DISORDINE
VERTICALE
Quanti girotondi d’abeti
mancheranno
Uno due tre
la conta in genere si fa
toccando le teste una ad una
in fila con la mano,
ma ora lassù sull’Altopiano
dentro un silenzio che sembra
innaturale
tronchi dormono sui tronchi
disordinatamente
corpi ammassati nelle fosse.
Forse allora io non so contare
fino a mille duemila tremila,
una alla volta la nostra
distrazione.
Uomo contemporaneo che
inciampi e cadi
sopra i tuoi stessi errori, uomo
sguardo orizzontale
che vedi a senso unico le cose
ascolta la radice che ti
parla, colma l’incolmabile distanza
tra te e il suo grido
verticale.
Poi aiutami a finire quella
conta.
Trecentomila possono bastare.
Uno sterminio, una strage, un'ecatombe. Le vittime non si possono contare, né forse è giusto contarle, ogni abete essendo un tutto, un mondo, un universo spirituale. Quando mai s'è vista sulle Dolomiti una tempesta tropicale? Uomo d'oggi, rifletti, "colma l'incolmabile distanza tra te e il suo grido verticale". E capitola, prima che sia troppo tardi.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Certo caro Franco, la conta nella poesia è solamente stata funzionale alla chiusa che racchiude in sé l’amarezza per ciò che sta accadendo e la necessità urgente di risvegliare le nostre coscienze assopite. Prima che sia troppo tardi.
EliminaIn caso contrario altre e altre tempeste tropicali vedranno le Dolomiti.
Ti ringrazio di cuore per la tua preziosa nota di lettura.
Annalisa
La natura fantasticata, sognata, amata –i boschi del Kranz o del Gruppach- il paesaggio ben conosciuto che non è più…I nomi che sono presenti nella quotidianità affettiva, punti di riferimento, riconducono alla realtà sofferente che è stata violata: nessuna conta, nessuna filastrocca, nessun sonno ristoratore darà loro nuova vita. Un esame di coscienza diventa necessario per questa umanità indaffarata e stolta: l’esame deve trasformarsi da quello superficiale, distratto, orizzontale a quello verticale, profondo, ascoltandone “il grido” che sale su al cielo fin dalle radici devastate
RispondiEliminaGrazie cara Maria Grazia per questa tua lettura sensibile e attenta che ti ha permesso di entrare nella profondità del grido verticale della radice, grido necessario a richiamare l’umanità distratta.
EliminaQuegli abeti del Kranz e del Gruppach non cresceranno più ma altri, nuovi di linfa prenderanno il loro posto perché la natura (almeno lei), seppur violata, ha in sé le regole necessarie a ritrovare l’equilibrio.
Con stima e affetto
Annalisa
Credo che soltanto i bambini sappiano contare fino a trecentomila, anzi, fino a un milione al termine della quinta elementare. Imparano anno per anno prima con l'abaco, poi cambiando le cifre all'interno dei numeri dopo aver compreso il valore di segnaposto dello zero, quindi, alla scuola media, ecco la calcolatrice, uno dei primi oggetti della tecnologia moderna, e la realtà che corrisponde univocamente al numero sparisce. Nessuno conta più né tempo né eventi né "cose"; tutto corre via a velocità sempre più folle finché qualcuno non lancia l'urlo (ricordi Klimt?). Questa volta è la Natura con suo figlio, il Vento. Ora l'uomo è costretto a contare, un posto alla volta, sulla linea dei numeri cambiando valore quando incontra lo zero, fino a trecentomila. Non è soltanto una esigenza di chiusa, dolce Poetessa amica mia, è la realtà e se non presteremo attenzione, il grido si farà sempre più alto e verticale.
RispondiEliminaMaddalena
Indubbiamente, cara Maddalena, il tuo pensiero è il mio e ti ringrazio. “L’urlo” di Munch è oggi l’ululare del vento, è stato ieri il crollo del ponte della tua bella Genova e sarà, ancora sarà altra devastazione-ribellione alla “disattenzione” dell’uomo.
RispondiEliminaIl numero, se si parla di vittime ha sempre un significato relativo (come giustamente ha scritto Campegiani) perché anche una sola vittima dovrebbe bastare a scandalizzare un’anima sensibile.
Parlando della mia poesia posso dire che la quantità inimmaginata di piante al suolo ha reso ancora più evidente il fenomeno e quel numero trecentomila (che ora è stima superata, essendo più di un milione gli alberi caduti solo sull’Altopiano di Asiago) è stato un macigno in me. Il verso in chiusa che lo contiene è stato quello che noi definiamo ”il verso degli dei” da cui poi ha preso corpo la poesia.
Ti ringrazio anche per la tua bella riflessione su numeri e bambini.
Annalisa
Grazie per la risposta, Annalisa cara, che mi induce a riflettere e meditare intorno a Platone, che amo sempre di più.
RispondiEliminaOra però sento il bisogno di dire che proprio a Klimt ho pensato leggendo la tua poesia, guardando le immagini sconvolgenti degli alberi abbattuti nei vostri boschi, ma anche vedendo direttamente i nostri piccoli boschi di acacie sdraiati al suolo. Ho pensato a Klimt e alla sua Adele Bloch-Bauer ritratta decine e decine di volte immobile e priva di espressione con un urlo muto nello sguardo fisso, statica figura indifesa esattamente come l'albero, certo non fragile, ma indifeso sì. Ho visto a Milano, durante la mostra dedicata a Klimt, la lunghissima sequela di ritratti quasi uguali, sequela conclusa con il gigantesco "Tod und Leben" dove la Morte osserva un ammasso di corpi aggrovigliati. Questo silenzio mi è sembrato altissimo e verticale, lo stesso urlo silenzioso che lascia parlare le immagini del nostro ponte e di tutta la nostra Terra, e parlo della penisola intera, che è come un vecchio delicatissimo prezioso pizzo che si va consumando se nessuno provvederà a prendersene cura.
Maddalena