Il Serchio poetico di Nazario Pardini
Il Serchio pur essendo un fiume
di tutto rispetto è certamente un fiume meno famoso del suo fratello Arno, ma
non meno felice quanto a citazioni, poesia, dipinti, emozioni artistiche... Lo
citava Dante, ricordandone la frescura, Ariosto nelle sue Satire, D’Annunzio, che nell’Alcyone,
alla ricerca della foce scrive:
«Il Serchio è presso? Volgiti
all’indizio.
Ecco la sabbia tra i ginepri
rari,
vergine d’orme come nei deserti.
Si nasconde la foce intra i canneti?
La scopriremo forse
all’improvviso?
Ci parrà bella? No, non
t’affrettare!
………………………………..
Liberi siamo nella selva, ignudi
su i corsieri pieghevoli, in
attesa
che il dio ci sveli una bellezza
eterna.
Non t’affrettare, poi che il
cuore è colmo».
E il Pascoli in Odi e Inni, che appartengono al “periodo
pisano” del poeta, e costituiscono l’espressione più tipica della sua “poesia
civile”, così lo canta:
«Te vidi, quando sceso, negli
umili
tuoi giorni di magra, dal monte,
parevi arrossire del ponte:
del ponte grande, tu sottil
rivolo,
roseo per una nuvola rosea,
cui chiesero, il giorno, le
polle,
che le ravvenasse, e non volle:
………………………………
la sera, o Serchio, mentre sul
candido
tuo greto fitte squittian le
rondini,
dicevi: “Oh! in quest’afa
d’estate
le mie spumeggianti cascate!
…………………………….…
Vo mogio mogio: povero a povere
genti discendo, piccolo a piccoli
poderi che sembrano aiuole,
ma che ora inaspriscono al
sole…”».
Anche il grande Ungaretti così lo
rievoca: «Questo è il Serchio / Al quale hanno attinto / Duemil’anni forse / Di
gente mia campagnola / E mio padre e mia madre….».
Scriveva Ungaretti rievocando i
fiumi che hanno segnato la sua vita: «… Questa è la mia nostalgia / Che in
ognuno / Mi traspare / Ora ch’è notte / Che la mia vita mi pare / Una corolla /
Di tenebre».
Perfino il pittore incisore
Giuseppe Viviani, di non perduta e riconosciuta fama, che viveva tra Bocca di
Serchio e Boccadarno, terra di pescatori e di venditori ambulanti, dove andava
a caccia col suo immancabile fucile e i suoi amati cani, solitario e
autodidatta, e negli anni Cinquanta si definiva «Il Principe di Boccadarno
senza Corona, con sudditi ambulanti, e penna facile…» dedicava alla sua terra,
oltre gli incantati dipinti e le incisioni, le acqueforti, le litografie, i disegni
e aveva dedicato anche frammenti lirici, dimostrando di possedere, tra le tante
capacità artistiche, anche quella della parola poetica:
«Là dove placido trascorre il
Serchio,
acque remote, brividi e luci,
dell’Universo!
luoghi che ancora restano al
mondo,
perché tristezza, almeno un angolo, abbia giocondo!
…Ventilar di canneti
garosi di star cheti
cheti, come quest’acqua
che al ciel apre le braccia..
Ora una nuvola, ora quell’altra
s’abbassan quasi, a toccar
l’acqua,
poi, d’un balzo, pregne d’odori,
portano al sole umidi umori.
Capanne vuote in su la foce, vedo
ombra densa, di placido velluto
nero
dalle finestre, che non han
vetri,
non vi dimorano dentro i poeti?».
Pure lo scrittore Guglielmo
Petroni, vincitore del premio Strega 1974, dedicava al fiume il suo
romanzo La morte del fiume, non alla ricerca di un idillico tempo
perduto, ma recuperando il passato e le sue esperienze, per farle diventare una
conoscenza nuova, consapevole, e coglieva nel fiume e nel suo divenire la
comprensione delle ragioni profonde dell’esistenza.
Il Serchio è il fiume di Nazario
Pardini.
In una breve conversazione
Pasquale Balestriere, a commento della sua ultima poesia Nausicaa sulle rive del Serchio [1]), gli contesta
benevolmente e scherzosamente la dislocazione: «… Nausicaa sul Serchio no!
A fatica lo concedo alla tua immaginazione (che del resto chiami in causa già
dal primo verso), alla forza della tua fantasia poetica….»; …dice, rispondendo,
Nazario Pardini: «… non volevo assolutamente defraudare Nausicaa delle sue
ischitane origini, e poi al Serchio, fiume piccolo e di poco conto per i giochi
della bella odisseica fanciulla. Il fatto sta che mi trovavo giorni fa sulla bocca
del mio fiume, e stavo osservando le sue acque che si spengevano quietamente
nel mare, e tutto attorno rovi e pinete. Una natura selvaggia e primitiva.
“Quasi quasi la nobilito con una reminiscenza - anche se parecchio
personalizzata - omerica” ho pensato. Ed in breve ho veduto Ulisse uscire
affaticato dal mare, e la principessa con le ancelle giocare a palla sulle
rive. “Perché non trasferire il tutto in poesia” mi sono detto. Ed ecco
Nausicaa sulle rive del Serchio, fuori da ogni contesto culturale, che in
questi casi ritengo piuttosto dannoso...».
Maria Grazia Ferraris
Dal blog “Alla volta di Lèucade” [2])
Bentornata Maria Grazia e complimenti per questa lettura critica della lirica del nostro Nume Tutelare, che mette in evidenza quanto il fiume Serchio sia stato cantato da grandi della Letteratura come Ungaretti, Dante, Pascoli, Petroni e perfino dal musicista Viviani. Un exursus che restituisce al figlio dell'Arno la sua dignità artistica e ci consente di visitare Opere illustri. Le tue esegesi, amica mia, sono sempre avvincenti, appassionate, empatiche. Splendida la chiusa, nella quale fai riferimento a un commento di Balestriere, che creò un'assonanza tra Ulisse e Nausicaa sulle rive del Serchio... un fiume che sempre più, diviene linea di demarcazione e non solo geografica ma, per così dire, dell’anima.. E se, per esprimerci con Eraclito, 'non ci si bagna mai due volte' nello stesso fiume, è per l'attitudine di questi corsi d'acqua a scorrere incessantemente, a scandire lo scorrere del tempo... prima di cadere nel fratello - mare. Inevitabile, quindi, che anche il Serchio, tanto caro a Nazario, sia divenuto elemento poetico per i grandi della Letteratura e per le loro Opere. Grazie Maria Grazia della tua disamina, del tuo genio e, soprattutto, del tuo ritorno sull'Isola! Ti bacio insieme al carissimo Vate.
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