lunedì 1 dicembre 2014

MAURIZIO SOLDINI SU "SOLTANTO UNA VITA" DI N. DI STEFANO BUSA'




Recensione di Maurizio Soldini a  Ninnj Di Stefano Busà,  
Soltanto una vita, Kairòs Edizioni, Napoli, 2014


   Soltanto una vita dà a pensare che nonostante nelle varie epoche ci siano dei canoni piuttosto ben individuati e individuabili in letteratura, che dettano le regole del gioco, c’è una qualche forza sotterranea, che di tanto in tanto fa riemergere come soffioni boraciferi generi ormai in disuso e non più apprezzati dalla critica contemporanea. È così che il romanzo di Ninnj Di Stefano Busà dà l’impressione di voler dare nuovamente voce al romanzo d’appendice. E con questo senza voler togliere nulla o disprezzare l’opera in oggetto o il genere medesimo. Con lo scopo, in questo caso, come nel caso dei gloriosi feuilleton delle epoche passate, di fare anche opera di divulgazione delle narrazioni e delle storie con l’intento di incrementare il numero dei lettori e di conseguenza di avvicinarli alla letteratura, e nello stesso tempo di dare alla letteratura una dimensione non soltanto narrativa intesa come descrittiva di eventi e caratteri, ma soprattutto una dimensione prescrittivo-moraleggiante.
   La storia narrata in Soltanto una vita racconta le vicende ambientate in America del Sud e precisamente in Argentina di una famiglia benestante alto-borghese nata dalle ceneri di un fidanzamento e di un matrimonio entrambi falliti, che la voce narrante sottopone a una diffusa analisi psicologica cogliendo con abilità sfumature che potrebbero far parte di tante situazioni rinvenibili nella realtà, tanto più se alla base dello scollamento delle coppie vi  sono momenti legati a problemi di psicopatologia come nel caso del romanzo.
   L’amore che sboccia tra Julie e George, i due protagonisti, non poteva nascere se non tra i rottami lasciati da un uragano, che sono l’alter ego della buriana, che aveva invaso l’anima di entrambi. Da un normale prendersi cura da parte di Julie di George, trovato gravemente ferito su una spiaggia, dove lei si era fermata “a leccarsi le ferite” della sua esistenza, gravata da un cattivo rapporto sentimentale, che per quanto finito non era ancora del tutto metabolizzato, c’è il passaggio a un amore che diventa subito travolgente e appassionato al punto che i due iniziano a essere coinvolti anima e corpo in una bella storia d’amore. Nonostante le mille difficoltà legate al fatto che George è ancora sposato con una moglie, problematica e nello stesso tempo psicopatica, che continua a dargli non pochi problemi, fosse pure per il fatto che i due hanno un figlio, Alex, che malauguratamente, nel momento in cui viene sancito il divorzio, viene affidato per assurdo alla madre con la conseguenza di provocare in George un grave turbamento. Dispiacere che pur incrinando l’umore di George non impedisce che Julie possa realizzare il sogno di poter sposare George per cercare di avere un figlio. Di lì le vicende si snodano nel bene e nel male e il rapporto sempre intenso tra i due procede tra un incidente di percorso e l’altro in un cammino per la coppia piuttosto roseo, anche in virtù del loro stato di benestanti, e tra un aborto spontaneo che dapprima tarpa le ali a una felicità che sembra non potersi compiere, e all’arrivo infine della figlia Emily, tra una malattia per George, colpito da un grave insulto cardiovascolare nel momento in cui sta per ritrovarsi con un figlio, che sembrava irrimediabilmente perduto per il padre in seguito all’affidamento alla madre, che li aveva allontanati definitivamente, e quindi ancora la malattia tumorale per Julie non fanno altro che riportare a quell’andazzo che è proprio di una vita soltanto, vita che sembra segnata da momenti di felicità, che preludono a momenti di infelicità e viceversa, come siamo abituati a vedere e a vedere riflettere nell’andamento meteorologico in quel movimento ondivago di tempeste, che preludono a cieli tersi e azzurri e che a loro volta precorrono l’onda d’urto di un uragano.
   Così sarà anche per la figlia dei due protagonisti, Emily, che nonostante i traguardi nella vita professionale e nonostante la vita più che agiata e un matrimonio con un facoltoso italiano naturalizzato argentino, Andrea Foscari,  dovrà fare i conti  con alcune traversie della vita che non guardano in faccia se uno è ricco o povero… Alla fine è soltanto una vita. La vita
