martedì 4 dicembre 2018

FRANCO CAMPEGIANI: "LA FILOSOFIA DEGLI OPPOSTI"


FILOSOFIA DEGLI OPPOSTI

Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade

1 - D'accordo: se una proposizione è vera, la sua negazione è falsa (e viceversa). Con la precisazione, tuttavia, che il vero e il falso non possono prescindere l'uno dall'altro, per cui non si escludono, ma s'includono vicendevolmente. Ciò non significa fare confusione, ma significa evitare la confusione che spinge a fare di una proposizione l'unica padrona del campo. Lo schematismo non aiuta a comprendere. Quando diciamo che due più due fa quattro, dovremmo considerare che il quattro non è che un punto di una progressione aritmetica infinita, uno snodo autostradale che può condurre verso qualsiasi direzione. La realtà possiede una logica inclusiva incomprensibile per l'astrazione razionalistica. Si dirà: dove va a finire l'esattezza in questa visione spiazzante ed enigmatica della vita? Ebbene, l'esattezza può essere utile nella vita pratica, purché si sia consapevoli delle insidie che nasconde. Essa infatti cristallizza in formule il fluire incessante e misterioso della vita. Memorabile l'obiezione di Bertrand Russell contro l'inferenza induttiva delle scienze, ricorrendo al sarcasmo del tacchino induttivista il quale, forte della propria esperienza, era certissimo che il proprio allevatore lo avrebbe nutrito anche il giorno che finì sulla sua tavola. Il pregiudizio è sempre dietro l'angolo. Il vantaggio pratico è indiscutibile, ma il rischio che si corre è di restare ingabbiati nell'arbitrio. L'esperienza  non è statica, è mutevole. Ogni situazione è unica, ogni generazione fa a sé e ogni uomo ha la propria esperienza da compiere. I retaggi sono pura retorica, la storia non è maestra di vita. Se lo fosse, Caino e Abele sarebbero scomparsi da milioni d'anni e invece sono sempre tra di noi. Ed è un bene, perché nel marasma imperante ciascuno può fare la propria esperienza. Personale e diretta, di prima mano. La pappa fatta è inaccettabile.

2 - Il buon senso dei padri contadini, il loro proverbiale equilibrio, era ancorato all'intuito, al sentimento mitico-magico non meno che all'esperienza acquisita. Stava in questo connubio e in questo dialogo il loro realismo mai stritolante e schematico, mai a senso unico, ma sempre accogliente, duttile, comprensivo. L'armonia dei contrari: è questo che manca nell'odierno mondo disincantato, dove il  buon senso è scomparso e dove la logica della realtà ha lasciato il campo a quella dei paradisi artificiali. E pensiamo di essere disincantati. I contadini di un tempo lo erano, non noi, illuse larve metropolitane, rintanate nei nostri mondi di plastica, nelle nostre scatole virtuali. Loro sapevano soffrire ed essere felici, mentre noi abbiamo strappato l'incanto dal disincanto e siamo precipitati nell'incubo di una disperazione totale. Non è nostalgia del passato, non è rimpianto per un mondo bucolico e agreste irrimediabilmente perduto. E' un'istanza che nasce dal cuore del moderno villaggio globale, dall'angoscia alienante delle moderne metropoli che hanno estremo bisogno di realismo e di anima, di valori essenziali.

3 - E' nella dualità che si muove la vita. Osserviamo il bambino. Egli gioca e parla con se stesso perché si sdoppia ed è consapevole della propria natura duale. Che cosa gli accade da adulto? Gli accade che smarrisce tale consapevolezza e diviene monocorde, unidimensionale. Gli affanni quotidiani, le responsabilità, le occupazioni sociali lo ingabbiano, lo soffocano, e lui perde smalto, sentendosi sempre più rubato a se stesso. Sotto accusa non è la ragione come elemento dell'esperienza duale, ma il razionalismo che viaggia a una sola dimensione. L'infanzia regala all'umanità quella ricchezza interiore che l'età della ragione purtroppo interrompe nell'illusione che per divenire adulti occorra seppellire il bambino. Stoltezza. Non si può progredire immolando sull'altare del progresso il bambino che è in noi, il sapiente che è in noi. Occorre progredire nell'equilibrio, evitando che l'evoluzione sia un lento e inesorabile andare alla deriva.

