CARMEN MOSCARIELLO, COLLABORATRICE DI LEUCADE |
Nazario Pardini “I dintorni dell’amore ricordando Catullo” Guido Miano Editore, Milano 2019
«Chi quel gong percuoterà apparire la vedrà bianca al pari della giada fredda come quella spada è la bella Turandot!»[1]
Nazario
Pardini nelle sue poche note biografiche ci dice che vive tra Arena Metato e
Torre del Lago Puccini, due località amene tra le più belle d’Italia.
Certamente se Puccini e Mascagni fossero ancora in vita l’avrebbero invitato
a far parte del loro club de La Bohéme[2]
e lì presso La Torre, nelle sere estive, avrebbero ascoltato i suoi versi e
goduto insieme dei concerti e delle
Opere del grande Maestro, lasciandosi avvolgere nelle note de La Tosca, di Madame Butterfly, de La
fanciulla del West e altre
meravigliose composizioni che Puccini musicò proprio soggiornando nella Torre,
fatta da lui ristrutturare e che oggi accoglie le sue spoglie. Una Casa della
musica dove tuttora si eseguono grandi concerti, costituisce un luogo fantastico, in parte
simile ai Giardini de La Mortella a Ischia dove il compositore inglese William Walton eseguiva i suoi concerti per un pubblico
proveniente da tutto il mondo, e oggi
sede di appuntamenti musicali che placano
la furia del monte Epomeo, mentre le chimere scivolano al mare tra paradisi
di fiori e piante.
Mi
sono così a lungo soffermata sui luoghi, poiché quest’opera mistica si
avvolge dolcemente nella bellezza dei boschi, del mare e della terra, per entrare
nella verginità dell’amore. Segue il poeta le malinconie del cuore, e intreccia inserti di viole con
la poesia di Catullo. E’ un comporre
senza catene, un pentagramma sul quale il poeta ama scandire le note di
Lesbia, Delia e Catullo.
La
tipologia poetica dei due autori è alquanto diversa. La passione istintiva, irrefrenabile
di Catullo, il piangere e maledire Lesbia non appartengono al nostro Autore,
il suo amore è quello delle ninfe dei boschi ed egli Apollo (apollineo) [3]accarezza
col sogno e l’immaginazione la sua donna, sempre inseguita, sempre amata.
Ancora una volta i luoghi dove il poeta si è formato ci aiutano a capire: lì
vicino alla sua casa c’è il parco naturale di Migliarino altro luogo
incantato. Nella sua poesia i boschi, il mare sono protagonisti tanto quanto
la donna, non c’è dicotomia tra le due amanti (la natura e Delia), tutto il
poeta sa ugualmente sposare e contenere nei suoi versi eleganti, formatisi
anch’essi sulla metrica latina quantitativa, proporzionati nella sua prosodia
di piedi, arsi (il tempo forte) e tesi (tempo debole), ictus. La struttura
dell’opera è ben pensata, secondo i canoni dei Canti Gregoriani e i Corali
Benedettini, ed egli amanuense accorto ce la dona in tutta la sua armonia e nei colori più belli della poesia. Ci restituisce
un mondo costruito sulla nostalgia, sull’incanto dell’amato per la donna, sui
movimenti d’acqua e di terra, sullo scintillio del mare, sulla nera terra
contadina, amata sapida di nostalgie e ricerca anche d’amore filiale.
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Lo
strazio del ricordo in una parte del libro, prevale nettamente sugli inquieti
desideri catulliani per trasformarsi in
un dolore acuto.
Quest’opera
di poesia così bella, così densa di colore e di amore non è facile da raccontare,
tale è la sua immensità, in primis, avvicinarsi ad essa genera grandi e diverse emozioni che Nazario Pardini , da
noi tutti, considerato grande poeta, grande maestro di eleganza e perfezione
letteraria, ci irradia, sorprendendoci, ammaliandoci. Il sacerdote
del paradiso di Lèucade, più che mai ci fa sentire parte di questo
spazio divino, il suo scoglio d’amore dove coltiva le rose della poesia, qui approdano
le opere di infiniti poeti.
Quest’opera
così luminosa, che insegue Bellezza, che vuole Bellezza, ha anche delle note in
requiem, (il dolore acuto!), poiché se la freccia d’amore mai non toglie il suo
accamparsi, arriva un momento in cui anche
il poeta non può andare oltre, rimane alfine la sua arte, quella si è eterna.
