martedì 10 maggio 2022

GIAN PIERO STEFANONI: "MARIA GRAZIA CALANDRONE. IN RICORDO DI MIA MADRE"

 

AUTRICE


MARIA GRAZIA 

CALANDRONE E LA COMUNITÀ ORIGINARIA

 

in ricordo di mia madre, Adriana

 

La poesia come indagine seria e severa sul reale, come coscienza di chi siamo e come dovremmo vivere a partire dal riconoscimento dell'altro come simile. È questo, nella memoria di una comunità originaria, il fondamento di una scrittura  che ha nella misura del suo compatire la capacità di riformulare il futuro. Il richiamo civile e sociale del canto dice dalla ferita l'umano nella forma della bellezza e della giustizia, la sua naturale inclinazione alla gioia e all'amore. L'attenzione al mondo come pratica di esistenza ha in sé pertanto la voce di una materia dove non c'è separazione, la storia come dimensione di un agire tra identificazione e scelta, coscienza del male e rivelazione.  La riflessione nella coralità dei suoi scomparsi, delle sue vittime, di uomini e donne nella dirompenza della perdita, è voce di un medesimo volto nella verità e nella sacralità della terra. Per questo, dichiara, il fare poetico è anche un' azione politica: siamo tutti infatti una stessa persona ("l’anima mia è un dio umano,/un uccello d’altura//che ogni notte nidifica nel chiaro/del tuo petto/come un endecasillabo perfetto//(cosa) bianca e copiosa, ala sottile – rosa/e roveto, cenere – parva/tra stelle profuse,/bianco sangue/di spugna tubolare/nel bianco planetario, bianca tigre/seduta ai bordi della bianca strada senza dolore//l’anima mia cresce dalle tue ossa/come una rosa da una lingua viva/– a stille,/a emoraggia/– dal tuo alfabeto/inimmaginabile//ma è da questo corpo,/dalla sua silenziosa mietitura/che viene il verbo,/questo pane assoluto/che ti offro questa bellezza/ viva, fatta per te"). La resa espressiva nello svelare l'umanità nascosta è data nella lotta di una lingua nell'evocazione di un'unità d'amore che investe il creato. Nella semantica del corpo, della luce, di una natura nel suo esempio di aderenza e rinascita, la parola si muove nella dinamica di una comprensione che dirompe dal tutto. La lettura allora dalla verità di uomini e cose dette nel loro nome, nello sforzo trasfigurante del verso lungo e della metafora, è racconto di una promessa fra rischio della perdita e sua accelerazione nell'ordito elegiaco della visione. La preziosità di questa poesia è allora tutta nella corposità di un dettato che lavorando sul senso critico ne è insieme sua educazione nella tenuta di una presenza che non è mai solo individuale. Il dire nella forza di un' immagine strappata alla cancellazione della cronaca e riportata al segno della reciproca appartenenza ha il valore di una riaffermazione natale là dove la morte, appunto, è nel non poter più comprendere. Dare conto del nostro essere esposti, nella vocazione alla grazia che ci viene dagli altri, è questo il richiamo fermo di una scrittura che risale dal buio del moderno. 

 

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