Confluenza
in un naturismo dal sapore di naufragio leopardiano
Estasi
il confine
con
la
morte
Iniziare
da questa poesia incipitaria significa penetrare già a fondo nella poetica di
Innocenza Scerrotta Samà. Estasi, confine, morte; e, aggiungerei, limen e
spazi, mito, trasmutazione infinita:
Al di qua
del confine
trasmutazione
infinita.
In costante
anelito
di vita.
Termini
che nella loro espansione etimo-significante fanno da antiporta, da prodromica
apertura ad un viaggio di polisemia levatura. Un andare zeppo di tutti i
quesiti dell’essere e dell’esistere, di ogni propensione verso quell’azzurro
che attrae da sempre la nostra pochezza. Forse perché proprio nel mistero di
quel colore, l’uomo intra/vede il bilanciamento della sua insufficienza. Vita
morte, ordine caos, alfa omega, Ulisse e nessuno, il niente e il tutto: quel
polemos degli opposti eracliteo di cui è fatta la nostra essenza; la
navigazione in un mare enorme e pauroso che può significare fine, ma anche
apertura ad una libertà luminosa e indecifrabile di memoria alfieriana, di
palpito neo-platonico, ellenistico; luce aeropagita (Dionigi l'Aeropagita, luce degli
stiliti del deserto; o S. Francesco, di Dante, luce luziana ("Nel
viaggio terrestre e celeste di Simone Martini"); ed è proprio nella
simbiotica fusione delle contrapposizioni che la Poetessa riesce a trovare un
faro che illumini il porto; che faccia da bussola per il ritorno ad una
spiaggia familiare, seppur nuova, rigenerata; ad un’Itaca dai tramonti eterei,
dai giardini paradisiaci, senza Proci, con Penelopi e Telemachi freschi,
desiderati ed amati; per vivere tutti
assieme in quest’angolo di felicità e di sogno. Per ricuperare nei confronti di
sconfitte, volute forse dal destino, o da chissà mai quali congegni
imperscrutabili. Il fatto sta che il cammino è lungo, come lunga e problematica
la vicissitudine di un’anima che scopre strade nuove dopo forti, e inquietanti
peripezie. Di un’anima che si aggrappa a quell’azzurro come àncora di
salvataggio; che si guadagna la cima dopo una scalata ripida; che scorge un
fascio di luce abbagliante dopo una selva oscura e dolorosa:
Nel secolare oceano
di dolore,
il canto
del cuore,
il succo dolce
delle vigne,
il bacio della pioggia
amica.
Poesia snella, audace, apodittica,
generosa di perlustrazioni intime, di interrogativi quotidiani e universali,
che si amplificano in un andare di soluzioni eteree, escatologiche,
verticali; una via crucis di stazioni dolorose, che, partendo
dal terreno e dalle sue molteplici insoluzioni, o dalle sue illuminanti e
romantiche nicchie di luna (Estasi/ la/
brezza lieve/ sui/ biondi capelli/ di/ Lavinia/ al sole/ d’aprile./ Alla luce
dorata della luna.), si eleva alle soglie del Cielo, con una spiritualità
ed uno slancio tali da farsi estasi e pienezza ontologica; confluenza totale in
un naturismo dal sapore di naufragio leopardiano:
Estasi
l’urlo
dell’oceano oscuro,
il bacio
dell’onda
sulla
riva,
(…)
senza
ieri
e
domani,
con l’insegna
d’un mare
senza scogli,…
di
un amletico Ulisse in un mare senza confini.
Ed
è il verso, con tutta la sua carica verbale, con tutto il suo valore semantico,
e con tutti i suoi nessi inconsueti ad accostare folgorazioni ora surreali, ora
visionarie, ora parenetiche. Una struttura poematica breve e succinta, moderna
e meditata, dove la parola è tutto; è sufficiente a se stessa nel verso
appagato di essa, architettonicamente gotica, se si considera l’altezza du
plafond a cui volge lo sguardo. La Nostra fa del dolore una base di appoggio per una arrampicata diretta agli
abissi della poesia; all’ossimorico travaglio fra l’umano e il divino. D’altronde
è proprio dell’uomo aspirare all’oltre per svincolarsi dai limiti della
terrenità, dacché, cosciente del tempus fugit, ha sempre sofferto della
posizione scomoda della sua precarietà di fronte alla morte; o del malum vitae
di fronte ad un mandorlo fiorito nella luce di marzo senza dilemmi e angosce.