Queste due sponde apparentemente opposte, in verità si inseguono, il Poeta,
l’ho già scritto in altre occasioni, non invecchia mai, è vero che il suo corpo e la sua mente e il suo cuore non
trovano lo stesso ritmo e l’amore, per quanto grande possa essere, finisce (qui
il dramma), la nuova prospettiva d’eternità si apre sul panorama della Grazia,
della Poesia , sull’arte che eterna. Così i versi di Catullo per Lesbia che hanno
reso immortale la sua donna, forse tra
mille anni, se l’uomo avrà conservato ancora un briciolo della sua umanità,
manderà a mente i versi d’amore per Lesbia,
e li ripeterà alla donna amata .
Nel Requiem intendo la meditazione del Poeta sulla fine della vita terrena, quando
finiscono anche i sussurri, i giochi d’amore. Meditazione che si amplia, come
per chiedere conto a se stesso del modo con cui ha speso i suoi giorni. Proprio
quest’ultimo punto lo congiunge al divino, anzi, la perfetta direzione delle
sue scelte, sono naturale conseguenza, non solo di accettare e amare la vita,
ma essere certi che l’alito dello Spirito Santo scende non solo su tutti gli
apostoli, ma anche sul poeta che grazie al suo sentire è il più vicino a
Dio. Grande è l’amore per la natura e le
altre creature che popolano il mondo (gli uccelli) in essa c’è la forza del
Creatore.
L’incontro
in eterno, senza fine, è solo nella Bellezza e magnificenza di Dio, nel candore
della luna, nella ricerca del canto, quello più alto perché si possa dire che i
sentimenti che ci legano alle persone che amiamo non conoscono tempo, scivolano
nel più piccolo rigagnolo della nostra anima e lì rimangono per sempre.
Se
ci avviciniamo ai suoi versi, in essi vibra una musicalità romantica, una
preghiera che attinge, come già dicevo, dall’introito del Requiem (dies irae) per
planare come un airone (l’airone è
protagonista dei suoi versi) in cerca d’amore sulle inafferrabili note
di Franz Schubert o ancora di più in quelle di Domenico Cimarosa, la cui musica
possiede le sfumature luminose del mare
di Napoli, come nel libro di Pardini ci sono i mille riflessi e il dolce
parlare del mare della Versilia, già a noi noto, affascinate, a suo tempo, dai
versi di Attilio Bertolucci.
La
Poesia nei suoi grandi figli è molte cose: è passione, amore, disperazione,
lotta, musica, filosofia, divinità, profezia. Nei versi del mio amico Nazario
Pardini ci sono tutte queste diverse tonalità che come un fiume che tutto
raccoglie, sfociano nel mare che può essere luce di bene o terrore del male. “E’ proprio vero, il fiume scorre portandosi
dietro ciottoli, acque chiare, torbide, detriti, piene e bonacce. E tutto va a
finire in un mare immenso, infinito. Avrà funzione catartica quel mare,, che
all’apparenza pare chiaroe brillante, poeticamente tanto vicino all’eterno?
Potrà purificare tutto ?La portata del fiume è pesante. Pesante quanto la
nostra memoria E a chi l’affideremo, dunque? A chi affideremo quel grande
patrimonio che tutti ci portiamo dietro, e a cui ci aggrappiamo col passare
degli anni. Ad un credo religioso, ad un politico, , o a un’isola come quella
di Léucade, ad esempio. L’isola del bello, della poesia, dell’amore , della
pace. L’isola in cui tutto è buono forse perché tutto è in mano dei grandi
poeti. Se noi sfociamo in un mare così immenso, avrà il potere catartico di
assorbire bene e male e trasforma la materia purificata in Spirito? L’avrà
(Pneuma )lo Spirito Santo questo potere di infondere tutta la sua forza sulla
materia per evolverla in bene? Io ci credo.[4]
Il
credo del Poeta è nella poesia che è
il soffio nell’uomo dello Spirito Santo, dell’ uomo che rinnega
la materia per essere pura bellezza.[5] E ancora l’amara riflessione di Nardini: “ da qui il male dell’uomo contemporaneo : il
suo annullamento nella realizzazione di fini materiali”.
La
prosa incisiva e di denunzia è nella prima parte del Trittico[6].