Franco Campegiani





14 commenti:

  1. La sera del 30 novembre, presso lo Studio Boario, uno spazio suggestivo e fuori dai canoni tradizionali, abbiamo avuto la gioia di ascoltare sei artisti che si sono cimentati in poesia e, nel caso di Franco, anche in filosofia, muovendosi tra la gente, interessandola e stupendola. Il nostro Franco ha dato voce alla filosofia e all'amore, mostrando la propria poliedricità e destando grande interesse tra i numerosi presenti. Nel primo intervento, quello che ha riportato sul magico blog, ha estasiato con la teoria dei contrari. Ancora una volta ci siamo resi conto che ogni evento è funzionale al suo opposto, che l'equilibrio è l'unico metro di misura che dobbiamo adottare per accettare i mutamenti che, inevitabilmente, siamo portati a vivere.
    E ha sottolineato quanto sia determinante ricordare il bimbo che vive in noi. Il bambino rappresenta oggi e sempre la saggezza e va rispettato ascoltato, seguito.
    Franco ha riscosso, come di consueto, grande successo.... i suoi due interventi hanno lasciato tracce profonde. Mi piace ricordare che "La passeggiata" è nata da un'idea di Francesco Paolo Tanzj e che sei artisti e un eccellente cantautore, Stefano Panzarasa, hanno reso possibile quest'evento sulle righe, che ha coinvolto e incantato tutti. Ringrazio Franco e gli altri protagonisti: Loredana D'Alfonso, Francesco Paolo Tanzj;
    Rodolfo Coccia, Massimo Chiacchiararelli; Federica Sciandivasci e ringrazio, come sempre, il carissimo Condottiero, che concede spazio a ogni nostra iniziativa!
    Maria Rizzi

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono grato a Maria per aver fatto cenno alla circostanza in cui ho avuto modo di esprimere i pensieri sopra riportati. Non l'ho fatto io per evitare di prendermi tutto il merito di una serata magica di cultura e di poesia che si è avvalsa dell'altissima professionalità di ben altri cinque interpreti, con l'aggiunta di un cantautore di straordinaria levatura creativa. Un vero e proprio "happening", un'azione teatrale assai coinvolgente per il pubblico in sala. Mi unisco, riconoscente, ai doverosi ringraziamenti per il Condottiero Nazario Pardini.
      Franco Campegiani

      Elimina
    2. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

      Elimina
  2. Gentile dr. Campegiani
    Con grande piacere e attenzione ho letto il suo eloquente Saggio. Ho condiviso in pieno molte sue asserzioni ma in special modo “l’armonia dei contrari”.
    Mi permetto di scrivere due miei pensieri. Dal Buio alla Luce, dall’Inferno al Paradiso, opposti che si cercano e si amano, parole che sgorgano dalla perenne contrapposizione del vivere e morire, dell’essere e dell’apparire in una continua variazione di parti e controparti, di fuoco e gelo quasi a delineare un gioco contrastivo di cui la vita si nutre.
    Trascrivo una frase del suo saggio che trovo fondamentale:
    “non si può progredire immolando sull’altare del progresso il bambino che è in noi”…

    Emma Mazzuca

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gentilissima Emma Mazzucca, le sono immensamente grato per queste sue profonde osservazioni. Il mio percorso interiore mi porta inesorabilmente nell'abbraccio dell'attrazione dei contrari, che poi è soltanto un modo filosofico per definire l'amore. Concordo pienamente con lei: gli opposti si cercano e si amano, ligi al fondamento della fratellanza universale. Non c'è giorno senza notte, non c'è inverno senza estate, non c'è materia senza spirito, e così via all'infinito. Il Bene ed il Male non sono che facce distinte di una stessa medaglia, così come Caino e Abele, pur contrastandosi, non dovrebbero dimenticare di essere fratelli. La ringrazio molto per la condivisione.
      Francxo Campegiani