Ma la Poetessa si completa in un superlativo stato di estasi, in una poesia che
raggiunge la plurivocità di cospirazioni palingenico-epifaniche, per vincere il
tempo:
Apoteosi
d’un coro
senza tempo.
Alla fuga
del tempo,
l’eterno presente
col messaggio
d’un essere
vivente.
Dove
presente e passato si fondono insieme per scrutare il fremito oscuro del
domani:
Fremito
oscuro
Il già
Il non
ancora
Si parte dalla vita vissuta, da tutta la sua pienezza:
amore, contemplazione, melanconia, stasi e fughe, andate e ritorni, nostos e
nostoi, saudade; “abisso di se stesso”, libertà, sguardo ad orizzonti impossibilmente
possibili:
Dall’abisso
di se
stesso,
alto
maestoso
lo sguardo.
Libero
come
allodola
di
prato.
Un odisseico viaggio che ci dice del vivere e
della sua complessità: un milieu entre rien e tout. E qui c’è tanto di
pascaliano, di ricerca, non solo spirituale ma anche verbale in un proposito di
fare del lemma un tatuaggio di un’anima tutta
volta a completare se stessa. E la Samà sa che solo la poesia può
rivelare il misterioso nesso di ricongiunzione fra il non essere e
l’essere. Fra quello che siamo e quello
che dovremmo e potremmo essere. Ed è alla vita che si ritorna dopo un lungo
viaggio, perché è quella che la nostra ama. È quella che brama ed ha bramato
vivere in tutta la sua purezza, in tutta la sua epigrammatica esistenzialità, declinandola
in poièin, con un atto onirico che fa da leitmotiv a tutta l’opera. Sta proprio
in questa identità fra asciuttezza fenomenica e volo pindarico il canto; e si
sa quanto sia problematico tradurre in parole tanto sentire, tanto sperdimento
esistenziale; per questo la Samà ricorre al mito, a traslati iperbolici, a
misure simboliche, ad un discorso metaforico-allegorico, per superare un
impatto verbale che la vincolerebbe ad una cifra troppo terrena. Un mito
sfiorato, appena accennato, rinnovato; un mito che racconti gli abbrivi emotivi
dell’Autrice. Un mito che non dica di sé ma che si assoggetti alla totalità
intima di una storia; ad un pathos che sente forte il bisogno di concretizzarsi
in figure sapide di classico, di nuovo, di sempre:
Su ali
di
silenzio
e
d’uragano,
il canto
di
Saffo
piena
d’Alceo
e
d’antica parabola
d’amore.
Il
memoriale stesso assume una valenza da nirvana edenico, da alcova rigenerante,
che poco ha a che vedere con la tensione umana che ri/vorrebbe a vita figure e immagini amate, luoghi e tempi
di una storia. Ella desidera perpetrarli con sé; tutti assieme in questo voyage
misterico e misterioso; dolce e immacolato; quello di un nostos, di un ritorno
a un mondo che ha cambiato i connotati facendosi diverso, sognato e realizzato,
grande e, anche, immortale sotto la spinta di una poema che si eleva
all’eccelso “Sulle rive/ dello Xanto,/
odorose/ di/ zagare/ e/ verbena,/ esile/ e/ nuda/ con riflessi/ d’alba/ nel
totale/ oblio.”.
Una
rinascita in Luce d’estasi:
In luce
d’estasi
l’ombra
dei
cipressi.
Un
urlo di luce a vincere la morte.
Nazario
Pardini
Pagine che colmano di gioia il vivere.
RispondiEliminaGrazia