamente disperso nelle pratiche improvvisate della Slam Poetry, che in Italia si è proposta come epigone della beat generation, in chiave di dio minore e provinciale della grande tradizione americana on the road. Il linguaggio poetico scelto da Giovannetti è una conferma
della grande tradizione italiana, per la quale le parole usate dal poeta debbono avere una credibile cittadinanza letteraria e non possono essere espedienti gergali o volgari, come neppure possono essere presi a prestito dalle espressioni tecnologiche e scientifiche, ma al contrario la poesia deve farsi riconoscere dal
modo con cui ingaggia la parola nel suo percorso di significazione e di incanto. Tuttavia, vale anche per Gio7
vannetti quanto ha scritto Eugenio Montale circa il ruolo rivelatore della parola e cioè che “la poesia deve far capire quel quid al quale le parole da sole non arrivano”.
Se la Poesia è materialmente un oculato fatto di scelta delle parole, tuttavia il messaggio che da essa deriva non si limita a essere un’esposizione lessicale dei significanti, ma diventa qualcosa che totalmente trascende l’esposizione piana del linguaggio. Tutti noi ricordiamo il parlare che si è fatto circa la poesia oscura di Montale in contrapposizione alla poesia onesta di
Saba.
Sonia Giovannetti, con il libro Pharmakon, propone al Lettore il sistema caleidoscopico del suo personale percorso poetico, che si rifà a diverse forme dell’universo della poesia, principalmente focalizzate intorno alla ripresa dell’imagismo di Ezra Pound, alla poesia filosofica o anche detta “della conoscenza” da Eliot di Wast Land ai Sette poemi di Marina Cvetaeva, non disgiunti
da echi dell’antichità risalenti a Dante e addirittura a Virgilio, perché il tempo della Poesia di Giovannetti è una declinazione del concetto espresso da Platone nel Timeo, cioè sviluppa la doppia natura di “ciò che è e non muta mai e contemporaneamente di ciò che diviene e non è mai”. Ciò permette a Sonia Giovannetti di trasformare l’infinito in un’approssimazione dell’indefinito: se l’assoluto è un concetto altro che sfugge alla mente umana, poiché si colloca in un’alterità di cui l’uomo può avere solo cognizione fideistica nelle rivelazioni
fatte dai profeti o comunque nelle credenze della religione, l’indefinito al contrario è una categoria terragna e nostrana, con cui l’uomo ha sperimentata abitudine e confidenza, certamente poetica, ma anche artistica e psicologica. Si apre allora una sorta di vaso di Pandora della Poesia dal quale escono i daimon, le creature intermediarie tra l’Assoluto del divino e il relativo
dell’umano. Fuori di metafora poetica, dal grande scrigno della Poesia escono le infinite visioni che il Poeta ha come percezione del suo essere nel mondo e nel tempo, figura che diviene e che non è mai, ma anche come figura che è per sempre e che resta immutabile.
Dice bene Sonia Giovannetti quando nella sua presentazione
ammonisce sul fatto che la Poesia è veleno ed è medicina. Nessuno, tuttavia, dovrà allarmarsi, perché l’ammonimento vale per il Poeta stesso, e non certamente per il Lettore: è il poeta che può curarsi o che può avvelenarsi al canto amoroso di Eràto, cui la Poetessa dedica la bellissima poesia L’ora celeste. Ecco, dunque,
un ricorso facilitato alla rappresentazione del mondo, consistente nella soluzione binaria e nel confronto degli opposti, che è alla base di tutta la logica umana: il bianco e il nero, il bene e il male, la croce e la delizia e non si finirebbe più di elencare gli opposti che funzionano da categorie definitorie, cioè da autentici
muri montaliani, sormontati da aguzzi vetri, con cui
ripartire
la realtà del mondo. In realtà gli opposti, nello scontro che fanno tra loro, finiscono anche per confondersi in sfumature di contaminazione l’uno dell’altro e nasce, allora, quel concetto di indefinito, che è la percezione trionfante in tutta la Poesia di Sonia Giovannetti.
Per gli Orientali, vale il principio del Tao, che contiene le due forze opposte che si condeterminano e si ispirano l’una all’altra, lo Yin e lo Yang, ognuno segna i confini dell’altro.
Nella sua presentazione, Giovannetti richiama le quattro sezioni in cui sono riepilogate le cinquantatré poesie del libro. La prima sezione, denominata Stati febbrili, è quella in cui maggiormente si scatenano i viaggi odisseici nell’immenso mare della Poesia, già si apre con La strada, che descrive un arcobaleno che parte da Ulisse raccontato da Omero e arriva alla contemporaneità di Jack Kerouac. Va citata anche la poesia Porto sicuro in cui si muove una memoria e un riferimento celato al porto sicuro di Carlo Michelstaedter, nel quale la definizione è volutamente all’opposto: il porto sicuro è il centro della tempesta. Va notata la bellissima poesia Musica, nella quale l’armonia scientifica e matematica delle note diviene interpretazione più efficace della parola dell’enigma dell’universo. Vanno poi segnalate le dolci poesie riferite all’armonia dell’amore, così cariche di nostalgia e di ricordi struggenti, come è testimoniato in Giorno scomposto, con una chiusura scopertamente evocante i tristi amori furiosi di Arthur Rimbaud e le sue “scarpe di vento”, che qui diventano una tasca priva di vento. Va detto che il “vento”, vocabolo di alta araldica poetica, è presente in numerose poesie del libro, a significare quanto prima si diceva sulla scelta del linguaggio.