La brava prefattrice Rossella Cerniglia divide l’opera in tre parti, una
loggia, a se stante, posta all’inizio delle pagine, è “La lettera” che l’autore scrive in
confidenza e amore all’amica sconosciuta: può apparire strano il termine
“sconosciuta”, ma in verità, anche lei appartiene a quel divino a cui tutta l’opera
si ispira.
La
lettera molto vicina ad alcuni scritti oraziani invoca per i giovani
comprensione, essi più che mai hanno bisogno d’amore, il Professore-Poeta
Nazario Pardini chiede amore, rigore e onestà a chi dovrebbe guidarli.
Saluta
l’amica con i versi bellissimi d’amore di Catullo per Lesbia :
Passer delicae meae puellae ,
quicum
ludere , quem in sinu, tenere
cui
primum digitumdare adpetenti
et
acris solet incitare morsus.
Versi
di Catullo che si intrecciano a quelle
che Nazario Pardini scrive di suo pugno
per l’amica sconosciuta: ”E tu mi sei
apparsa proprio come un passero spaventato, da prendere nelle mani, e
riscaldare, per ridarti all’aria, al cielo, al volo, ai brividi del vento , mia
fanciulla”. Il sentire dei due poeti si congiunge e crea un concerto per
l’universo, per chi sa amare, per chi ignora
le distanze dei luoghi, il poeta sa percepire, sa intuire , cogliere le verità del
dolore. E’ il divino che nidifica nel suo cuore
e si allarga sul mondo abbracciandolo ridandogli la verginità della
Croce.
E,
ancora, riprendendo il dialogo che il Poeta ha con l’amica mai conosciuta, le
dice:” Cara mia,… torniamo al grande fiume, il fiume sta per fluire nel
grande mare . Spero solo che si
tratti di un’acqua non troppo salata né troppo sporca. E spero soprattutto
mantenga un po’ di quell’aria sapida di terra e di pineta che ho sempre
respirata” Qui la prosa è brina
lucente, è stella di fiori, è l’incanto del mare, è paura per l’ignoto, che cosa ci aspetta
domani…... Le lacrime grigie trovano approdo nel verso, in ciò in cui il poeta per
tutta la vita ha creduto.
Nazario Pardini mi fa pensare a un cavaliere errante,
ai poeti del Dolce Stilnovo che hanno votato la loro vita per una grande Donna
(la filosofia, l’Amore, La Poesia, la Religione). Cavalcare gli orizzonti è
proprio dei grandi che su una feluca del Nilo
hanno attraversato gli oceani, tutto
il passato (per Nazario Pardini è soprattutto il mondo classico ) e tutto il presente della Poesia
e della Bellezza con solide radici nella casa dei grandi maestri, ma con chiome
attuali fluttuanti di luna, riflettentesi nei cerulei marmi delle ville medicee
di Arena Metato.
“La pietra è una fronte dove i
sogni gemono”, portarsi addosso il sudario è cantare l’amore,
ossimori, orchestrati così bene dal Maestro, nel suo andare pensoso alla casa contadina
di chi l’ha generato, a una vita colma che ha bisogno del mare, ha bisogno di
capire, comprendere ancora, mai paga. Risalire alle origini, senza occhi si
guarda di più, si guarda l’assenza che in metamorfosi si pone come compagnia da
accettare, da levigare , renderla come un apparentamento, un essere amici . Un
veleno mortale il requiem che solo il poeta può raccontare, traducendolo in
versi immortali. Un canto che è anche sensualità, profumo femmineo, passione,
così come fu per Catullo, fratello al
poeta per le pene d’amore.
Un
filo ininterrotto, luminoso come il filo d’Arianna porterà il poeta fuori dal labirinto,
approderà alfine ancora una volta a Lèucade per guidare il suo angelo d’amore,
una sinfonia di abbracci, un appartenersi per sempre.
Carmen
Moscariello
[1] Puccini,
Turandot , Coro, Atto I
[3] Nazario
Pardini, “inseguivo nei boschi una
fanciulla”
[4] Nazario
Pardinoi, I dintorni dell’amore, Lettera
ad un’amica mai conosciuta, pg21
[5] Andava
nei boschi una fanciulla
Um'analisi colta, dettagliata e acuta della poetica del grande Nazario, complimenti a entrambi. Carmen Moscariello è una splendida penna, nonchè un'anima nobile
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