   Il romanzo di Ninnj Di Stefano Busà è circondato dall’inizio alla fine da un’aura paradisiaca naturalistica, sociale e linguistico-stilistica, dove tutto sembra collocarsi in una favola fuori luogo e fuori dal tempo (se solo pensiamo a quella che è la realtà, oggi in tutto il mondo, e tanto più in molti paesi del Sud America, dove spesso per la maggior parte delle persone vi è miseria, povertà, degrado, infelicità e comunque tutto il contrario di quello che si legge nel romanzo, che è invece solo per i pochissimi) in una u-topia nella quale, se non fosse per l’evenienza delle intemperie e del male fisico e/o psicologico che colpisce gli uomini a disturbare il clima edenico, vi è una prevalenza di fasti di feste di ricchezza di bellezza di politici di ambasciatori di persone comunque “importanti” e altolocate di primi e di primari in tutte e di tutte le dimensioni sociali, di efficienze e di eccellenze professionali e di inverosimile potere legato al censo, così come prevalgono scenari di sublime bellezza rubati “fotograficamente” al paesaggio oceanico dell’Argentina. Il tutto mediato da un linguaggio che spesso si fa iperbolico, superlativo, fin troppo aggettivato come è proprio del mondo aristocratico borghese che tende a circondarsi quasi esclusivamente con tutto ciò che è “griffato”. Insomma la favola bella di Ninnj Di Stefano Busà ci presenta quello che spesso vediamo nei film e nelle telenovela americani. Il bisogno di vedere la realtà è grande… ma forse gli uomini hanno bisogno di favole… E con questa consapevolezza l’Autrice offre al lettore questa opportunità di sogno. Anche perché per l’Autrice sembra essere prioritario far passare il messaggio che non è tanto importante poi quello che appare, ma, al di là delle apparenze, quel che conta sono l’interiorità e la forza d’animo e le virtù dell’uomo che fanno sì che alla fine i valori, come quello della famiglia, emergano e soprattutto che il bene possa prevalere sul male.
   Il romanzo, come ci si può aspettare, è a lieto fine. Ma lascio al lettore il piacere della scoperta dell’ulteriore svolgimento della trama.
   Come in ogni romanzo d’appendice che si rispetti, anche in questo caso la storia ha un intento pedagogico e moraleggiante e si conclude quindi con le riflessioni da parte della voce narrante dell’Autrice con questa morale:
Domani, domani è un altro giorno, come dice Rossella O'Hara nel film Via col vento, il sereno torna sempre, ancora e ancora, si spalancano le vie della provvidenza, che sono inesauribili.
La benedizione di Dio torna a farsi grazia, indulgenza, misericordia. Forse verrà messo a dura prova il corso della vita, da qualche altro ura­gano o tempesta, vi saranno altri ostacoli da abbattere, da superare, ma loro sono una famiglia, in loro si rispecchia l'umanità col suo carico di sofferenza, di lutti, ma anche di qualche gioia o consolazione.
Si può essere vincitori o vinti, si può bluffare con se stessi, o esse­re se stessi, dipende da come sei dentro, da come ti rapporti all'ester­no, ma sono fattori secondari, la forza più tenace che fa da collante all'universo è l'amore.
Veniamo al mondo per amarla questa vita, l'unica che abbiamo, non per opporci a essa o per oltraggiarla, e se talvolta ne veniamo feri­ti, ebbene, sì, tiriamo fuori tutto il coraggio, l'ardimento, la forza morale di cui siamo capaci per lottare strenuamente contro il male.
Non passi per troppo mieloso il concetto che Dio è la fonte, noi siamo la gola riarsa: il nostro limite è la sete inestinguibile, impetuo­sa e inarrestabile, abbiamo bisogno di lui per dissetarci.
Siamo in fondo soltanto una vita, nient'altro...

 Maurizio Soldini
Roma, 29 novembre 2014



1 commento:

  1. Conosco il Prof. Soldini una voce autorevole del panorama critico di oggi, si scomoda raramente per autori di poco conto. Il romanzo della Distefano Busà deve averlo convinto, malgrado la riluttanza della critica di oggi sembri dimostrare che vanno per la maggiore altre tipologie di narrativa: noir, gialli, trame di omicidi efferati, violenza e droga, guerre e abomini, fame e disperazione: Vien da dire: ne abbiamo abbastanza, ben venga un romanzo d'appendice ben fatto come quello della narratrice in oggetto: vivo, saldo nei principi, limpido nella sua esemplare visione della vita, che non deve essere solo putredine per accattivare lettori, ma Bellezza, pulizia morale, sentimenti, cose sacre e inviolabili che ci facciano sperare e che non esasperino la già difficile situazione della vita compromessa e immiserita da un logoramento e da uno sfiancamento inauditi. Complimenti
    alla scrittrice e al critico che nel mettere in luce difende in certo qual modo la narrativa in controcorrente dell'autrice.

    Luciana Bertocchi

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