La seconda sezione si chiama Conflitti del noi ed è più aperta all’osservazione dei fatti e delle cose del mondo: la poetessa si muove nella realtà del suo tempo, per cui elabora testimonianza delle Donne di Kabul, oppresse dalla tirannia, similmente c’è un bellissimo ricordo e omaggio a Pier Paolo Pasolini. Molto significativa è la poesia dedicata al ricordo dell’olocausto degli ebrei. Ed infine, è struggente l’evocazione della figura del nonno, migrante a Cleveland. Chiude la sezione, la metafora
del piccione sul davanzale della finestra che spicca il volo lasciando una piuma in ricordo, mentre la Poetessa deve rimanere rinserrata in casa a causa del Lockdown.
La terza e ampia sezione si intitola Effetto placebo, e si apre con la già citata luminosa poesia L’ora celeste. In questa sezione si fanno maggiori gli echi virgiliani, nella appresentazione georgica della natura, le stagioni come l’autunno e l’estate, ma anche il richiamo alla mitologia, molto sfumato, nella poesia La cruna dell’ago, in cui ci sembra di vedere le tessitrici del Fato, anche dette le Fatae o comunque le tre Parche – Cloto, Lachesi
e Atropo – intente a tessere il destino di ogni essere umano all’insaputa dell’interessato. Fa da im me -diato contraltare, nel gioco degli opposti, la poesia che segue, Il tempo creativo, che è un inno colorato alla libertà conquistatrice della vita e delle mete che l’uomosi può dare. Vanno segnalate, come poesie di grande fascino e contenuto poetico, Il segreto della Poesia, Miraggio, una visione onirica splendente, e la superba poesia Sotto la soglia, con lo splendido verso “chi muore non lo fa per davvero”, perché sempre ritorna. La poesia In ascolto mette in evidenza il concetto di indefinito ingaggiato in locuzione alternativa delle illuminazioni,
visioni, percezioni, “i mille richiami” che costituiscono le voci che parlano di una sorta di sopra realtà o comunque di espressione misterica del tutto che ci circonda.
La poesia Barlume tradisce nel titolo un’ulteriore spon -da di omaggio al celebre “barlume” di Montale tratto da Felicità raggiunta contenuta in Ossi di seppia, a ennesima controprova della memoria letteraria sempre all’erta di Sonia Giovannetti. L’ultima sezione si intitola Pillole vitaminiche ed è offerta come finale in dessert di pâtisserie d’antan, poesie in perfetti endecasillabi rimati nella terzina dantesca in occasione dell’omaggio a Dan -
te contenuto nella poesia Alla leggerezza, che esprime il contrasto tra l’ammonimento severo di Beatrice rivolto ai cristiani di rispettare i voti pronunciati con giuramento davanti all’altare, e la leggerezza del poeta che, come insegna Walt Whitman, deve sapersi contraddire per essere coerente con sé stesso (“Mi contraddico? Ebbene sì, mi contraddico, perché posseggo moltitudini!”).
Sono splendide poesie, che in musica si chiamerebbero esercizi da tastiera, in cui il pianista dimostra la sua eccellente bravura nell’interpretare pezzi classici di difficile esecuzione, come sono i sonetti proposti e le doppie quartine, in eco di strambotti di alto
stile, anziché di tradizione popolare.
Il libro Pharmakon rappresenta un evento straordinario di valorizzazione del nostro patrimonio poetico e di rimodulazione
e innovazione della poesia contemporanea, all’insegna di una ripresa del fascino magico della parola poetica, per significati profondi e per appercezioni indefinite, tra sopra realtà e immaginario, del mondo contemporaneo che tutti ci comprende.
Sandro Gros-Pietro
Grazie infinite, carissimo Nazario, della condivisione su Leucade, della Prefazione di Sandro Gros-Pietro al mio ultimo libro "Pharmakon" che ha appena visto la luce con Genesi Editrice. E' per me una compartecipazione autorevole di battesimo alla vita dei miei versi.
RispondiEliminaSonia Giovannetti
<>. Così Sandro Gros-Pietro in prefazione a "Pharrmakon" (Genesi editrice). E ancora: <>. Una poetica focalizzata essenzialmente <>. Conoscenza di cosa? degli opposti di cui la realtà si compone, con un collegamento evidente a vetuste visioni del mondo, ancora attualissime, seppure cadute in oblio. La Poesia ha la facoltà di riportare ancora e sempre equilibrio nell'animo umano, ma è un medicinale che può divenire tossico se assunto in dosi sbagliate. A quel punto, anziché farci acquisire un sano concetto della realtà, più ampio dell'usuale, ci fa spostare lo sguardo tutto sull'irreale, squilibrando il nostro universo psichico. Per questo, dice Sonia, la Poesia è veleno e medicina nello stesso tempo: "Pharmakon", appunto. Vivamente colpito, resto in attesa di leggere il libro.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie carissimo Franco Campegiani, come sempre le tue parole sanno essere cura perché, aldilà del mio testo, la parola è cura certo, ma è anche importante la cura delle parole usate e sopratutto l'attenzione. Ti ringrazio molto anche dell'accoglienza che mostri al libro stampato, che non vede l'ora di raggiungerti.
RispondiEliminaSonia Giovannetti