INTORNO
AL LIBRO DI POESIA E PROSA “LA STANZA ALTA DELL’ATTESA TRA MITO E STORIA”
INCONTRO
VIA ZOOM CON LA VB GINNASIO DEL LICEO TITO LIVIO
ORGANIZZATO
DALLA PROF.SSA MARIA PIA DIMEK
Finalmente
il tanto atteso momento per parlare con voi giovani di questo mio libro,
fortemente boicottato dal Covid. Edito nel novembre 2019, dopo una prima
conversazione al Cenacolo di Poesia “Insieme nell’umano e nel divino” di
Praglia, è presentato ufficialmente solo nell’ottobre 2021 nel prestigioso
Museo degli Eremitani per il gentile intervento della dott.ssa Liana Donolato
del Comune di Padova. Finalmente oggi, su invito della professoressa Maria Pia
Dimek, l’occasione di rivivere con voi
queste pagine di vita e di storia nello sfondo della Padova negli anni ’40...
Ecco il mio immediato grazie a Maria Pia che con piacere conosco ora dopo
diversi contatti telefonici.
E
inizio con la spiegazione del titolo, precisando che la stanza alta è il salotto buono della mia famiglia, residente in
via Gabelli 13 al terzo piano, con soffitti molto alti. Qui con amici e
parenti, in questa fase ancora bellica, attendiamo il ritorno del padre dai
campi di concentramento da me vissuto nell’età mitica dell’infanzia, nell’atmosfera
della seconda guerra mondiale di cui però mi ero proposta di non parlare oggi.
L’argomento è infatti approfondito ne “La grande storia in minute lettere”,
nata dal carteggio, 550 lettere circa, tra mio padre e mia madre dal periodo
della loro conoscenza al suo ritorno a casa.
Ecco
l’attesa era appunto del padre, uno dei 650 mila e più I.M.I., acronimo
inventato da Hitler per Internati Militar Italiani, soldati fatti prigionieri
per il rifiuto di collaborare con la Germania, in seguito all’armistizio dell’8
settembre 1943 in cui l’Italia, rotta l’alleanza, si allinea con gli
angloamericani. Questi Internati Militari Italiani sono chiusi in campi di
concentramento polacchi e tedeschi senza possibili interventi della Croce
Rossa: non godono della convenzione di Ginevra sui diritti dei prigionieri di
guerra. Saranno liberati solo con la sconfitta della Germania del gennaio 1945.
Mio padre tornerà nel settembre. Chi volesse rivedere il libro già citato,
verrebbe a sapere che è stato fatto prigioniero con i commilitoni in Grecia,
vicino al Pireo e che, una volta deposte le armi secondo gli ordini dati dai
tedeschi, tutti sono trasportati in carri bestiame alle destinazioni sopra
citate. Concludo con un altro riferimento alla guerra ricordato nella poesia
“Non dirò dell’attesa di Pippo” in cui accenno al rifugio da me frequentato
nelle notti, portata in braccio dallo zio partigiano, quando gli aerei di Pippo
bombardavano la città. Questi Pippo erano aerei da caccia notturni delle forze
alleate che compivano solitarie incursioni nel nord Italia chiamati
popolarmente così dal nome tecnico Piper, pronunciato in inglese «paiper» ma in
tedesco «piper». Per cui, ogni volta che si sentiva il caratteristico e
inconfondibile rombo, i soldati tedeschi dicevano: «Piper! Piper!» simpaticamente
italianizzato in «Pippo» (tratto da sabatosera.it).
