Il “NON SOLO” che ci riguarda
Cosa succederà tra qualche settimana? Le nuove
limitazioni hanno un impatto terribile su qualsiasi esercizio commerciale,
impongono precauzioni inedite che o aumentano i costi o riducono il fatturato,
e allora, aumenteranno i prezzi? Non credo, o forse sì, ma poi si faranno
sconti personalizzati (che so, ai clienti affezionati, agli abitanti del
quartiere…), perché un aumento dei prezzi diventerebbe insostenibile per i
clienti, invece l’impressione del trattamento di favore potrebbe trattenere i
clienti. Questo vale per il negozio di scarpe, per il negozio di vestiti… non
vale per alimentari e cose per la casa. Appunto, alimentari. Già vediamo che i
pomodori non li raccoglie più nessuno, già, era comodo avere gli schiavi neri
malpagati e maltrattati, vero? Ora ne abbiamo bisogno, ma affinché continuino a
raccogliere i pomodori bisogna dargli qualche minima garanzia, vero? Quindi i
costi aumentano. E i prezzi? Se non saranno calmierati andranno su. Inflazione
in arrivo? Forse, ma penso di no, a meno che non si cambino i parametri per
misurarla. La telefonia, l’elettronica, gli elettrodomestici, quelli non
aumentano, anzi, forse diminuiscono, e sono beni di cui ci cibiamo
quotidianamente. Ma a parte queste considerazioni, volevo parlare di un settore
che si cede costretto a cambiare completamente il proprio modo di operare: la
cultura. E per capire cosa succederà occorre andare per parti.
1.
Musei: probabilmente ci sarà una regolamentazione o un
contingentamento degli ingressi e, quasi sicuramente, una riduzione delle
visite, il tutto accompagnato da controlli accurati sul distanziamento o
sull’uso di mascherine e simili. Meno soldi e più costi. Aumenteranno i prezzi
dei biglietti o si proporranno soluzioni di visita (che non sarebbe negativo)
come, ad esempio, si entra 20 o 30 per volta e insieme si segue un addetto alla
salute che ci detta i tempi di osservazione delle opere e che controlla i
nostri comportamenti.
2.
Teatri, auditorium,
sale concerto e cinema: poltrone vuote tra
uno spettatore e l’altro. Il problema sorge solo per andare in bagno, quando si
deve chiedere agli altri di togliersi di mezzo. Sostanzialmente, meno
spettatori a spettacolo, costi invariati, ma introiti ridotti di molto, a meno
che non si aumenti il prezzo del biglietto o non si riducano gli ingaggi (gli
artisti guadagnano meno)
3.
Grandi gallerie
d’arte: ingressi contingentati (ma che
cambia, tanto non entra mai nessuno) e addio ai “vernissage” (quel drink in
compagnia). Per loro nessun problema, tanto i clienti già ce l’hanno.
4.
Piccoli teatri,
centri culturali, piccole gallerie d’arte, caffè letterari, eventi come
presentazioni di libri e dibattiti, laboratori artistici e creativi…: qui vedo la catastrofe perché la fase che stiamo per
affrontare prevede convivialità limitata, distanziamento sociale e controlli,
controlli e controlli, sia sanitari che sociali, controlli costosi e rigorosi
che non tutti potranno garantire, quindi sarà impossibile organizzare eventi in
spazi piccoli, reggeranno solo gli eventi online e le mostre in gallerie che,
comunque, pur non vendendo niente, reggono perché il gallerista è un artista e
usa la galleria come laboratorio.
La vedo dura, cari miei, molto dura. Il piccolo teatro,
quello da 50 posti, la piccola galleria, quella da 40 mq, il centro culturale
del quartiere, il caffè letterario… molti, moltissimi saranno destinati a
chiudere. Ma loro, sono proprio loro lo strato culturale che ospita il fermento
di cui siamo tutti attori. Proprio loro sono il nostro vivaio di talenti.
Proprio loro sono la cosa più bella della città. Proprio loro ospitano la vita,
il confronto, l’incontro. Proprio loro sono il laboratorio del pensiero, il
luogo dove nascono i manifesti, dove le idee si elaborano, dove gli artisti
sconosciuti incontrano altri artisti e nascono dibattiti creativi, proprio lì
gli artisti crescono e, magari uno su mille, emergono. Proprio lì si
selezionano i semi delle rivoluzioni culturali (e non)… e proprio loro ora dovranno
cercare altra terra… Ma forse, da questo rimescolamento qualcosa di buono potrà
venir fuori perché le idee, cari miei, quelle non soccombono e trovano il modo
per vivere. Troveranno altri modi, non staranno sedute al bar, non andranno
all’inaugurazione della mostra… useranno il mondo virtuale (che è molto più
controllabile dell’incontro reale)? Certo, ma NON SOLO. E questo “NON SOLO”
dobbiamo capire cos’è per costruire il nostro futuro.
Claudio Fiorentini
Hai ragione, Claudio, a sostenere che le prossime sfide dovranno impegnarci ad essere creativi, molto più creativi dell'usuale, per escogitare nuove soluzioni, atte a fronteggiare le crisi economiche e sociali conseguenti all'emergenza sanitaria mondiale che stiamo vivendo. Metti il dito sulla piaga quando evidenzi le difficoltà del mondo agricolo in una cultura come quella attuale che ha relegato il cosiddetto "primario" a fanalino di coda dell'economia e della società. Ora i nodi vengono al pettine mostrando come i problemi dei produttori (che, da bravi servi della gleba, zappano non meno di nove ore al giorno per un'indegna elemosina) siano strettamente collegati con quelli dei consumatori, le cui risorse economiche si assottigliano sempre di più per poter fare la spesa. Non ci vorrebbe poi tanto a comprendere che il vero problema sta nei passaggi di mercato che speculano vergognosamente alle spalle degli uni e degli altri. E allora, perché non pensare a cooperative di consumatori che vanno ad acquistare i prodotti alimentari direttamente dal contadino, o dall'allevatore, eliminando al massimo i passaggi intermedi? Le soluzioni ci sono, ma bisogna avere il coraggio di ripartire da zero, superando la pigrizia e l'egoismo che ci spingono a pretendere di trovare arance e pomodori a buon mercato direttamente sotto casa. Ripartire da zero, è questa la soluzione, l'unica possibile, in tutti i campi. Ivi compreso quello culturale, dove - diciamocelo francamente - il momento creativo (quello in cui l'artista o il poeta è solo con se stesso, con il proprio desiderio di capire o di dare un senso alle cose) è oggi fortemente penalizzato dagli aspetti commerciali e mondani (certo ineliminabili, ma secondari) della produzione artistica e letteraria. Musei, gallerie, teatri, eccetera, sono i momenti della fruizione culturale, ma chiunque parli oggi del momento sorgivo dell'arte è preso per un alieno. Questo non va bene ed è questo, a mio parere, che deve cambiare.
RispondiEliminaFranco Campegiani