      Elimina
  3. Non so...mi sento di condividere solo in parte le affermazioni dell'autore. Che l'esperienza sia mutevole e che ogni generazione ed ogni uomo vivano la propria, unica ed irripetibile, è cosa risaputa. Il mondo va avanti...o va indietro, dipende dalla prospettiva da cui si guardano le cose; che oggi sia un posto difficile è vero, ma mi chiederei quando mai sia stato facile ... forse non è il caso nemmeno di provare nostalgia per un tempo bucolico che esiste solo nella letteratura...vero che si era contenti di poco...anche il malato cronico è contento se per un attimo gli si alleviano i dolori, ma non la chiamerei felicità ! Quanto al fatto che la storia non sia maestra di vita non direi. Si parla della doppia natura del bambino...forse non ho capito in che senso l'autore parla di doppia natura perchè a me pare nulla sia semplice e che tutto abbia una natura perlomeno doppia, e si dice che l' adulto smarrisce tale consapevolezza. Quale consapevolezza? Quella della propria doppia natura? La nostra natura non è doppia, è perlomeno tripla e anche di più. Il bambino resta sempre in noi, c'è forse qualcuno che non lo sente mai?...è quella parte magica che ci parla più forte nell'infanzia, certo, ma che non può essere seppellita perchè è immortale ed immutabile: mi piace pensare ad essa come a una scintilla del fuoco universale, di quella fiamma che è sapienza innata , che riceviamo in eredità alla nascita e che dovremo restituire perchè sia consegnata ancora ad altri o a noi stessi in altra veste. Mi piace immaginare che conservi tutto di noi, la luce e l'ombra, e che tornerà alla sorgente arricchita dal nostro operare, che da questa ci vengano gli archetipi, frutto delle esperienze di tutti quelli che ci hanno preceduto, filtrato e trasformato in istinti atti a proteggerci. Perchè la storia insegna anche a questo modo. Il bambino è l'ancora che ci salva nel marasma delle fatiche e dei pensieri quotidiani e perciò è prezioso, va curato.