E
ritorniamo, dopo queste necessarie precisazioni, al nostro discorso. Non è che
io abbia una reale conoscenza del tutto, ero troppo piccola, ma come direbbe
Zanzotto l’ho succhiato dal latte materno. A suo dire la poesia nasce
proprio dal vissuto della propria terra ricevuto attraverso il latte materno,
ovvero l’ambiente familiare della propria infanzia, come ribadiranno anche
Pasolini e Turoldo. Sollecitata dalla docente racconto della mia amicizia con
Andrea Zanzotto per dieci anni fino alla sua morte, un’amicizia fra noi
leggera, come scrivo io, derivata dall’incontro con il poeta e gli alunni
dell’istituto Alberti di Abano da me organizzato. Devo premettere brevemente
che, già prima di andare in pensione, per continuare a seguire ancora i miei
ragazzi, mi ero aggregata all’Associazione Levi-Montalcini creando un centro ad
Abano di orientamento scolastico ma anche di progetti culturali. Per fare una
scelta giusta nella scuola superiore è necessario avere più conoscenze
possibili. La scelta giusta è determinante per realizzare un lavoro tale che,
come diceva Rita Levi-Montalcini riportando le parole di Primo Levi dal libro
“La chiave a stella”, potesse corrispondere alle proprie attitudini, passioni,
interessi. Solamente in questo caso si possono avere le premesse per essere
felici svolgendo il proprio lavoro. È la sacrosanta verità: noi insegnanti se
lavoriamo con passione possiamo sentirci, in mezzo ai nostri ragazzi, soddisfatti
e felici anche se avvertiamo la stanchezza dell’impegno. La prova del forte
legame creato con la classe è che questi ragazzi diventati uomini ancora ti
scrivono, hanno con te un colloquio umano, il dono più importante che si possa
ricevere. Qualcosa di sacro. E ritornando a Zanzotto, il nostro dava un grande
valore alla forza del sacro della vita e della morte in una società, anzi
affermava che se viene meno, la società stessa facilmente si sgretola priva
ormai di tutti i valori fondanti.
Dopo
questi cenni sulla mia attività, desidero ora percorrere con voi le vie di
Padova nelle quali è avvenuta la mia formazione umana e ho respirato
l’atmosfera della rinascita postbellica di una città unita dai comuni ideali
dell’amicizia, solidarietà, in pieno slancio vitale. Rendo tutto questo nella
poesia “Via Gabelli” (pag. 32) descritta nella sua fisicità: i portici
affettuosi, i polmoni verdi con vasche di pesci all’interno dei portoni, dalla
parte opposta appartamenti con terrazze ricoperte di glicine degradanti sui
tetti delle officine di Sordina dove si costruivano arredi in ferro per gli
ospedali. E in lontananza l’abside della chiesa romanica Santa Sofia. Di questa
magica via descrivo le figure più significative: Maria la pittrice, Giannina la
scrittrice, la Pamio un personaggio particolare, la zia Lina Crescente con le
sue galline, zio Toni, il partigiano violinista e Ada la pianista. In tale
atmosfera di musica e di canto si percepisce la bellezza della vita insieme
vissuta nell’amicizia: qui si forma la mia anima, qui mio padre al ritorno
trova un gruppo di sodali che lo sostiene nel suo difficile inserimento nella
vita da reduce, dopo questa pagina di storia imica solo ora letta con onestà
intellettuale.
Vedendo
la fotografia della terrazza di via Gabelli 13, tutta fiorita di bianco e pure
di glicine, nel giorno del matrimonio dei miei genitori, mi sono ispirata a
questa visione per ricreare l’immagine delle loro nozze e sottrarla al tempo
come stampa di uno stile, di un costume
proprio dell’epoca: uomini vestiti da ufficiali in grigio verde, donne con
cappelli a larga tesa, mia madre bellissima in un abito di seta bianco e mio
padre in divisa, tutti in corteo dalla chiesa di Santa Sofia al ritorno verso
via Gabelli. Poi il rinfresco con la foto ricordo degli sposi circondati da
tutti gli amici: Paolo Sambin, Jolanda e Orazio Mengoli, lo zio Leone, i
genitori, assente il padre della sposa l’onorevole Sebastiano Schiavon morto
solo a 38 anni. Così nella poesia “Nozze al vento di guerra” (pag. 41) e gli occhi
tutti dai terrazzi vicini partecipavano a questa emozione. E anch’io scrivendo
questi versi.
