mercoledì 4 marzo 2020

SANDRO ANGELUCCI LEGGE: "NAIF" DI ENZO CONCARDI. GUIDO MIANO EDITORE


Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade

Sandro Angelucci legge:
“NAIF” di ENZO CONCARDI




“Forse siamo noi i grigi di pioggia
nel persistere a non essere luce
nel perseverare a perdere umanità
nel cedere al gelo assoluto del male.
Forse siamo noi i grigi di pioggia
senza il fascino discreto della malinconia.”

  
In questa strofa di chiusura, a circa metà dell’opera Naif di Enzo Concardi, si può sintetizzare, e ne va rinvenuto il fulcro, l’intera poetica che caratterizza e inquadra non soltanto la scrittura ivi contenuta ma - credo di poter asserire - lo stesso pensiero poetante del Nostro.
La malinconia ha un suo ben preciso significato, una funzione da svolgere, che è poi quella di farci desiderare ancora di più la luce nei giorni di pioggia. Il poeta parla di “fascino discreto” definendo, come meglio non si potrebbe, questa facoltà dell'animo umano che risulta sempre salvifica laddove non si impantani, però, nella melma del ricordo fine a se stesso.
Perché diventiamo “grigi di pioggia”, uggiosi, spenti se ci priviamo di questa sobria e parca mestizia? Proviamo a chiedercelo. Come sarebbe la nostra vita se interpretassimo - e, ahimè, lo facciamo - in modo scorretto e capovolto, il carpe diem di oraziana memoria quale esortazione al godimento superficiale e distratto? Non ci vuole molto a immaginarlo, anzi non occorre fare congetture: le abbiamo quotidianamente davanti agli occhi queste esistenze che ci trasciniamo appresso come sacchi pieni di piombo. E quanto meno arduo sarebbe accettare le difficoltà se le mettessimo preventivamente in conto, se unissimo bene e male piuttosto che ostinarci a volerli separare.
Ecco, allora, che lo spleen - così largamente presente nella raccolta - non è mai decadente (ad eccezione di pochi testi in cui sembra prevalere il rimpianto: “e vennero epoche così contorte e diverse / che quel primo tempo m’appare ora / come brillante puro e incontaminato / onirico ed irreale nella sua bellezza perduta.”, da Cantieri di periferia). Ma non è mai un venir meno totale: sono momenti nei quali predomina una comprensibilissima ed umana rassegnazione, peraltro prontamente ripresa: “E s’aprono inaspettate frontiere dello spirito / che attraversano montagne e oceani / come messaggi in bottiglia di naufraghi” (da Messaggi in bottiglia) o ancora: “Non si piegò a nessuno mai. / Dante fuggiasco subì amaro esilio / ma divina divenne la sua commedia.” (da Strade spettinate).
Viene da dire - come si evince dalla citazione riportata da Pardini nell’acuta sua prefazione - “Si vive, si respira, si ama, si soffre, si gioisce del fatto di essere tristi”, tratta da “Le bonheur d’être triste” di Victor Hugo. Già, può apparire paradossale rinvenire la felicità nell’essere tristi ma, a ben riflettere, non lo è; o, meglio, lo è nella misura in cui fenomenicamente si rivela discordante e contraddittoria la vita stessa.
Poniamoci questa semplice domanda: quale fine di qualsivoglia esistenza è più manifesto della morte? Nessuno. Vale a dire che ciò che giustifica la vita risiede nell’esatto suo contrario. Conseguenza diretta della constatazione, allora, non può che essere la seguente: si nasce per morire.
È a questo punto che entra in gioco la fascinazione di cui s’è detto, e la propensione ad avvertire nostalgicamente il passato può - se ben indirizzata - liberarci dal pensiero della fine. In altre parole, ossimoricamente, ricordando progettiamo, diamo un valore aggiunto al presente che stiamo esperendo. Questo intendo con quel “se ben indirizzata”; e non è cosa di poco conto, in quanto si otterrebbe il risultato inverso se dovessimo disorientarci.
“Forse chi avverte ignote suggestioni / chiamato da primitive voci indicibili / afferra la bisaccia dei sogni e parte: / non cerca nulla se non l’abisso / e l’abisso vuole lui per divorarlo.” - canta Concardi -. Parafrasandolo: l’abisso ci vuole per inghiottirci ma chi decide di partire invitato da richiami aurorali non se ne preoccupa, lo cerca, addirittura, perché è sicuro di non perdersi, perché sa che verrà fagocitato dall’erebo e dall’empireo contemporaneamente.
Desidero concludere riferendo una notazione cui sono giunto grazie alla lettura di questo libro: il poeta - al di là di una semplicistica interpretazione dell’esistenza - dà della stessa una decifrazione dicotomica. Mi spiego con l’esempio qui più calzante: la nostalgia è etimologicamente “dolore del ritorno” ma nondimeno può essere “piacere della partenza”. Tutto sta nel non separare. I montaliani ‘cocci aguzzi di bottiglia’ (citati nel già considerato Strade spettinate) rappresentano un ostacolo ed al contempo la voglia di superare la muraglia: se non li accettiamo così, il Nulla non potrà mai consistere nel ‘Vuoto Santo’ di cui parlava David Maria Turoldo.

Sandro Angelucci


Enzo Concardi. NAIF
Guido Miano Editore, 2019, mianoposta@gmail.com

Nessun commento:

Posta un commento