Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
Giosue Carducci (Castagneto, 1835 –Bologna, 1907) è
oggi un poeta dimenticato: sulla sua poesia ed opere poetiche in generale
gravano le definizioni e i pregiudizi che si sono succeduti nel tempo, a cominciare dalle definizioni -
“lo scudiero dei classici” a poeta-professore, poeta della storia- vate, poeta
–parnassiano …- La scuola media
superiore, impegnata nelle letture poetiche novecentesche, non trova spazio per
ricordarlo come autore autorevole ( premio Nobel 1906) storicamente
significativo nel passaggio tra i due secoli. Del resto richiederebbero di
essere spiegati e tradotti perfino i
titoli della raccolte (Juvenilia, Levia
Gravia, Giambi ed epodi, Rime barbare), titoli che uno studente non liceale non sa capire.
Le
varie definizioni hanno certo senso se calate nella sua lunga storia letteraria
e nella sua biografia, dalle scelte contraddittorie, dal giacobinismo giovanile al conservatorismo
senile, ma non mi sembra il caso di insistere e commentarle, vista la
miriade di studi e contributi critici, autorevoli, sull’argomento, cui è facile
risalire.( N. Sapegno, L Russo, W. Binni, L. Baldacci…).
Vale
comunque la pena di ritornare a leggere con attenzione e simpatia
partecipe le sue espressioni e forme più
intime di neo-classicismo che si articolano in una virile malinconia, nel senso
della morte fisica e totale e sottolineare
lo sforzo di evasione segnato da una casta grazia non solo letteraria
verso un’arte sapientemente formale, oraziana, ma carica di commozione
malinconica.
Esiste
un Carducci da rileggere in chiave psicologica, antiretorico, suggestivo, che
scrive sull'onda delle emozione dei ricordi e dei luoghi amati, che ancora può
attrarci.
A me è
capitato di rivedere e commentare una poesia scelta da un’ associazione
culturale del territorio, la benemerita Università della terza età. Una
operazione che ho accettato di condividere
con simpatia e che ha risvegliato in me meraviglia, uno stupore curioso
e meravigliato, visto che da tempo non pratico la poesia carducciana!
La
poesia proposta è "Sogno
d'Estate", tratta da Odi barbare. Eccola:
Tra le
battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti
la
calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno
in
riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su 'l Tirreno.
Sognai,
placide cose de' miei novelli anni sognai.
Non
più libri: la stanza da 'l sole di luglio affocata,
rintronata
da i carri rotolanti su 'l ciottolato
de la
città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari
selvaggi colli che il giovane april rifioría.
Scendeva
per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
pur
divenendo rio: su 'l rio passeggiava mia madre
florida
ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
cui
per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro.
Andava
il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo
de l'amore materno, percosso nel core
da
quella festa immensa che l'alma natura intonava.
Però
che le campane sonavano su da 'l castello
annunziando
Cristo tornante dimane a' suoi cieli;
e su
le cime e al piano, per l'aure, pe' rami, per l'acque,
correa
la melodia spiritale di primavera;
ed i
peschi ed i meli tutti eran fior' bianchi e vermigli,
e
fior' gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto,
ed il
trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati,
e
molli d'auree ginestre si paravano i colli,
e
un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva
giú dal mare; nel mar quattro candide vele
andavano
andavano cullandosi lente nel sole,
che
mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
La
giovine madre guardava beata nel sole.
Io
guardava la madre, guardava pensoso il fratello,
questo
che or giace lungi su 'l poggio d'Arno fiorito,
quella
che dorme presso ne l'erma solenne Certosa;
pensoso
e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure
o
ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove
tra note forme rivivono gli anni felici.
Passar
le care imagini, disparvero lievi co 'l sonno.
Lauretta
empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice
china al telaio seguía cheta l'opra de l'ago.
Mente
in un afoso pomeriggio estivo il poeta leggeva il canto XVI dell’Iliade di
Omero, e si immergeva nelle lotte degli eroi greci e troiani, sulla riva dello
Scamandro, il capo gli si chinò:
sparirono libri e battaglie, i rumori della città operosa, e il suo sogno lo portò sul Tirreno, nella
Maremma, tra Bolgheri e Castagneto dove visse la sua fanciullezza libera e
selvaggia.
Ricomparve
nel sogno il paesaggio amato: apparvero
intorno al poeta le colline della sua terra, gli aspri colli che aprile
riempiva nuovamente di fiori, luminosi di bianco e di rosso, l’erba che
sorrideva con i suoi fiori gialli e turchini ed il trifoglio rosso che rivestiva i poggi dei prati mentre le colline si adornavano di tenere ginestre
gialle come l’oro e dal mare veniva una brezza leggera che faceva muovere i
fiori ed i profumi; nel mare ondeggiavano lentamente quattro vele bianche ed il
sole avvolgeva in un unico sfolgorio mare, terra, cielo…..
Un
ruscello scendeva attraverso la spiaggia, su di esso passeggiava la madre del
poeta ancora nel fiore degli anni, tenendo per mano un fanciullo sulle cui
bianche spalle brillavano riccioli d’oro.
Il piccolo andava superbo, orgoglioso
dell’affetto materno e commosso dal canto trionfante che la natura esprimeva
armonicamente a gran voce.
Il
poeta guardava la madre ed il fratello, entrambi morti, pensieroso, sospeso tra sogno e realtà, quasi
desideroso che potessero tornare, pietosi della sua pena, dall’Oltretomba.
Ma il
sogno si rompe: svanirono le immagini
care.
