Alfredo Alessio Conti
TUTTO È RESPIRO
Recensione di Enzo
Concardi
Tempus
fugit, taedium vitae, cupio dissolvi sono dimensioni dominanti
nella poetica dell’autore, caratterizzata da un’impronta filosofica negativa,
tanto da spingere ad interpretare il titolo di questa silloge in senso
riduttivo, ovvero come la dichiarazione dell’effimero e della brevità della
vita, in cui ogni realtà ha la durata di un respiro. Pessimismo ed angoscia
esistenziali si insediano e insidiano la mente e l’anima del poeta, creando una
poesia che è nel contempo indagatrice della vita interiore, scavo
nel profondo, esternazione del dolore, della sofferenza; e proiettata sugli
altri, sulla società, sul mondo, soggetti pervasi da un crescente nichilismo.
Tante sono le fonti di pensiero a cui si potrebbe risalire per collocare
culturalmente i versi del poeta, ma è preferibile un’analisi testuale di una
letteratura che possiede sia un’impronta soggettiva, centrata sull’io, sull’esperienza
autobiografica; sia un marchio di denuncia di una realtà odierna ritenuta
sempre più assurda, senza senso, già posseduta da morte spirituale, prima
ancora della morte corporale. Tutto ciò, buttato addosso al lettore come un
macigno, potrebbe apparire disperante, se l’autore non concedesse una via d’uscita,
una speranza, come vedremo nell’epilogo della recensione.
I
vissuti di Alfredo Alessio Conti, che ci conducono nei meandri oscuri legati al
disagio quotidiano del vivere, iniziano con la lirica Pietà, dove egli si paragona alla
famosa statua michelangiolesca: “Mi pongo / come la pietà di Michelangelo /
marmorea pietra / fredda ed inerte / nell’inutile attesa / dolorosa / che
penetra / nell’anima”. Versi che sembrano riecheggiare il pessimismo biblico
della celebre frase “Vanità delle vanità, tutto è vanità” (Ecclesiaste 1,2). Continuano
con Lentamente muoiono: “Le tenebre / interiori / palpitano / al sorgere
del nuovo giorno / ...”: l’offuscamento dell’io s’affaccia nelle sequenze della
vita e rode come un tarlo. Il senso della vanità del tutto lo attanaglia poiché
quel che è stato non tornerà più, così anche la memoria svolge una funzione
sconsolante: “Il silenzio / prorompe / nella stanza /…/ rivedo / il mio
esistere / prigioniero / e l’inutilità / d’esser vivo. /…” (Quel che è stato).
Anche la memoria degli affetti se n’è andata: “La mia casa / è disabitata ormai
/…/ si precipita nel buio assoluto /…/ per chi passeggero / è sceso / alla sua
ultima fermata” (Ultima fermata). Lucida è comunque la coscienza del
poeta di vivere inquietudini e disorientamento: “Un filo spinato / scorre nella
mia mente / ho perduto il senso / del mio esistere / ...” (Filo spinato).
La paura della morte come annientamento della personalità lo tormenta: “... / e
precipitano con me / gli innumerevoli ricordi e la paura / e l’ultima domanda /
di me che ne sarà” (L’ultima domanda).
Con uno
stile sempre essenziale, sintetico, sfrondato da ogni orpello superfluo come è
la sua visione, l’autore ora si sente come il più grande abitatore dei mari che
va a morire su spiagge lontane: “Navigo / il disagio di questa vita / oblio /
di sensi perduti / alla deriva / dei sogni infranti / da un funesto destino /
spiaggio / sulla terra dei morti” (Spiaggio). Ad un certo punto, come
già detto, lo sguardo va verso l’esterno ed allora con lui vediamo un mondo
caduto in rovina (Ubriaco di nullità), ascoltiamo i mass-media portarci
solo brutte notizie (Vuoto esistenziale), muoiono tante creature ogni
giorno e il poeta confessa che lui, che ha la vita, non sa che farsene (Non
so). E conclude il
suo simbolico cahier de doléance con la rassegnazione di chiudersi nel
suo dolore, dopo “Anni / di solitudine e silenzi /…/ odiando me stesso /…/
abbracciando ferite / che non si sono mai / rimarginate /…/ e tutte le porte /
si chiusero” (In disparte).
In
contrasto con tutto tale pessimismo cosmico e storico vi sono liriche da cui
emergono sprazzi di luce e di fede: l’eternità della natura e dell’universo,
veri miracoli di vita; il socratico conosci te stesso per costruire l’avvenire;
il respiro della poesia per sopravvivere; la ricerca di oasi di speranza; l’amore
che unisce i cammini solitari e che diventa un grido solare; l’oltre noi che
abbraccia l’eterno. E infine l’affidarsi al divino per un destino escatologico
di felicità: “… / Lassù / s’avverano i nostri desideri /…/ Lassù / è magia, è
poesia” (Lassù); e dopo essere stato un nomade spirituale, un cercatore
di Dio; dopo la visione ultima, il poeta si consegna all’Assoluto: “Sarò solo /
col vento / in una lacrima / di Dio” (Un domani).
Enzo Concardi
Alfredo Alessio Conti, Tutto è respiro, prefazione di Maria
Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 64, isbn 978-88-31497-82-4,
mianoposta@gmail.com.
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