martedì 17 marzo 2020

ROSSELLA CERNIGLIA LEGGE: "SCIE" DI TOMMASO CEVESE, GUIDO MIANO EDITORE



ROSSELLA CERNIGLIA LEGGE
“SCIE” di TOMMASO CEVESE
Guido Miano Editore, 2019


I versi di Tommaso Cevese presenti nella pubblicazione che ha per titolo Scie, esplicitamente richiamano l’intento di lasciare una traccia, un segno, il tessuto di una storia, che parte - come ci mostrano la dedica e i versi collocati in esergo - da coloro che ci hanno preceduto e trova l’inevitabile continuum nella posterità. E questo segno ci appare subito identificabile con la stessa vita.
I due primi testi hanno un carattere esemplare: la loro pregnanza di senso è tale da anticipare ciò che si dispiega poi in tutta l’opera. Bianco profilo è l’immagine di un elemento naturale che porta inscritto l’ineffabile, il segno di qualcosa che vagamente intuiamo e che pure ci sfugge. È immagine e simbolo di uno scarto tra finitezza umana e mistero divino, incarnato nella Natura. L’incomprensibile e l’inspiegabile racchiuso nel mistero dell’Essere. Misteriosa cifra che ci sgomenta col suo annunciarsi, epifania del meraviglioso che intimamente, profondamente ci parla della realtà remota di un Altrove.

Il secondo testo, Ascolta, è un invito ad ascoltare e ad ascoltarsi che percorre poi l’intera struttura poematica dell’opera, che non si esaurisce in singoli componimenti, delimitati in se stessi, ma sembra rinviare e riproporre in forma implicita lo stesso messaggio di testo in testo. E una simile trasmigrazione ha anche una valenza semantica, poiché rinvia a significazioni - quasi sempre arcane e imperscrutabili - che si ricorrono di testo in testo. Perché ciò che man mano prende corpo è la vita che scorre dentro alle pagine, rinviando momento a momento, senza esaurirsi nel semplice fluire del senso letterale delle parole, ma rinviando ad altro, a connotazioni e significazioni non accessorie, ma sostanziali, a ciò che sconfinando dal senso letterale, indirizza a dimensioni altre, oltreumane, a quel “senso che non muore” che troviamo già nel primo testo della silloge.
Nel vaglio delle occasioni che offre la vita, nell’esatta collocazione d’ogni tassello spazio-temporale del nostro quotidiano, in questo incessante srotolarsi del filo della vita si scopre infine il “disegno non banale/ tessuto di una tela/ che intreccia bene e male” (Ascolta). Una tela intramata dei rimandi tra gli esseri e le realtà tutte dell’universo, in se stesse limitate, ma immense se compendiate nell’ineffabile respiro dell’Eterno.
Il tessuto dell’opera appare attraversato da meditazioni, dubbi, riflessioni di carattere esistenziale, alla ricerca di un senso totale dell’essere nell’esperienza terrena afflitta dall’incertezza del domani, ma proiettata nell’orizzonte indicibile dell’oltretempo che conclude la nostra storia o avventura terrena. E questo, facendo appello non all’intelletto, non in grado di sì ardui voli, ma alla speranza: “Trascende il tempo/ il suo segreto o si cela/ racchiuso nel suo seno?” Questi ultimi versi, che chiudono il componimento dal titolo Il tempo, mi riportano al ricordo con cui Heidegger chiude Essere e Tempo: “E’ forse il Tempo l’orizzonte dell’Essere?”, all’enigmatico interrogativo cui il filosofo tedesco cercherà di dare risposta nella Kehre, in una rinnovata prospettiva ontologica.
La visione fotografica delle porzioni di mondo, degli scorci paesaggistici che rimandano alle memorie dell’infanzia e al sentimento nostalgico che le sostanzia, conservano l’ottica scientifica e indagatrice di chi, nello spaccato di mondo coglie il tutto, o meglio, il senso del tutto nella sua grandezza e universalità. È l’andare a fondo in un processo di indagine che mira a cogliere la sostanza dell’eterno nel Permanente, nell’elemento di una sostanziale imponderabilità da cui il transeunte scantona (Filo della vita).
Negli scorci fotografici del paesaggio è la stessa cura che l’autore mostra nel sondare spaccati e anfratti di una realtà costantemente indagata, gli aspetti più quotidiani che tuttavia riverberano le loro cuspidi inquiete anche nella visione del bello, che affascina e sgomenta al tempo stesso, per assurgere a testimonianza e significazione di una compiutezza armonica in cui si accordano elementi e istanti di divenire eracliteo e idealizzazione platonica: “...Nel limite si specchia/ la storia d’ogni uomo” (Ascolta), storia che pure trova un senso e una dimensione nella più ampia visione dell’Eterno. Si vedano ancora i testi Filo della vita o Il tempo, - e, in verità, tantissimi altri - poiché la stessa visione e lo stesso anelito percorre tutta la fitta trama di ricordi, di luoghi e di immagini che si dispiega in queste pagine, che, come abbiamo detto, si annunciano e si impongono come una trascrizione della vita stessa.

Rossella Cerniglia




1 commento:

  1. Mi fa molto piacere che la recensione critica di R. Cerniglia al volume di poesie-fotografie d’autore di T. Cevese- SCIE- sia corredato dalle stesse: sono foto importanti. Nella mia recensione,(V.) che pur faceva perno sull’immagine fotografica, mancavano: meritano di essere viste, guardate, studiate, meditate, abbracciate: sono l’altro aspetto poetico, significativo, dell’Autore. Così come mi fa piacere la nostra diversa lettura di Filo della vita : la lettura critica è una sottolineatura, un accrescimento all’individuazione della forza poetica che l’Autore manifesta. Vale la pena di riportare per intero la poesia:
    “Di contrada in contrada/fra boschi e sentieri/ che mi han visto bambino/ si fan strada ricordi di vita/ l’infanzia remota. /Come l’acqua dei fiumi/ a tratti scompare e si cela/ nella carsica profondità oscura/ a tratti risale, riappare e si svela/ così all’incerta memoria/ affioran frammenti/ del mosaico che narra/ di un uomo la storia. / Un’antica emozione/ un segno, una scia/ nella volta infinita/ del destino terreno. / Scorrono volti, nel lampo/ improvviso, a volte sfocati/ nell’orma del tempo. / Li unisce l’esile filo/ che ci lega e racchiude/ nel respiro di vita.”

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