La
realtà lo riconduce alla serenità del pomeriggio casalingo, della famiglia e
delle figlie: Lauretta riempiva con il canto le stanze, Bice era intenta al
ricamo….
La lirica è classicamente costruita
sull’esametro latino, composta, lucida e misurata.perse le enfasi giovanili dei
giambi, va annoverata tra le liriche più intime: liriche legate a personali
affetti, dal tono colloquialmente
abbassato e meno roboante, ricca di coloriture sentimentali e risvolti
psicologici.
La
nostalgia che comunica è pensierosa, emozionante eppure
serena.
È
facile ritrovare le caratteristiche tematiche care al poeta: gli studi amati,
il paesaggio toscano, le analogie con quello omerico, il paese dell’infanzia,
gli affetti di sempre, la malinconia virile, la ricerca della felicità sempre
cercata e mai trovata.
Mi
piace concludere con un commento di N. Giardini che segue con interesse le
varie proposte culturali, che propongo : “Dobbiamo fare i conti con questo
grande Laico, Barbaro. Con la sua competenza delle formule e degli ordigni
poetici che Eco definì già 'semiologia'. L'Italia è più incline alla morbosità
pascoliana (o dannunziana) ma il magistero di Carducci è già Resistenza Civile.
Anche la sua debolezza per le donne e il vino non reca tracce di 'peccato':
coerente come Don Giovanni. Forse un Vate (veramente)”.
Trovo che questo "Sogno d'Estate", così sapientemente commentato dalla Ferraris, possa addirittura apparentarsi a certe atmosfere pascoliane di natura intimistica. Una componente psicologica, d'altro canto - seppure di natura intellettualistica, anziché sentimentale - credo possa venire individuata nello stesso versante classicheggiante della produzione carducciana, come in fondo in tutta l'area del Simbolismo decadentistico e crepuscolare. Due, in fondo, sono i nuclei poetici fondamentali del Novecento: uno "psicologistico", appunto, e l'altro "vitalistico", in cui rientrano le esperienze avanguardistiche in generale. Mi fermo qui, giacché comprendo che i confronti, i richiami, le contrapposizioni, le puntualizzazioni e i rimandi, a questo punto si farebbero infiniti. Aggiungo soltanto che per comprendere la modernità del Carducci sarebbe sufficiente riflettere su quanto classicismo e su quanto psicologismo ci sono in espressioni filosofiche come il Nichilismo o in esperienze artistiche come la Metafisica dechirichiana. Mi complimento vivamente con la Ferraris.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Studiai a memoria "Sogno d'estate" in seconda media, la vecchia scuola media di quando si leggeva nell'arco dell' anno scolastico tutta l'Iliade nella traduzione del Monti e si traducevano dal latino il De Bello Gallico e le Catilinarie. Mi scuso per il volo pindarico, ma la memoria a volte si sbriglia fra i ricordi; la poesia mi ha reso vivido il motivo per cui Carducci, a quel tempo, era il mio Poeta preferito. Ho avuto la fortuna di incontrare, nel mio percorso di studi, ottimi Docenti, severissimi, ma appassionati e intelligenti, in particolare la Professoressa di lettere. Noi ragazzi la seguivamo nella lettura dell'Iliade e, mentre si procedeva, andavano formandosi le due tifoserie, chi per i Troiani chi per gli Achei. All'acme della innocua gioiosa competizione, la nostra Prof inserì lo studio del Carducci e del suo classicismo. Mi è ritornata alla memoria, zoppicando un po',questa meravigliosa lirica nel suo perdersi negli effluvi e nei colori della primavera, non semplice descrizione, ma sovrapposizione, addirittura interessenza di vita. Nessuna immagine banale, nessuna sbavatura di sentimentalismo: la poesia che comunica bellezza universale con eleganza. Mi permetto di dire, che ho sempre avuto la sensazione di sentire la voce di Carducci "parlare"i suoi versi: credo che sarebbe stato un burbero ottimo performer. Quanto ci sarebbe ancora da dire, ma mi fermo anch'io, come Franco Campegiani, perché non sarebbero sufficienti migliaia di pagine...
RispondiEliminaGrazie a Maria Grazia Ferraris: ho rivissuto uno dei periodi più belli della mia adolescenza, quando scorrazzavo libera e felice sulle colline moreniche dietro Desenzano del Garda.
Maddalena Leali
Maria Grazia Ferraris dà prova di essere dotata di altissime doti di esegeta in ogni suo intervento. In questa recensione su Giosue Carducci, primo poeta italiano al quale venne conferito il Premio Nobel. La nostra Amica sottolinea i grandi temi della poesia carducciana, il forte sentimento di saudade, la nostalgia, il legame con la natura e la statura di artista civile, poco studiata sui banchi di scuola. Sottolinea il dolore del Vate per la sofferenza degli innocenti e la speranza di una ricerca di pace. E leggendola ho riflettuto sull'attualità di questo Poeta, la cui fama è stata ridimensionata con il passare degli anni. La ringrazio di cuore per aver arricchito il mio / il nostro bagaglio di conoscenza e per avermi letteralmente rapita. Un abbraccio a lei, a Franco per il suo ottimo post e al nostro "Vate" Nazario.
RispondiEliminaSplendidi commenti, intelligenti e sensibili, di cui non so come ringraziarvi carissimi tutti, compreso l'ultimo (o l'ultima?)così affettuoso, che pur non si firma
RispondiEliminaPerdonami Maria Grazia, solo ora mi sono accorta di non aver firmato. Ti abbraccio ancora con infiniti stima e affetto.
RispondiEliminaMaria Rizzi