Daniela
Quieti: Il reale e l’immaginario. Pegasus
Edition. Cattolica (RN). Pg. 68
Nella festa dei sensi
fuori dall’ibernazione
invernale
cerco in un giardino appartato
la chiarezza del presente
la nuova prospettiva di un
luogo ideale.
Daniela Quieti |
Camminare
con l’animo ansioso di realtà improbabili verso giardini profumati di memorie.
Il
reale e l’immaginario, la nuova plaquette
di Daniela Quieti, che, editata per i caratteri di Pegasus Edition, reifica la
sua ricamata ricerca verbale; il proteiforme messaggio per agguantare le mosse dell’anima. E tutto si fa gentile,
eufonico, duttile e armonioso in questo spartito di note che si succedono con
climax ascendente per concretizzare gli input emotivi. Ci fa da prodromico
ingresso una copertina con una barca che si azzarda in un mare mosso e
irrequieto; sì, dei naviganti verso onde spumeggianti di scogli, pronti a
scivolare in acque che tanto sanno di vita. E quale immagine più appropriata a
significare l’evolversi della nostra storia? E’ quel mare coi suoi lontani
orizzonti a delineare il focus del fatto
di esistere; il lontano approdo delle nostre irrisolte navigazioni, dacché è
proprio dell’uomo ambire alla conquista, alla ricerca, a raggiungere l’isola
che forse non esiste; quell’isola che contiene comunque afflati d’amore,
ricordi di feste e di incontri, incisi in giardini appartati: “... Nella festa
dei sensi/ fuori dall’ibernazione invernale/ cerco in un giardino appartato/ la
chiarezza del presente/ la nuova prospettiva di un luogo ideale”. L’isola dei
ritrovamenti, del repêchage, dei fantasmi delle nostre sottrazioni, degli
affetti ripescati: “... T’amo anche in ciabatte/ e gambaletti./ Tienimi
allegra/ t’amerò di più”. Sta lì
l’inquietudine del vivere, il malum vitae,
quello stato di perenne insoddisfazione che è l’alimento primo della
poesia. D’altronde la vita è fatta di melanconici richiami, di mancata
quietezza per volere del destino. E quello che noi percepiamo è il dolore di
un’assenza, la fuga di un attimo nel resoconto dell’insieme. E ciò che al
momento ci appariva eterno per la sua forza
erotico-passionale, per la sua bellezza contemplativa, alla fine ci risulta
gracile e momentaneo, dacché tutto scorre con tale velocità da non poter
guardare mai in faccia il presente. Ma il fatto sta che la poetessa naviga,
risoluta, fra mareggiate e trabucchi, fra onde perigliose, con una barca carica
di fonemi e stilemi pronta a soddisfare le richieste del canto. Ella conosce la fragilità del tempo e della
vita; conosce la precarietà di quella imbarcazione ed è per questo che si
attrezza per ogni evenienza; remi robusti e bussola in mano che simboleggiano i
ritmi e la padronanza della narrazione poematica: le immagini si fanno sempre
più ricche e abbondanti, plurali e polivalenti; tornano a vivere con audacia e
forza emotiva, sembra dicano: “siamo qui, in te, come mai, figlie di una realtà
vissuta insieme. Tocca a te darci freschezza e rinnovata energia”. E’ così che
nasce la poesia, da quel bagaglio di visioni cui attingere per rinascere. Il reale è sempre qualcosa che in poesia
attende il riposo dovuto, per tradursi in simboli che richiamano tempi e luoghi
del nostro esistere. E qui tutto è sincronico, tutto scorre sotto i nostri
occhi con dovizia di figure; di certo non è una poesia vicina alle sperimentazioni
di positura prosastica questa di Daniela. Al contrario una versificazione che
tiene di conto delle misure, delle euritmie, dei sinestetici allunghi per andare oltre la sintassi
canonica, visto che la poesia pretende sempre qualcosa di più; quel qualcosa
che ti rende unico negli assalti all’inverosimile. Due le sezioni in cui si
divide: I Il reale, II L’immaginario.