    Lidia Guerrieri

    RispondiElimina

  4. Lidia Guerrieri (continuo)

    Però vederlo solo così è idealizzarlo perchè se il bambino è tutto questo, è però anche altro ; ha il suo lato oscuro : è egoista, egocentrico, capriccioso, irragiovevole, testardo e prepotente . Questa dualità dovrebbe equilibrarsi nell' adulto sotto la guida della parte genitoriale, ma anche questa parte è doppia : accanto al lato protettivo, saggio, amorevole, c'è il volto severo di colui che giudica e condanna, noi e gli altri. Non sempre il genitore riesce a far crescere dal nostro virgulto una pianta forte e sana, nutrita della parte migliore del bambino, un membro giusto in una società giusta. Anzi, ci riesce proprio raramente, direi...e ci riesce raramente perchè anche lui ha una doppia natura, e non sempre opera nelle sue vesti migliori. A me pare che la radice di tutto stia nello squilibrio fra le doppie nature di ogni elemento che ci compone e siccome questo amalgama così delicato e complesso è la composizione dell'uomo da sempre e sarà sempre così, non avremo mai una società giusta ed equilibrata e mai l'abbiamo avuta. La causa è che l'adulto , ossia la persona equilibrata in tutte le sue componenti , in grado di tenere a bada le parti peggiori del bambino e di prendere le migliori non esiste. Non su scala universale. Ce ne sono stati, ce ne sono, certo, sono i saggi, i sapienti, le guide che ci hanno indicato la diritta via, sono le rare pecore bianche di questo gregge bigio e nero. Ma nella maggior parte dei casi l'adulto non si sviluppa ...resta legato al carretto del bambino e del genitore. Siamo uomini allo stato grezzo insomma, uomini in cui prevalgono i lati più deboli delle altre due parti di noi stessi. L'adulto che dovrebbe trovare nel suo bambino gioia e spensieratezza per alleggerire il peso della vita risucchia in sé il lato l'ombra del bambino e questo gli impedisce di crescere come un adulto completo. E così noi siamo una società che più che perdersi incantata nei libri e riflettere guardando l'alto e cercando di migliorare lo spirito, si perde inebetita davanti alla televisione e riflette su come procurarsi un cellulare più bello e cercadi migliorare il proprio stato sociale. E' l'Adulto che oggi è debole: la gente è più portata a giudicare o a sorvolare che a pensare. Noi avremmo le carte in regola per essere componenti di una società migliore : il buonsenso c'è, naturalmente.. fa parte di quel bagaglio di doni che riceviamo alla nascita, ma preferiamo lasciarci trascinare da fattori quali l'ambizione, il rancore, e ( forse il peggiore), un senso di rabbiosa, disperata sfiducia verso gli altri e verso noi stessi, verso la sorte, anche verso Dio, e non vogliamo ascoltarlo perchè questo ci fa sentire momentaneamente più forti e più liberi...più “ grandi”. Ma lui è dentro di noi, ...ci tiene d'occhio e infatti appena abbiamo sgarrato ecco che tira fuori di tasca il rimorso, il senso di colpa, il senso di inadeguatezza e ce li mette tutti davanti. E abbiamo la migliore delle maestre : la Storia. Se così non fosse, se la storia universale e la nostra storia personale non ci fossero maestre, la vita sarebbe un susseguirsi di giorni inutili dato che ogni mattino ripartiremmo da zero. La storia “è” maestra e l'uomo conosce le lezioni..solo che le conosce a livello razionale...sul piano dell'emozione stenta ad assimilarle...siamo alunni lenti e ribelli pur avendo un' insegnante paziente!.....si torna al solito discorso : il “ nostro” bambino fa i capricci, disobbedisce, ignora, il “ nostro” genitore giudica , si adira, punisce, fa il diavolo a quattro, il “ nostro” adulto , sulle sue fragili gambette, si barcamena a fatica e di rado ha la meglio. Finchè questo accade in noi gente qualunque si tratta solo di vedere quanto serenamente uno riesca a vivere, quando si tratta di gente che ha il potere , che riesce a soggiogare con la paura o incantare con falsi ideali gli altri “ bambini”, che ha fra le mani giocattoli pericolosi allora cominciano i guai.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gentilissima Lidia Guerrieri, la ringrazio immensamente per l'attenzione dedicata al mio scritto. Le sue ricche argomentazioni mi danno l'opportunità di approfondire e chiarire meglio il mio pensiero. Andiamo per gradi: lei esordisce affermando che non chiamerebbe "felicità" uno stato d'animo per così dire impuro ed inquinato dal dolore. Mi spiace, ma francamente non conosco, per quanto ciò sia paradossale, un altro modo per poter essere felici. La sofferenza, a parer mio, non cancella la felicità, ma riesce addirittura a renderla più ricca e più viva. Il razionalismo (da non confondere con la ragione) tenta di separare questa dualità, come tante altre che non è il caso di elencare, ed è per questo che a mio parere s'illude. Lei poi afferma che la natura umana non è doppia, ma a dir poco tripla. Ne sono consapevole, tuttavia i campi o piani in cui si manifesta questa immensa topografia possono essere sostanzialmente ridotti a due: quello "spirituale", o "sovra-razionale", che lei stessa definisce, con immagine superba, "scintilla del fuoco universale", "sapienza innata"; e quella razionale che con l'altra è deputata a dialogare. Entrambe le sfere appartengono all'essere umano, all'adulto come al bambino (che non a caso nel "gioco del perché" s'interroga e si risponde); ma laddove nel bambino Ragione e Sapienza si presentano naturalmente e spontaneamente amalgamate, all'adulto accade sovente di adulterarsi (anche se non sempre e non in ogni caso), disunendo ciò che è unito e unito dovrebbe restare. Dicendo questo, le assicuro, non intendo idealizzare il bambino, ma al contrario, prenderlo per quello che è, nel suo equilibrio duale, fatto di luci e tenebre, di bene e male, di egoismo ed altruismo sempre bilanciati. Il sopravvento della ragione, nell'adulto che offusca il piano spirituale, finisce per rivelarsi letale, ed è per questo che - come lei sostiene - "noi non avremo mai una società giusta ed equilibrata". Quindi, mi permetto di concludere, neppure una storia giusta ed equilibrata. E' il nostro peccato originale, da cui possiamo riscattarci - per quel poco che individualmente possiamo - solo rientrando nell'equilibrio iniziale, ovvero nella nostra natura duale. Non mi trovo d'accordo, pertanto, con lei, quando dice che, se la storia non ci fosse maestra, "la vita sarebbe un susseguirsi di giorni inutili, dato che ogni mattino dovremmo saper ripartire da zero". Magari fossimo in grado di farlo, a prescindere dalla situazione storica in cui ci troviamo! Ciò renderebbe la nostra vita immensamente creativa e sicuramente più feconda, più ricca d'amore. Tornare allo zero ogni giorno significherebbe annullare i fumi letali della storia, tornando ogni giorno alle nostre vere fonti battesimali. Naturalmente sono consapevole del fatto che nella Storia c'è tutto, ivi compreso l'esempio luminoso dei saggi (quelli anonimi e quelli celebri in eguale misura), ma il loro insegnamento è sempre stato quello di cercare il "Regno di Dio" non nella storia, bensì dentro di noi.
      Franco Campegiani

