martedì 3 maggio 2022

GIAN PIERO STEFANONI: "GIUSEPPE CONTE E IL MITO"

 


GIUSEPPE CONTE E IL MITO

 

È una figura eversiva quella di Giuseppe Conte fin dagli esordi strettamente legata ad un'etica della letteratura come ricerca di verità, come possibilità di salvare nella sacralità del linguaggio ciò che d'umano è nell'uomo,  quel che di divino nell'universo intero. Nella sterilità di una civiltà che rischia il tramonto, così imprigionata nella tecnica e incerta nelle proposizioni, ha saputo indicare nella rilettura della natura tramite la riscoperta del mito la via per la comprensione del nostro destino ("Entrano nella morte con i capelli/raccolti dietro la nuca, in un sorriso/prosciugato, abbandonati/su un fianco, inclini a scendere/senza ricordi, hanno mani/estranee, cadute: in molti reggono/lo specchio dentro la destra.//Entrano dove non si muore più. Traversano/buio e profondità. Riaffiorano/sugli orli di un mare smosso da delfini/volanti, da draghi, da quadrighe/di grifoni.//Non fu un «uomo» questo che vedi sgretolato/in foglie, cortecce, calcinacci, intorno/a un teschio. Fu gioia senza nome, leggera,/di pietre, di ali, di sole"). Così se il mito è inteso come collante, come racconto originario da cui tutto discende, è la metafora nel racconto di un agire profondo a congiungere l'uomo con la sua parte nascosta e con il mistero dell'universo. Su tutte quella del sole come fonte di bellezza e di luce, e del mare come culla della vita in cui la ricerca di sé- tra ritrovamento e perdita- è detta allora anche nell'archetipo del viaggio. L'uomo, tiene a ricordare Conte, in quanto creatura non è un dato statico ma un' evocazione continua nella misura di una mortalità che nell'apertura ha e abbraccia il suo senso. Ciò anche nella vivacità del dettato, che intrecciandosi col genere del teatro e del romanzo, si riversa anche nel verso. Il suo uso dell'endecasillabo, della terzina, dei riferimenti a metriche orientali o al verso whitmaniano testimoniano dunque le doti di uno sperimentatore  in aderenza alla necessità del canto, la stessa densità lessicale riuscendo a unire nel linguaggio le diverse sfaccettature di un reale che- ora nella crudezza ora nell' inno- chiede ascolto sempre alla luce di un'intimità d'origine. Tra i fondatori  del mitomodernismo  nel suo significato di lettura del mito con gli occhi della modernità e la modernità con gli archetipi del mito, cercando un dialogo con  altre civiltà (nel suo sguardo remoto l'azteca, tra le altre, l'indiana, la celtica) finisce col mostrare la via di una fraternità universale iscritta nella vitalità di una cosmologia antica. La parola allora come riattualizzato ricordo tra le maglie di una contemporaneità che non sa rinascere, l'arte come trasformazione etica del mondo tramite la bellezza.

 

 

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