Marisa
Cossu legge: “E fu per me l’amor un dolce fuoco”
di
Maurizio Donte
Petrarca
nella poesia contemporanea
Marisa Cossu, collaboratrice di Lèucade |
Nulla
di più affascinante per un’aspirante poetessa, della lettura e del commento delle
opere, in questo caso un sonetto, di
Maurizio Donte, che mi pregio seguire da alcuni anni sia per affinità
ideale alla sua poetica, sia per la passione che entrambi manifestiamo verso la
tradizione culturale, in particolare per l’immenso lascito di Dante e Petrarca,
presenti nella poesia dell’Ottocento e del Novecento. In tal senso l’opera del
Donte va inquadrata: un ponte tra il passato e la contemporaneità, un
passaggio cui i poeti non possono sottrarsi, a mio parere, senza elidere zone
consistenti del divenire poetico e della critica d’arte.
Riscontriamo
dunque, la crepuscolare ironia di un Gozzano, che intesta I colloqui(1911), con un titolo – epigrafe petrarchesco, Il giovenile cuore, e rileviamo che Saba deriva da Petrarca, più che il
linguaggio, l’idea di una struttura lirico-melodica come il suo Canzoniere. A Petrarca guardano
soprattutto le poetiche di alcuni movimenti culturali e letterari come la
“Ronda” o l’ermetismo, con il recupero di un linguaggio più adatto a dar voce
all’interiorità dell’io. Non a caso Lorenzo Montano nel saggio Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono (1929), individua
nel Canzoniere il rapporto tra
ricerca formale e biografia sentimentale di Petrarca: egli suggerisce una restaurazione dei valori poetici (linea
Petrarca-Leopardi), che il “sorvegliato classicismo” di Vincenzo Cardarelli
porterà a verifica sperimentale. Non diverso è il rapporto che il Petrarca
stabilisce con la Scuola ermetica: Mario Luzi, instaura un legame tra
dimensione esistenziale e dimensione espressiva in sintonia con l’esempio di G.
Ungaretti; infatti è in Ungaretti che l’incidenza del petrarchismo è più forte,
perché egli riconquista le forme metriche regolari(endecasillabi e settenari ne
Il Sentimento del tempo (1933), ma
realizza anche una precisa poetica della memoria nello scavo interiore che
deriva dai Rerum vulgarium fragmenta.
Questo
sonetto del Donte, come tutta la sua opera, si pone in continuità con le
migliori esperienze culturali della nostra epoca, si dona onestamente, senza
imitazioni e indugi, con generosa passione a tutti noi che, disincantati
fruitori di input di ogni genere, o in cerca fuori dall’uomo di nuovi
linguaggi, ci chiediamo che cosa è la poesia, chi sono i poeti, a che cosa
servono, se è ancora possibile una poesia priva di quei valori etici ed
estetici che il Donte ci regala a piene mani.
Questa
non è soltanto una poesia dell’amore perduto, non una lamentazione del poeta
per la sua rovina: è una grande metafora della vita che prima sorride e infine
mostra il suo volto di impossibili speranze, di illusioni tra le tempeste
dell’anima e un canto, morto prima di esistere.
È in questo scavo interiore la
bellezza e l’arte del Nostro, che, appropriatosi profondamente delle regole
metriche e del linguaggio – ponte tra la tradizione letteraria e i sentimenti
che sempre albergano nell’uomo, reinventa un mondo poetico i cui frammenti sono
scritti dentro di noi: perciò li riconosciamo e li amiamo.
Marisa
Cossu
E
fu per me l'amor un dolce fuoco
E
fu per me l’amor un dolce fuoco,
un sole nato, un raggio di mattina,
un segno dato al cuore, oppure un gioco,
prima che scenda tenebra e rovina.
Non
sono altro ormai che un suono fioco,
un'onda che alla riva s'avvicina:
un vecchio che non vive se non poco,
la luce nella sera che declina.
Un
canto nato e morto in un momento,
un'anima percossa da uragani;
un vento che non sai da dove viene
è
il tempo ch'é passato e che non tiene,
ma corre attraversando le tue mani,
senza dire nient'altro che: mi pento.
Maurizio
Donte
fantastica...
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