lunedì 23 marzo 2020

ENZO CONCARDI LEGGE: "IL RETAGGIO DELL'OMBRA" DI ROSSELLA CERNIGLIA, GUIDO MIANO EDITORE



IL RETAGGIO DELL’OMBRA
DI ROSSELLA CERNIGLIA

Recensione di Enzo Concardi

Il retaggio dell’ombra (2020) - con prefazione di Nazario Pardini e postfazione di Guglielmo Peralta - è l’ultima fatica della poetessa siciliana Rossella Cerniglia. E’ un testo forte, un estremo messaggio ai contemporanei per fermare la corsa verso il baratro antropologico, morale, sociale verso il quale l’umanità sta andando. E’ una sorta di testamento filosofico dell’autrice, una denuncia radicale che scaturisce dalla sua meditazione sul male e sulla morte, nuclei centrali di questo lavoro, dove tutto o quasi tutto è immerso in un nichilismo pratico – reso spesso con immagini crude, funeree, da tragedia greca o racconto epico - che richiama una folgorazione di Nietzsche: “A furia di guardare nell’abisso, verrà il giorno in cui l’abisso guarderà dentro di te”. Se lo stesso Nietzsche aveva proclamato “Dio è morto!”, la Cerniglia dichiara apertamente “L’anima è morta!”: “Trascolora ogni aspetto dell’umano. Perduta è l’anima / nelle fumose stanze che simulano la vita / e sbiadita, illanguidita giace.” (da Apocalypse). L’incedere delle immagini è incalzante, battente, ci trascina in un viaggio metafisico dal reale al surreale con fantasie simboleggianti; le atmosfere sono quelle dantesche della “città dolente”, del “lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”: “In questa terra stanca desolata / l’oscuro demone la guida, traendola per mano / di là dal territorio della vita, sul limitare che apre le bocche dell’Averno” (da Apocalypse); o quelle suscitate dalla contemplazione del quadro di Munch – L’urlo – dove la scena è allegoria del dramma collettivo dell’angoscia, del dolore e della paura e dove la figura urlante ricorda un ectoplasma dal corpo serpentiforme in preda al dissolvimento che distorce tutto il paesaggio: “Seguono anime blande nella tenebra / biascicanti, in delirio, e parlano a sé stesse / dentro il furore, dentro lo strepito muto che accompagna / l’andare.” (da Apocalypse).
Questa ‘terra desolata’ va oltre le previsioni di Eliot, e questo ‘male di vivere’ supera le veggenze di Montale: qui siamo nel regno dell’incubo, dell’inconscio più profondo, siamo all’Apocalisse. E infatti Apocalypse è il quasi-poemetto che costituisce l’incipit del libro e che indirizza gran parte degli altri testi nella stessa linea. Ma la poetessa emette un drastico giudizio sull’omonima opera del Nuovo Testamento, non accettando la sua durezza: “E nelle mani accolgo l’Apocalisse, il libro di Giovanni, / oscuro, tenebroso, frutto farneticante / d’una mente in delirio. Qui non vedo il Dio / di promessa salvezza / il pietoso dei mali della terra, il compassionevole / delle umane miserie...” (da Apocalypse). Allora nel mondo moderno Dio ha abbandonato l’umanità? O l’uomo ha abbandonato Dio? O è avvenuto un reciproco abbandono? A tali questioni tormentose che il lettore si può porre, nel libro non c’è risposta … e non può esserci da nessuna parte, poiché tutte le certezze sono cadute. E’ forse questa la condanna peggiore per l’uomo moderno, ovvero il non sapere se sta vivendo solo un’eclissi o una fine.
Il disorientamento generale, totale ed epocale possiede altri aspetti che la poetessa con mano chirurgica affronta: la sua preoccupazione qui non pare proprio essere l’estetica letteraria dei testi – che si mantiene comunque sempre ad un alto livello formale – ma la trasmissione dei contenuti, dei messaggi, della presa di coscienza. In Illusione c’è la sconfitta del sentimento: “Ma l’amore è perduto / immaginario sole della vita /…/ quanto sei solo / quanto sei nessuno”. In Che sforzo per sorridere l’assurdo dell’esistenza dilaga, poiché viviamo “nella cloaca che chiamiamo mondo”. In Teschio