Una continuità naturale di voci volte a narrare una vita fatta di Angeli senz’ali:
“... Angeli senz’ali i tuoi diritti i miei“; di “Terre martoriate da battaglie”;
di piatti di umili: “... riverbero di sanguinante destino/ nel piatto degli
umili”; di Natali senza te “... Ti cerco ovunque mentre prego”; di fiori per te
“... Se ti ho fatto soffrire/ assolvi la
mia mente/ tormentata dal rimorso”; di sere scese su Roma “... Dentro una chiesa/
s’ode il salmodiare/ mentre lenta/ scende la sera su Roma”. Per proseguire con
similitudini corpose di portata
vicissitudinale: “Somigliano i nostri anni/ a un ventaglio colorato/ ricamano
infanzie e misteri/ nel tempo germogliato/ d’un albero di Natale”, dove
una certa melanconia saporita di saudade
contorna il dipanarsi dei versi; e dove l’amore, il ricordo, l’azzardo, il
panismo esistenziale si fanno compagni di un viatico volti a ripescare momenti
e frangenti dell’essere: San Valentino,
Un giglio, Imperlami di verde, Sulle rive de Giordano, La passeggiata del
Gianicolo, Ti vedo.... Tante tappe di un percorso che risuscitano luoghi,
sentimenti, compagnie; stadi emotivi che
si fanno veri per significanza visiva e impatto emozionale. Il dettato lirico
corre fluente e determinato. Non si leggono flessioni o cadute di natura sentimentale.
Tutto è sorvegliato da uno stile sicuro; da argini robusti che contengono lo
scorrere impetuoso e sonoro delle limpide correnti verbali:
Bagliore di luce all’imbrunire
riverbera un firmamento
di stelle e di lampare
che da lontano accarezzano
il giallo-verde dei limoni
nel profumo delle zagare
varcando la soglia del
crepuscolo
nel tremore lento del fondale.
Essenza viva corre sulla spuma
e raccoglie bianche distanze
nei riflessi intensi
dell’azzurro
accesi di sogni e di speranze.
Vola dentro le mete dei giorni
l’anima
a decifrare dal mare dei
silenzi
la sciarada senza tempo
che placa burrascose acque
e traccia sulla linea
d’orizzonte
al sorgere del flutto
dell’altra sponda il nuovo
approdo.
Eccola
la poetessa: è in questo suo sguardo all’orizzonte, a questi riflessi intensi
dell’azzurro; eccola lì a mirare lontano la sagoma dell’isola agognata; forse è
là che potrebbe ri/trovare la quiete; in compagnia dei volti del suo volo immaginario; là “Dove tu abiti” e dove “(Quanta) la vita ci
accoglie e annuncia/ la storia che respiriamo insieme”.
Nazario
Pardini
Desidero ringraziare vivamente, con grande affetto e stima, il carissimo Prof. Nazario Pardini per la pregiata recensione dedicata alla mia silloge “Il reale e l’immaginario”, e per come ha saputo leggere e interpretare la mia interiorità con espressioni tanto generose, raffinate, sensibili e competenti. Mi emoziona e gratifica in modo particolare essere nuovamente sugli scogli di Lèucade con un giudizio critico così profondo che evidenzia il senso, la struttura e gli spunti di riflessione della mia ricerca poetica.
RispondiEliminaGrazie di cuore, grazie di esserci sempre.
Aff.ma
Daniela Quieti
Inserirsi dopo una recensione del nostro Nazario, cara Daniela, è davvero impresa ardua, ma non posso fare a meno di esprimerti la mia ammirazione per quest'opera che sembra nata sulle note di un pentagramma. La musica è talmente intensa che assorda, riempie lo spazio circostante, penetra nell'anima, nelle ossa, nei pori della pelle. Ed è musica di lirismo assoluto, ricco di contenuti ispirati. Non è scontato mettere in luce l'ispirazione, Amica mia, in quanto spesso una forma così perfetta può apparire vicina al tecnicismo. Tu padroneggi l'ars poetica, ma sei di slanci, passione, colore e calore. La tua forza espressiva è potente, induce a riflettere ed emoziona profondamente. Sei un'Artista poliedrica e completa. Ti abbraccio con autentico, antico affetto, mi scuso con il mio Nazario e vi ringrazio entrambi per una pagina che illumina il giorno e la vita!
RispondiEliminaMaria Rizzi