giovedì 2 aprile 2020

ROSSELLA CERNIGLIA LEGGE: "LA DANZA DELLE NUVOLE" DI MARA BENEDETTI; GUIDO MIANO EDITORE



LA DANZA DELLE NUVOLE di Mara Benedetti
Recensione di Rossella Cerniglia

La silloge poetica di Mara Benedetti, dal titolo La danza delle nuvole, subito ci sorprende per la levità e la purezza delle immagini che traducono l’intimo connubio dell’anima con l’elemento naturale. Nei versi trascorrono realtà e fantasie, sogni di panica vitalità e grazia ed armonia dove affiorano le suggestioni tenute in serbo dall’infanzia (La foresta vivace).
Il paesaggio, perciò, ci appare come specchio dell’anima, di pensieri solari e gioiosi che hanno il loro cuore nell’infanzia, e splendono con il lume del giorno. Ma a volte, pure accade che le immagini appaiano annuvolate da pensieri più inquieti che si fanno invadenti e oppressivi, e riportano a esperienze di vita, a dubbi e contrasti interiori: “...Pensieri dimenticati bussano; / con le lacrime scivolano via. / Tormenti antichi, imprigionati nel petto, / nelle vene si diramano...” (Terra). In genere, tuttavia, la visione interiore è più assimilabile a un panorama di nuvole, miti e benevole, che, nella loro leggera e mutevole consistenza, vagano per il cielo e portano lo sguardo sulla trasparente bellezza delle cose. La loro danza, che è sinonimo di leggerezza e mobile multiforme armonia, esprime l’essenza dell’anima dell’autrice, la sua vitalità e la spontanea carica di entusiasmo nei confronti della vita: “Sarebbe bello volare/ nei boschi sopravvissuti/ o accarezzare l’oceano./ Il vento può farlo!/ Con le mie ceneri, un giorno,/ se volesse portarmi./ Volteggiare all’infinito/ in ogni angolo del mondo,/ e sperare che si accorga/ della mia anima danzante” (La mia anima).
Anche l’amore è un tema più volte visitato. E talora un’elegia sottile e struggente pervade il tessuto dei versi, come è in Amore eterno, dove esso si mostra come idealizzazione estatica che non ammette contaminazione con la realtà, perché solo così il sogno può rimanere eterno, incontaminato e puro, nella sua eterea simbolica rappresentatività: “ ...Ti ho giurato amore eterno,/ soltanto se non ci rivedremo/ durerà tutta la vita.” Anche nei versi di Il poeta siamo di fronte a un Amore immateriale e intangibile, che non chiede di incarnarsi, di farsi concreta sostanza: “Non rispondere!/ Se ti riesce fallo tra un mese,/ un anno, mai!/ Un silenzio di trent’anni ci ha divisi/ eppure mi conosci più di tutti,/ perché nulla è impossibile ai poeti! (...)” o nei versi di Il profilo che ci pongono di fronte a un che di refrattario, di impermeabile, come se l’altro rimanesse a se stesso, pura distanza, pura esclusione, figurina di carta inanimata, creata dalla nostra fantasia: “Sei diventato invisibile./ Distinguo il profilo, è nero./ con le dita lo sfioro,/ prima la testa, poi le spalle/ e piano piano giù, fino ai piedi./ Tocco la mano; c’è solo il contorno,/ non emana calore/ e io ho molto freddo. (...)”, e di contro a tanta glaciale lontananza, sta pure un sentimento incorporeo e volatile, come appunto sono i sogni, le fantasie a lungo vagheggiate che rimangono lontane, e quasi isolate in altra terra: “Ho bisogno di abbracci, di carezze,/ di nuovi colori da cercare/ in fondo ai tuoi occhi./ Ti svelo un segreto:/ ogni giorno ti invento diverso,/ matite e pennelli diventano complici. (...)”. Si tratta di un sentimento sfuggente, quasi inafferrabile, e tuttavia pervasivo, che proferisce il senso dell’inarrivabile, dell’inattingibile che è nelle cose e in noi, e nello stesso tempo, la grazia struggente di ciò che rimane incompiuto e inappagante.
Altre volte, enigmatiche figure spirituali si situano di scorcio, all’interno di una prospettiva che sembra restringersi perché si focalizzi lo sguardo su di esse. Ma esse rimangono lontane e come inviolabili, in una distanza che le isola nel loro fuoco ardente “Dal cancello ti spio./ Seduta nel chiostro,/ hai un libro tra le mani./ Attorno a te una fortezza: il monastero./ (…) Solo la tonaca si agita,/ animata dal vento./ (…) Pochi metri ci dividono./ Tu e io, eppur così distanti. (…)” (La Fortezza). L’enigma di una relazione di sguardi, di sentimenti misurati, vicini eppure in se stessi conclusi, isolati, fa, delle due misteriose figure, icone di luce e di candore che attingono al senso smisurato di un’eterea arcana bellezza.
Una stessa atmosfera rarefatta anima i versi di Il monastero:“Le piante di arancio/ sono colme di frutti./ Il suono dell’acqua/ disturba il silenzio;/ la fontana domina/ il centro del giardino.(...) Non vi è traccia dei suoi abitanti. (…) In essi, manca l’elemento umano, il silenzio domina la scena, ne è il protagonista.
Ma pur nella peculiarità dei momenti narrati, i paesaggi sono comunque vibranti di estasi e di sogno, di tenerezze recondite e lontane, additano un desiderio inesprimibile che rimane sempre elemento di un tendere e di un anelito struggente e vago verso qualcosa che non si materializza, rimanendo a sé, struggentemente isolato.

Rossella Cerniglia
  
Mara Benedetti, LA DANZA DELLE NUVOLE
Guido Miano Editore, 2019, mianoposta@gmail.com





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