Sophia de Mello Breyner Andresen, Il giardino di Sophia.
Il
ramo e la foglia edizioni, Roma, 2022.
Va dato merito alla giovanissima casa editrice romana
"Il ramo e la foglia" nella cura delle pubblicazioni selezionate,
l'attenzione sempre rivolta a un dire incisivo e non costretto tra le maglie di
una contemporaneità alla prova, interrogante, strattonante diremmo, e dunque
non mai banale, nelle dinamiche delle sue richieste e dei suoi investimenti.
Come, anche, nella collana dedicata alla poesia che va a raccogliere in queste
pagine una indovinata, e partecipata nella traduzione e nella curatela di
Roberto Maggiani, antologia di Sophia De Mello Breyner Andresen (Premio
"Camões" nel 1999),
figura tra le più rilevanti della poesia
lusitana del novecento. Ad un esordio col dettato poetico di Manuel
de Freitas, altro autore di questa terra ricchissima per preziosità
del verso, ecco in quarta uscita la scelta di un'autrice forse nel nostro paese
poco raccontata, poco frequentata eppure nella sostanza certamente di primaria
importanza ed allora paradigmatica anche per noi, per espressione di una
cultura che ha saputo far intrecciare nelle sue corde etica e sacralità del
vivere di stampo classico (Grecia) e tensione di un mistero, quello della
condizione umana, rimesso nella circolarità di una bellezza che ha soprattutto
nel giardino e nel mare, nella simbologia di un richiamo, di una presenza
sempre frontale, il suo passaporto e, non a caso, la sua nostalgia. Presenza
cui la De Mello ha saputo dar corpo, oltre che voce, anche entro un'attività
politica che l'ha vista, seppur brevemente, come deputata tra le file del
Partito Socialista nel 1975 per la neonata costituente alla caduta della
dittatura di Salazar (fu lei a redigere il preambolo della nuova costituzione) in
una aderenza che venendo proprio dalla poesia come la più profonda implicazione
dell'uomo nel reale (e fondamento della politica stessa come va a ricordarci lo
stesso Maggiani nella presentazione) ha nel legame di verità e giustizia con la
terra la sua concreta rappresentazione , la sua ricerca. Ed è la parola, a partire da questo nell'aspirazione di
un'abitata e naturale creaturalità degli elementi, a farsi veicolo e
incarnazione di una non più rimandabile, perché da sempre immanente,
ricongiunzione. Per questo così la poesia nella De Mello, come ha ben rilevato
Claudio Trognoni nella postfazione, nella capacità di agire modificando attivamente in questo senso il mondo ha in sé
quella grazia di salvezza che le viene da un umano richiamato e reintegrato là
dove nascendo è atteso e acceso alla luce stessa dei suoi simboli ("là
dove pietra stella e tempo/ sono il regno dell'uomo"). Se l'incisione,
scrive in "Omero", debba come il bue arare "il campo/senza che
inciampi nella metrica il pensiero/senza che niente sia ridotto o
esiliato/senza che niente separi l'uomo dal vissuto" puntuale ci sembra
questa antologia nel testimoniarla nella sua struttura di una ottantina di
testi che vanno dagli anni dell'esordio, il 1944, al 1997. Quello che ci viene
restituito della De Mello, nota anche come traduttrice e autrice di racconti e
favole per bambini, è quel percorso tra una naturalità carezzata come ricordo,
e fonte, di un ordine trasceso nella sua corrispondenza e malia di poteri, di
fantasmi raccontati nell'evidenza di un'umanità bloccata cui la parola nell'eco
ordinario del gesto, nella singolarità della evocazione prova scuotendo a
riaccendere ("Preservare da decadenza morte e rovina/l'istante reale di apparizione
e di sorpresa/ guardare in un mondo chiaro/il gesto chiaro della mano toccando
la tavola"- come esemplarmente sottolineato in "Nella poesia").
Il tutto, soccorrendoci ancora Maggiani, concorrendo "a riportare l'essere
umano al suo centro, nel momento presente ed esatto della vita attuale in cui
la verità sembra, per un attimo brillare, e con essa il mondo intero, pur
rimanendo tuttavia velata e irraggiungibile" e dunque a tentare nel
proprio suono col creato una risonanza nel silenzio dell'elemento divino.
Esserci allora, come ebbe a ricordare la stessa De Mello è proprio in questa
remissione, in questo esposto avanzare, di cui la donna (che qui ha soprattutto
il volto di Catarina Eufemia, bracciante agricola uccisa dalla Guardia
Nazionale nel 1954 durante uno sciopero) e il poeta ne sono la perfetta
incarnazione nella ricerca di una salvezza che "non può essere distinta
dalla ricerca di una forma concreta e pratica di giustizia", le stesse
parole non purificabili senza prima non aver purificato anche " la
relazione dell'uomo con la realtà". Questo è il giardino cui siamo
invitati a entrare abilitati "per diritto naturale" ad una libertà e
ad una dignità dell'essere di cui oltre che eredi siamo responsabili e che
progressivamente, come evidenziato da Sophia, forse andiamo perdendo. Leggerla
in conclusione ha allora anche il significato di vedere nel mondo, del mondo
pur nella rovina cui va affondando come nel primo uomo la sua viva possibilità,
l'eco- ancora- "senza fondo/dell'ascesa nella terra degli spazi".
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