Luciano Postogna
ANTOLOGIA
Guido Miano Editore, 2020
Recensione di Ester
Monachino
Leggendo le poesie di Luciano Postogna,
inserite nel volume “Antologia” edito con i tipi di Guido Miano in Milano, è emersa,
lampante in me, l’immagine delle calaze, quei filamenti che mantengono in
sospensione il rosso tuorlo dell’uovo e lo ancorano al proprio guscio. La
motivazione dell’immagine?
Luciano Postogna, triestino alpinista e
speleologo, radica animicamente e visceralmente nel proprio territorio nativo:
così è che svetta con i monti e s’inabissa con le cavità carsiche per un
tutt’uno che lo inserisce in permanente fusione nella totalità naturale ambientale
e cosmica. Alto e basso con le calaze del vivere.
Il volume antologico, suddiviso in sei
sezioni ciascuna contenente alcune composizioni poetiche di altrettanti volumi
già editi a ritroso nell’arco temporale che va dall’anno 2006 all’anno 2000,
mostra compattezza di dettato ed una visionarietà talvolta mistica ma sempre
aderente alle rispondenze e corrispondenze tra il poeta e il vissuto.
In quanto alla versificazione, all’espressione
poetica, si riscontra un andamento di fluidificazione e leggerezza sempre più crescente
dalle poesie iniziali fino a quelle dell’ultima raccolta. Mentre in “Pensieri
nudi” e “ Ali d’arcangelo”, che arieggiano in atmosfere classicheggianti, si
leggono talvolta versi in rima, e la motivazione di base ha basalto amaro e doloroso
ed è palpabile l’attrito e il singulto nella visione dell’animo, le composizioni
delle altre sezioni si slargano sempre più in orizzonti di consapevolezza profonda
ma più quieta, nella descrizione interiore del dicotomico connubio di ragione e
stupore.
Il Carso è sempre tremendamente e
meravigliosamente presente con il bianco e il rosso dei suoi colori, con quel
fiume sotterraneo, il Timavo, cui si rassomigliano i sentieri delle vene e
della linfa del poeta (vedi “Sotto il Carso scorre”, pag. 49); Carso generoso e
incantato (Autunno carsico, “resine intense/ col profumo sublime/ …tendono al
cielo” pag. 20); Carso impietoso, “tempeste interiori/ hanno eroso i miei anni/
e usurato i ricordi/ come bianchi calcari/ che il tempo ha lisciato” (pag. 23);
e poi il vento di Bora che azzanna i cespugli nella notte infida o che suona
incanti con i suoi strumenti (vedi pag. 16).
E’ proprio dalla nottitudine dell’anima
che il poeta vorrebbe rinascere: a pag. 35 ascoltiamo i suoi desideri di rinascenza
nei venti, nel fiume, nell’arcobaleno.
Una poesia fuori sezione, iniziale,
“Verso l’infinito” di pag.12, ingloba nei versi d’accesa liricità la voce
creativa del poeta aderente alla configurazione panica intimo-natura: “prenderò
fiato alla prima brezza/ quando tacciono ancora i nidi arborei/ e le cicale ammorzano
la nenia./…così verso l’infinito arcano”.
Un infinito pieno d’amore simile agli
anni quando le privazioni di tutto non arginavano le meraviglie del sentire positivo
e ricolmo del bene immenso. Allora, come
in “Via dei giardini” (pag. 75), la voce della madre era risposta e canto
sublime d’amore. Voce infinita e plenaria.
Ester Monachino
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