e viole si da voce ai “morti ammazzati da mitraglia”, troppo spesso dimenticati e vittime della ferocia umana. In Esodo vi sono campi di migranti in attendamenti e bivacchi, giunti dopo “... tragitti infiniti, gelide notti / prive di riparo e martiri percosse / poi l’insidia le voglie e il crudele / laido amplesso dello stupratore”. In Quando l’uomo, in balia di un inarrivabile e cieco destino, vive ora in “un mondo / di Tenebra”. In Elidere e in Pensieri della resa si fa insanabile il contrasto tra l’io della poetessa e il mondo, la società, l’umanità fino a rasentare la misantropia: “... e negherei l’orrore di una vita / disumanata da una razza / non più umana”; e “Mi rendo conto allora / che nei miei versi / sono scomparsi gli uomini”. E La sera sopraggiunge con occhi ciechi “... a dirmi com’è pregna la vita di male / e prospera e invitta / l’oscurità che divora la Luce”. In Diaspora si contempla la dispersione di tanti per il mondo, sradicati dagli affetti più cari. In Racconto si annota tristemente la regressione antropologica del genere umano: “Racconto? Non c’è racconto / per questa triste età di pietra”.…
Come scrive Guglielmo Peralta nella postfazione “il canto della Nostra si fa meno mesto. Siamo nell’ultima sezione del libro, intitolata Paesaggio andante. Le altre parti hanno titoli simbolici: Apocalypse, Dai margini oscuri, Ipogeo della notte, Dissonanze dell’ora. E come scrive anche Nazario Pardini nella prefazione “il pensiero dominante della poetessa” è quello che crede nella vita come “quel miracolo che ci capita tra le mani, e di cui, volenti o nolenti, noi beneficiamo”. Siamo dunque all’epilogo d’un viaggio, d’una ricerca incessanti per scoprire spiragli di speranza nonostante la bruttezza del reale, per sperare contro ogni speranza. Ed è dalla Luce della Trascendenza che traspaiono altre dimensioni: “Ora la vita / apre un passaggio / di solo sole / per la tua speranza / e Luce alta / nei Cieli” (da Nei Cieli). Ma ci sono ancora altre liriche - Rosa, Guarda, Oggi il cielo, Paesaggio, Visione, Onda, Destino… - a conferma di una possibile rinascita ed ascesa, in cui la poetessa disegna immagini d’apertura di nuove strade: l’eterno rifiorire della rosa, la natura ricca di promesse vitali, l’azzurro Immenso dei cieli, il ritrovare dentro di sé l’anima cristallina, l’interiorità quale sacra stanza inviolata, il teologico e dantesco Amore che Tutto muove, ed infine “... la tua Voce / o Sogno / o Estasi lontana…” cercando “… il tuo Occhio / che tutto sovrasta” (da Destino). Una proposta di spiritualità per vincere il “pessimismo della ragione”, per seguire il grande Federico Garcia Lorca che vedeva sorgere i gigli anche e proprio dal fango.
In conclusione, questo libro va assorbito completamente con avidità, in quanto nei preponderanti capitoli iniziali attraverso il ‘sacro furore poetico’ dell’autrice, ci allerta intensamente sul nostro presente senza sconti e senza illusioni, mentre nel cauto finale accenna al ristoro di possibili oasi tutte da scoprire e da vivere, con anima pacificata. Rimane anche il grande esercizio intellettuale e culturale della Cerniglia - al quale siamo abituati ma che ci sorprende sempre ugualmente - spaziando e attingendo dalle raffigurazioni simboliche della letteratura e filosofia medievali, alle speculazioni del pensiero moderno, come ad esempio le intuizioni ed elaborazioni degli autori della novecentesca Scuola di Francoforte, sulla crisi di valori dell’uomo contemporaneo nelle civiltà occidentali e sul declino antropologico ed ontologico dei suoi individui. Aver tradotto il tutto in ritmi ed immagini con il linguaggio della poesia alta è il suo grande talento.

Enzo Concardi


Rossella Cerniglia. IL RETAGGIO DELL’OMBRA
Guido Miano Editore, 2020
mianoposta@gmail.com


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