Quindi,
cari ragazzi, il libro è certamente autobiografico, e fa capire quanto io abbia
risentito nella mia crescita di questi valori appresi dai Grandi che si incontravano
negli eventi della vita, ma anche sotto i portici, per le piazze o nei salotti,
legati dagli stessi sentimenti e di come abbia subito scoperto, succhiandolo in
me come nettare, che le cose prime dell’esistenza sono proprio l’amicizia, la
solidarietà e il desiderio di procedere insieme, in questo caso di rinascere
insieme. Quindi il libro è anche storia di Padova. Non mi stanco mai di
ripeterlo. Ho avvertito questo anche da racconti di mia madre relativi ad altre
tradizioni del tempo: sono nata, come si usava allora, in casa; la mamma è
stata assistita dall’ostetrica più nota della città, e dall’amica Jolanda che
per starle accanto lasciava la sua famiglia. Premesse queste di un modo di
vivere intensamente partecipe, affettuoso, diventato quasi un mito perché
Jolanda sarà presente anche alla nascita delle altre due mie sorelle.
Esperienze uniche, da leggenda. Un mondo, quello degli anni ’40, davvero
particolare in cui esistono, come accennato prima a proposito dello zio Toni,
anche i partigiani. Moltissimi a Padova – interviene anche la Dimek con ricordi
familiari –, effettuano una forma di resistenza al nazifascismo, estesa
nell’Italia del nord, coinvolgente tutti: cattolici e non, comunisti ed altri,
anche donne, in qualche modo autogestiti, con vita nascosta nelle campagne,
nelle montagne, con continui rischi soprattutto nella fase della ritirata dei
tedeschi macchiata da terribili mortali rappresaglie sui civili (vedi a Saonara
in villa Bauce: uno dei troppi esempi).
E
questo mi porta a pensare, non in ordine cronologico ma per analogia, che anche
il nipote di monsignor Pierobon, un giovane ventiduenne cattolico universitario
partigiano, è vittima dei fascisti nel 1944, come anche il famoso frate di
sant’Antonio Placido Cortese di cui sarebbe interessante parlare… episodio
nell’insieme disumano. Immediatamente risento l’affetto e l’amicizia con cui
tutta la parrocchia di Santa Sofia si stringe intorno a monsignor Pierobon per
la morte del nipote, amicizia esaltata nella poesia “L’amicizia scorreva per le
antiche vie” (pag. 52). Anche questo è un ricordo respirato dal latte materno,
dalle conversazioni degli amici dei miei genitori e dal cuore della mia
famiglia.
E a te
Alex, che mi chiedi perché non parlo mai della scuola frequentata, rispondo che
sono stata educata fin da piccina dallo stile di vita condiviso da tutti questi
cari amici devoti agli stessi valori e soprattutto sono stata educata dalla
loro cultura poggiata sulla bellezza della pittura, della scrittura, della
musica, del teatro… tutto quello che rendeva migliore quel mondo postbellico. Nell’infanzia
infatti si assorbe tutto dalla vita perché siamo ancora puri. Poi certamente
frequento la scuola Ardigò in via Agnus Dei, con il rifugio nel sotterraneo
durante le incursioni di Pippo, e pure la scuola Belzoni al Portello, dove
insegnava mia mamma che aveva in classe i figli dei giostrai del Prato della
Valle. Così io, grazie ai biglietti da loro donati, trascorrevo bei pomeriggi
in giostra ovviamente accompagnata da un adulto.
Ora vi
presento Maria e Giannina, due figure sinonimo di bellezza data la loro
vocazione artistica: donne di grande spessore ma anche di grande umiltà, amiche
di tutti, che frequentano non solo via Gabelli ma anche le piazze e sotto il
Salone dove vanno a fare le spese in un continuo scambio di saluti. Giannina è
nota per le sue poesie e i suoi romanzi per ragazzi, editi ancora da “Il
Messaggero di Sant’Antonio”, con cui vinse molti premi. La sorella Maria invece
è una nota pittrice, come già sottolineato.
