L’arte di Maurizio D’Andrea, per la prima volta a Madrid
A fine aprile si è tenuta presso Captaloona Art Madrid, in
collaborazione con Accorsi Arte, la mostra METAversi.introVERSI, dell’artista
Maurizio D’Andrea, maestro dell’arte astratta ed esperto di numerose tecniche.
L’artista, attraverso un percorso di colori, spatolate, graffi, disegni e forme
appena accennate, ha proposto al pubblico di Madrid uno scavo interiore atto ad
esplorare il mondo dell’astrazione, che è quello strato che separa il mistero
più intimo - dove le immagini ancora non prendono forma, i suoni non sono
sequenziati e i pensieri ancora non si manifestano - dal mondo esteriore, che è
quello dove tutto è classificabile, numerabile e incasellabile o, come vuole il
senso dato alla mostra, potenzialmente virtualizzabile.
Che il nostro livello conoscitivo si stia via via
avviando verso la virtualizzazione è in realtà un paradosso, perché la verità
virtuale è proprio quella che ancora non si manifesta ma che, quando lo fa, deve
predisporsi ad attraversare lo stato di astrazione, chiaramente intermedio, e
solo dopo averlo attraversato può manifestarsi nel mondo razionale. Verrebbe da
obiettare che la virtualizzazione della realtà conoscibile potrebbe in qualche
modo aggiungere uno strato conoscibile al conoscibile, ma non è così. O almeno
il nostro artista non la vede in questo modo. Nel suo intervento del 22 aprile,
infatti, ha chiaramente detto che la sua arte è “un modo di opporsi alla
virtualizzazione della realtà”. Vero, aggiungo io, ed è artistico il gesto di
ribellione proprio perché sfrutta l’astrazione, che rappresenta l’intimo
passaggio dal virtuale al reale o, si potrebbe dire, dal luogo dove risiede
l’archetipo, luogo da dove tutto ha origine, al luogo dove risiede la
confusione data dal nostro continuo e inesorabile allontanamento dallo stesso.
Dice Maurizio D’Andrea: “L’artista deve essere uno
sperimentatore di tecnica attraverso la quale diventa un introspettivo, un ricercatore
e un comunicatore.” E infatti, D’Andrea continua a studiare e a sperimentare
nuove tecniche o varianti a una specifica tecnica, anche ora che è un pittore
affermato. Dice Eugenio D’Melon, professore di Belle arti a La Habana, Kingston
e ora Madrid, nonché critico d’arte e artista anche lui, che “se uno non
conosce la tecnica, alla fine l’inventa”; questo è assolutamente vero, basti
pensare al primo uomo che, una manciata di millenni fa, ha preso un pezzo di
legno carbonizzato e ha disegnato qualcosa su una parete rocciosa: la tecnica
prima non esisteva, ebbene, quell’uomo ne ha inventata una.
Oltre la tecnica, il percorso creativo dell’artista
prevede un altro elemento, che è il contenuto da trasferire sulla tela e D’Andrea,
che nella sua espansiva e cordiale napoletanità non è avaro di parole,
chiarisce: “la conoscenza della tecnica mi permette di esprimere un inconscio
che è personale e collettivo allo stesso tempo”. E non è per caso proprio
questo il senso dell’arte? Non è per caso proprio la ricerca dell’archetipo ciò
che muove l’anima creativa? Non è l’arte una forma di indagine interiore?
Il professore D’Melon, sempre durante il suo intervento,
ha giustamente fatto un’introduzione storica, e poi ha fatto un’analisi tecnica
dell’opera esposta, ed è proprio questo ciò che deve fare un critico. Ma
allora, il contenuto? Attenzione, l’incoerenza degli interventi di molti critici,
che parlano di contenuti, è palese quando si esplora il mondo dell’astrazione!
Già, il contenuto dov’è? Chi lo decide, il pittore o il pubblico? Il critico
non può parlare di contenuti perché condizionerebbe le percezioni del pubblico,
e l’ottimo professore nostro ospite ha lasciato campo libero alle percezioni,
senza condurci nel suo territorio personale. Se si vuole parlare di contenuti
il primo a doverli cercare è il fruitore, ma li deve cercare dentro di sé. L’arte
astratta è uno stimolo per le nostre percezioni, non una guida per la lettura
di un messaggio. Bene ha fatto D’Andrea a chiarire che lui non spiega le sue
opere (salvo fare due esempi molto semplici, utili per definire le modalità di
approccio), e ci mancherebbe! Se parliamo di inconscio, come possiamo
razionalizzarlo se non con parole limitate e frustranti? Il perimetro non è
definito da spiegazioni astruse, ma da percezioni vaste e prive di frontiere.
E, notate bene, a Captaloona Art diciamo sempre “l’arte non ha frontiere”, i
motivi sono due, ora potete capirli entrambi.
Infine, D’Andrea ha aggiunto “Stiamo andando verso un
mondo sempre più virtuale, tecnicamente noto come meta-verso, che in qualche
modo pretende di accerchiare, perimetrare e poi fondere la realtà quotidiana
nella realtà virtuale, e io mi oppongo a questa fusione. Attenzione, però,
opporsi non significa non accettare la tecnologia o non farne uso, io stesso sono
stato un artista digitale per anni” e chiaramente, aggiungiamo noi, un artista
digitale fa uso di una tecnica diversa in cui i pennelli sono prodotti evoluti della
tecnologia, nulla di male in ciò, perché, aggiunge l’artista, “oltre alla parte
logica e razionale c'è una parte irrazionale che ci guida in ogni azione”, e
quella non muore mai e a volte si trasforma in gesto artistico dando vita a una
dinamica puramente umana che ci permette di scavare nella nostra più oscura
profondità, che ci permette di esplorare il mistero che ci anima, che ci
permette di cercare la voce dell’anima.
Claudio Fiorentini
Direttore di Captaloona Art, galleria d’arte in Madrid,
Andrés Mellado 55
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