UMBERTO SABA E LA SERENA DISPERAZIONE
La
fratellanza a partire dal dolore come esperienza di una stessa condizione,
l'uomo scandagliato nella sua pena entro una disperazione serenamente accettata
come segno del suo destino, pongono i versi di Saba nella limpidezza di una
lingua data per dichiarata e trasparente onestà tra i vertici più alti della
lirica italiana del novecento. Poeta del
quotidiano (tra fedeltà alla tradizione e riferimento alle interrogazioni della
neonata psicologia) ci indica infatti nel riconoscimento del canto l'unanimità
di un volto toccato tra personali e universali fratture da medesime rincorse ed
amori ("Ho parlato a una capra./ Era sola sul prato, era legata./ Sazia
d’erba, bagnata/alla pioggia, belava.// Quell’uguale belato era fraterno/ al
mio dolore. Ed io risposi, prima/ per celia, poi perché il dolore è eterno,/ ha
una voce e non varia./ Questa voce sentiva/ gemere in una capra solitaria.// In
una capra dal viso semita/ sentiva querelarsi ogni altro male,/ ogni altra vita").
Trieste
è la città interrogante, crocevia di un mare e di un mondo aperto, di una
narrazione ricca per uomini e autori; città dell'anima (insieme nutrice e
scontrosa) al centro di questo spazio d'affetti e di memorie care (la moglie
Lina con la figlia Linuccia, le vie poco battute, i caffè e gli affacci dal
porto) nella rappresentazione consapevole di un malinconia riscattata e come
detto accettata proprio nella contemplazione di una esistenza osservata- e
indagata- nel viversi delle passioni. Lo strumento nella chiarificazione del
male è affidato ad una poesia che modulando nel timbro il giusto incontro di
contenuto e forma non teme ma adotta (pur nella sperimentazione che gli è
propria) una lingua semplice ma familiare e per questo prossima alle verità e agli
struggimenti umani. La sapienza così nella struttura e nell'apertura della
parola è nel segno di un'ispirazione alta richiamata ad una trasparenza che gli
viene anche da un passato illustre cui si richiama a differenza del
frammentarismo verboso di alcuni suoi contemporanei ("Amai trite parole che non uno/osava. M’incantò
la rima fiore/amore,/la più antica difficile del mondo.// Amai la verità che
giace al fondo,/quasi un sogno obliato, che il dolore/riscopre amica.// Con
paura il cuore/le si accosta, che più non l’abbandona./Amo te che mi ascolti e
la mia buona/ carta lasciata al fine del mio gioco").Nella
formula antica e rivisitata del Canzoniere in cui raccoglie
nell'opera eventi personali legati per narrazione psichica allo scorrere
naturale della vita, Saba finisce allora col restituirci motivi e impressioni di
una parte importante del nostro novecento racchiusi insieme però
nell'ordinarietà dell'esistenza. Le intimità dell'amore, gli slanci e le
dolenze nell'immutabilità del tempo e del mondo pronunciabile solo nella
consolazione di una personale e comune speranza, nell' adesione interiore, sono
queste dunque tra le altre le interrogazioni che nella distinzione ce lo
rendono caro e più che mai vicino.
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