E tu
Pietro, intanto, mi aiuti nella lettura di questa poesia, “Giannina e Maria”
(pag. 37), che completo illustrando l’immagine degli occhi puri di mio padre
definiti da Giannina come i primi fiori di rosmarino. Insomma io e poi
mia sorella cresciamo in questa atmosfera di poesia e di amicizia perché anche
Giannina e Maria con il loro affetto aiutano mio padre ad inserirsi nel mondo
postbellico. C’è da aggiungere che nella terrazza, accanto alla nostra, scrive
versi il poeta padovano Giulio Alessi e Jolanda recita le sue poesie nel suo
musicale veneziano. Personaggi tutti che frequentano, come la mia famiglia, la
parrocchia di Santa Sofia, luogo di preghiera ma anche di intense confidenze
con il parroco e suo fratello don Pietro.
Ed
ecco, che tu Giulia intervieni chiedendomi della mia fede, ricordando la
processione di sant’Antonio, le visite alla tomba del Santo in braccio a mio
padre, la partecipazione alla vita della parrocchia evidenziate nel libro.
Racconto che nella nostra casa si parlava sempre di miracoli e di provvidenza,
espressioni ripetute anche in quel famoso libro “La grande storia in minute
lettere”. I miei avevano una fede autentica che si traduceva dall’interiorità
al gesto: la nostra casa infatti era sempre aperta ai ragazzi che venivano a
ripetizione gratuitamente perché per fortuna il business non esisteva anche se
eravamo poveri. Quindi io ho vissuto la loro testimonianza di fede e ho
respirato il grande senso della provvidenza, parola ormai desueta. Maria Pia
sottolinea che voi ragazzi conoscete bene cos’è la provvidenza dalla lettura de
“I promessi sposi”. Incitata ancora da Giulia, affermo che il mio cammino di
fede non mi è stato imposto, ma l’ho scelto liberamente: credo che l’uomo abbia
bisogno di un essere trascendente a cui fare riferimento, a cui parlare, da cui
attendere risposte e anche da ringraziare. Addirittura penso che se non ci
fosse un dio bisognerebbe inventarselo per questa esigenza interiore di
confronto con il divino, alter con cui colloquiare, a cui rivolgere una
preghiera, un divino che dà senso alla nostra vita. Devo ammettere però, cara
Giulia, che in questi giorni di sofferenza bellica, mi chiedo spesse volte dove
sia Dio, come diceva anche don Giovanni dalla Rovere, nostro amico, che si
rispondeva che forse era in sciopero, in ferie o in pensione. Perché io lo
sento distante in questo grande dolore, però continuo a parlargli discutendo,
contestando: cerco insomma la sua presenza anche ora. Pure questo è un atto di
fede. Ti affermo però, ragazza mia, che c’è sempre un mistero che non possiamo
capire, anche nella nostra religione, anche nella nostra stessa vita, che
richiede un atto di accettazione. Ad ogni modo, il dubbio anche nella fede ci
sta: anzi il dubbio è ricerca di verità.
Purtroppo
il tempo stringe e l’insegnante riflette che i ragazzi di ora sono diversi da
come eravamo noi una volta, perché hanno meno punti di riferimento, ma lei
ugualmente, con saggezza, li incita a credere e ad andare avanti sempre nel
loro cammino. A questo punto emerge un’altra domanda: «Quando
ha capito la bellezza di queste cose? Già da piccola o nel procedere degli
anni?». E
subito rispondo di aver capito il tutto da grande quando, vedendo da lontano le
cose passate, mi sono resa conto di quanto di buono e di bello avevo avuto
nella mia formazione, dalla famiglia, da via Gabelli. Ho valorizzato quindi
tutta questa bellezza, tema del mio libro, affrontando più sicura il resto del
mio cammino. Devo ammettere però, cara amica, che la mia adolescenza è stata
come la vostra, inquieta, tormentata, anche solo per motivi generazionali,
dalla lotta tra il giusto e l’ingiusto, tra i miei ideali e la realtà, incisivi
anche i rapporti difficili con gli insegnanti pure al Tito Livio dove c’erano
delle carogne emerite. E quindi mi chiedete a più voci come sia riuscita a
procedere. Ho scoperto che si deve andare avanti in ogni modo, rispondendo al
richiamo della vita-dono, anche attraverso le difficoltà che sono delle prove,
dei trampolini di lancio per raggiungere il positivo. Ho visto,
successivamente, che la vita, prima deludente, ci dà poi delle risposte
inattese, quando vuole lei però, non certo per me al liceo. Nei momenti in cui
finalmente ho ricevuto queste risposte, ho rivisitato tutto il mio cammino
riscoprendo che amavo la bellezza, la cultura, l’arte a cui mi sono dedicata
come ad una nuova scoperta. Ho riflettuto così che quello che ero allora, lo
dovevo tutto al prima cioè alla mia mitica contrada, direbbe Zanzotto, e agli
affetti familiari e amicali. E anche ai compagni di classe con cui bisogna procedere
uniti con speranza nella vita perché, lo aggiungo adesso, ogni dolore ha poi
una minuta risurrezione. Certo che per capire questo bisogna attraversare anche
il dolore, parte del nostro vivere.
