Roberto De Luca su Stanze quotidiane di MariaPia Brunelleso
da D’amore
Folle,
la tua stessa presenza,
se
in te, racchiusa e assorta,
l’alterità
si ricompone nei silenzi,
sovrapposti
all’assenza.
Folle,
l’idea inconsapevole di noi,
trattenuta
fra le dita,
a
confine fra un prima e un dopo,
nel
farsi lento di carezze,
come
se tu, fossi nuovamente tu,
ed
io, a cercarti le mani.
Questa poesia mi fa venire in
mente qualcosa di sconfinato, dove, anche se non citato espressamente, esiste
un paesaggio, forse dell’anima, nebbioso e sfuggente, poetico e complicato
nello stesso tempo. Poesia ricercata, priva di rime, ma molto assestata e
corretta nella forma come nello sviluppo dei versi, il cui timbro ricorda costantemente
la voce dell’interiorità. E nell’interno, in tutto ciò che è dentro, che
ricerca e trova luce e amore questa
poesia, che non dicasi poesia intima o intimista, ma piuttosto poesia
‘indagatrice’e scopritrice delle pulsioni interne dell’animo, bellissima sinfonia
in osmosi tra realtà vissuta e sentimento.
Nella poesia stessa si
riscontra quindi un dialogo intimo che però prende spunto da un panorama esterno , nel senso che le liriche sembrano nate
prendendo spunto dal mondo e da esso
riportate verso l’interno, laddove i contorni sfumano e resta integra
l’essenza, che risulta priva di materialità e di fisicità.
Poesia n IX
Aggiungo
ali al volo
e
nuova rotta al mio pensiero …
Sarà
quest’aria nuova di Aprile
che
muta il timone e noi altrove
ove
tutto diventa minimo e vago
nella
sua giusta dimensione.
E’,
nel tuo abbraccio
la
mia sponda sospesa di luce
e
bevo con gli occhi, a piccoli sorsi,
la
gioia infinita di esistere,
in
questo microuniverso di noi
intimi
e sparsi, nel tenero ozio
di
un giorno distratto.
In questa poesia sembra che i due
amanti siano distesi sulla tolda di una barca a vela, a cavallo delle onde ,
persi in un piccolo universo poco distante dalla terraferma, quindi dalla
sicurezza , che in questi contesti poetici sembra essere necessariamente alla
base o alle spalle di ogni forma di evasione, ma comunque presente. Ed è
proprio qui, a nostro avviso, il nocciolo della questione , il cuore della
poesia della Brunelleso, che non ancòra
la propria Arte a una realtà nuda e cruda, ma a ciò che da essa nasce e
trascende.
Il flusso, le onde si muovono
lungo la diegesi poetica toccando sponde e argini, passando sopra alle parole
facendole vedere o immaginare come lungo le trasparenze di un fiume. Esse
provengono da una sorgente vicina, ma comunque invisibile, quasi che la poetessa
faccia attenzione a non svelare ciò da cui è stata ispirata, lasciandoci
comunque intuire la sua grande capacità di osservare, sia il mondo, che gli
esseri umani e di dedicare loro , al contempo, intere pagine ricche di
sentimento. Nella parte dedicata al figlio, ad esempio, questi appare distante,
immerso in una realtà lontana e la poetessa ne tratteggia i lineamenti, le
espressioni del viso, ciò che è racchiuso nello splendore dello sguardo,
ridisegnando la realtà, anche questa volta, ma non una realtà inventata
ovviamente, piuttosto una realtà meno inquinata dalle cose che vengono dal
mondo, quella pura quindi, quella che scaturisce dal sentimento e se ne
infischia delle brutture del mondo, rendendola evidente al fruitore in maniera
coraggiosa.
E’ una realtà comunque ben
vissuta, all’interno della quale la poetessa si trova a proprio agio, in
sintonia con ciò che è desiderato nell’intimo, come la felicità, che appare
citata ad hoc in questo fantastico brano
di prosa che va a chiudere brillantemente questa silloge di poesia:
Eravamo
sulle scale, l’altra sera, quelle prossime alla porta d’ingresso, rimasta
spalancata, come si usa ancora, senza timore, nei paesi del sud. Dall’interno
giungevano suoni di stoviglie e voci dal mondo, attraverso il televisore
acceso.
Aveva
appena smesso di piovere: un acquazzone violento, improvviso, con tuoni e
fulmini, a gettare una luce di giorno pieno, sulle case fattesi improvvisamente
silenziose, le strade svuotate, mentre la terra, vorace, aveva ingoiato
all’istante l’acqua piovana, per un’arsura di mesi, cedendo all’aria
quell’odore tipico di un’astinenza lunga, un desiderio muto, una richiesta
taciuta eppur palese, colmata da una furia, come di passione a lungo repressa.
A tratti, sembrava udirsi quasi un affanno. I lampi, intanto si andavano
concentrando giù a valle. Ancora qualche goccia cadeva, brillando nella luce
dei lampioni. Il fresco sulla pelle, mi è parso inebriante, sembrava un invito
alla danza, ma io e te, restavamo seduti, vicini, sullo stesso gradino, a parlare
di cose leggere, così come l’aria intorno e ridevamo piano, stringendoci forte.
La
felicità, sedeva in mezzo a noi ….
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