GIUSEPPE
CONTE E IL MITO
È una figura
eversiva quella di Giuseppe Conte fin dagli esordi strettamente legata ad
un'etica della letteratura come ricerca di verità, come possibilità di salvare
nella sacralità del linguaggio ciò che d'umano è nell'uomo, quel che di divino nell'universo intero. Nella
sterilità di una civiltà che rischia il tramonto, così imprigionata nella
tecnica e incerta nelle proposizioni, ha saputo indicare nella rilettura della
natura tramite la riscoperta del mito la via per la comprensione del nostro
destino ("Entrano nella morte con i capelli/raccolti dietro la nuca, in un
sorriso/prosciugato, abbandonati/su un fianco, inclini a scendere/senza
ricordi, hanno mani/estranee, cadute: in molti reggono/lo specchio dentro la
destra.//Entrano dove non si muore più. Traversano/buio e profondità.
Riaffiorano/sugli orli di un mare smosso da delfini/volanti, da draghi, da
quadrighe/di grifoni.//Non fu un «uomo» questo che vedi sgretolato/in foglie,
cortecce, calcinacci, intorno/a un teschio. Fu gioia senza nome, leggera,/di
pietre, di ali, di sole"). Così se il mito è inteso come collante, come
racconto originario da cui tutto discende, è la metafora nel racconto di un
agire profondo a congiungere l'uomo con la sua parte nascosta e con il mistero
dell'universo. Su tutte quella del sole come fonte di bellezza e di luce, e del
mare come culla della vita in cui la ricerca di sé- tra ritrovamento e perdita-
è detta allora anche nell'archetipo del viaggio. L'uomo, tiene a ricordare Conte, in quanto creatura non è un dato
statico ma un' evocazione continua nella misura di una mortalità che
nell'apertura ha e abbraccia il suo senso. Ciò anche nella vivacità del
dettato, che intrecciandosi col genere del teatro e del romanzo, si riversa
anche nel verso. Il suo uso dell'endecasillabo, della terzina, dei riferimenti
a metriche orientali o al verso whitmaniano testimoniano dunque le doti di uno
sperimentatore in aderenza alla
necessità del canto, la stessa densità lessicale riuscendo a unire nel
linguaggio le diverse sfaccettature di un reale che- ora nella crudezza ora
nell' inno- chiede ascolto sempre alla luce di un'intimità d'origine. Tra i fondatori del mitomodernismo nel suo significato di lettura del mito
con gli occhi della modernità e la modernità con gli archetipi del mito,
cercando un dialogo con altre civiltà
(nel suo sguardo remoto l'azteca, tra le altre, l'indiana, la celtica) finisce
col mostrare la via di una fraternità universale iscritta nella vitalità di una
cosmologia antica. La parola allora come riattualizzato ricordo tra le maglie
di una contemporaneità che non sa rinascere, l'arte come trasformazione
etica del mondo tramite la bellezza.
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