Dopo
questa bella e sincera conversazione con voi giovani, Maria Pia mi incita a
darvi un messaggio. Io vi invito nuovamente a credere con fiducia sempre, ma
soprattutto ad unirvi facendo barriera tra voi in modo da superare insieme le
difficoltà scolastiche ed altre. E vi invito anche ad ascoltare le piccole cose
e di sentirne il palpito di vita come mio padre reduce dalla tragedia bellica
che al vento d’anemoni e viole / umile sorrideva all’erba della terra. Un
modo per trovare altre risorse per essere felici. Concludo con un nuovo sentito
ringraziamento alla docente per avermi offerto questa splendida occasione di
vita con l’augurio di poterci in altro modo risentire. E rivolgo un caro saluto
a tutti voi e vi ricordo ancora che questi sentimenti da me respirati da
piccina mi hanno accompagnato per tutta la vita. Ancora sono amica di Matilde,
nipote di Jolanda e Orazio, che condivide con me preziose memorie dei suoi
genitori ormai scomparsi e di altro che ha ritrovato in questo libro come i
miei giochi con Jone (sua madre) e Giuliano, il gemello, nel fantastico
giardino di via Rinaldi.
Una sublime pagina di famiglia, Marisa mia, che merita rispetto e ammirazione. La sala alta si riempie di persone care, assume un aspetto il ruolo che le attribuimmo in passato: il luogo di fervida, animata attesa di tuo padre, liberato dal campo di concentramento. E ci narri poi, come 'hai succhiato dal latte materno' la Cultura e lo slancio di sensibilità, di bellezza, di condivisione, che animavano la tua casa di via Gabelli. Tramite il tuo scritto respiriamo l'atmosfera, conosciamo gli ospiti, ci stringiamo alla tua patria effettiva e interiore. Ci consenti un'operazione di traslazione, che solo un vero Artista sa creare. Splendida nella chiusa l'espressione: "E vi invito anche ad ascoltare le piccole cose e di sentirne il palpito di vita come mio padre reduce dalla tragedia bellica che al vento d’anemoni e viole / umile sorrideva all’erba della terra. Un modo per trovare altre risorse per essere felici.". Estratto rivolto ai giovani studenti, che hanno avuto l'onore di viverti come insegnanti, ma anche a ognuno di noi. In periodi così avari di bellezza tu ci lasci sognare in un mondo da salvare! Ti ringrazio e ti tengo stretta!
RispondiEliminaCara Maria, ormai tu penetri nella stanza alta della grande e minuta storia, come un’amica, carissima amica, quasi parente, e ne sei parte viva come chi è dentro la stessa esperienza: l’amore, la cultura, la bellezza succhiata dalla casa, dagli affetti da serbare come patrimonio prezioso, da diffondere il più possibile, come testimonianza del proprio passato, come senso del proprio presente. Ecco, la tua capacità di penetrare nel mio mondo è prova che questo mondo ti appartiene intimamente e ci unisce in una profonda dilatata amicizia. Marisa
Elimina