      Elimina
    2. Grazie per la sua spiegazione:-) Vorrei solo precisare un punto perchè forse mi sono espressa male. Non ho detto, o almeno non era nel mio pensiero dire che il dolore inquina la felicità nè che non dovrebbe esistere...anzi mi verrebbe da dire che la felicità non possa inquinare il dolore perchè non si mescolano : se c'è una scompare l'altro e viceversa,...e comunque se davvero il dolore scomparisse del tutto, forse non potremmo nemmeno“ riconoscere “ la felicità, sarebbe tutto uguale ed a lungo andare monotono e piatto. Intendevo solo dire che forse non è il caso di provare nostalgia per un mondo che immaginiamo in un modo ma di cui, tutto sommato non sappiamo niente perchè non l'abbiamo vissuto sulla nostra pelle...; si dice che una volta la gente era contenta di poco, che oggi non siamo contenti di niente : beh...secondo me essere contenti è qualcosa che viene da dentro : c'è chi è contento di niente e chi non si contenta mai e questo oggi come ieri, non dipende dalla circostanze e comunque se la maggior parte delle persone una volta si contentava davvero di poco, quel momento di contentezza lo pagavano tutti con tali e tanti momenti di preoccupazione, di privazioni, di pene per cui..il “ si stava meglio quanto si stava peggio” ho l'impressione che ci piaccia dirlo per reazione, perchè siamo amareggiati da troppe cose che anche oggi non vanno.. Il mondo di oggi non va bene, ma nemmeno quello di ieri per cui ogni generazione si tenga i propri guai e cerchi se possibile di non fare peggio di quella di prima. Mi scusi per questi discorsi ingarbugliati, sono pensieri e sensazioni a fior di pelle, non mi intendo di filosofia.:-)

      Elimina
    3. Forse lei no, ma io si, ho vissuto sulla mia pelle gli ultimi sprazzi della cultura contadina. Tuttavia non sono nostalgico e considero quella cultura un archetipo, molto più che un periodo storico superato. Quale archetipo? quello della collaborazione dell'uomo con il pianeta da cui è ospitato; quello di un equilibrio morale e psichico che, senza voler generalizzare, oggi - mi corregga se sbaglio - si direbbe dimenticato.
      Franco Campegiani

      Elimina




  5. Esprimo i miei complimenti al Dr. Campegiani e sono concorde con tutti i concetti sviluppati nell’articolo che ho letto con particolare interesse.
    Dal Suo pensiero filosofico relativo al fluire al mistero dell’umano divenire, si evince che sussiste un flusso perenne dove tutto scorre poiché ogni cosa è soggetta al tempo, alla sua trasformazione e nella stretta connessione dei contrari che, in quanto opposti, lottano tra di loro e convivono, l’uno in virtù dell’altro. Nulla avverrebbe se, allo stesso tempo, non si riflettessero entrambi, come in uno specchio, vicendevolmente.
    L’augurio che facciamo a noi stessi è che il progresso, pur inevitabilmente necessario per l’umana evoluzione, non sacrifichi all’eccesso, come il Nostro afferma, l’essenza insita nella purezza del bambino che è in ognuno di noi. Diversamente, a mio avviso, ci attenderebbe solamente un triste abbraccio tra le stringhe vuote del profondo nulla di un buco nero nel gioco di un velo sottile tra ombra e luce, grigio e immenso, dolore e amore stropicciando passi incerti portati alle soglie del tempo in un labirinto di pensieri senza uscita non più capaci di apprezzare il profumo di un fiore, i colori soffusi di un crepuscolo o la mano tesa di un amico.
    Complimenti ancora all’Autore che ha trasmesso con particolare intensità il sentire dei suoi pensieri.
    Nell’occasione porgo un caro saluto al nostro Nocchiero Nazario che sempre ci accoglie e ci accompagna con mano amica per l’ambìto approdo sullo scoglio di Leucade.

    Lino D’Amico

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono io a complimentarmi vivamente con lei, Dr. Lino D'Amico, per essere riuscito, con linguaggio molto profondo e stracarico di poesia, a dire ciò che io ho inteso dire, con maggiore incisività della mia. La ringrazio molto per la sua condivisione lusinghiera.
      Franco Campegiani

      Elimina
  6. La contestualizzazione di M. Rizzi permette di comprendere, capire in profondo ( distinguere e includere trovando nuova sintesi) il vero significato dell’intervento di F. Campegiani che potrebbe essere erroneamente scambiato per una pseudo-polemica di origine aristotelica-tomista. Grazie per farci penetrare nella dialettica del nostro filosofo senza infingimenti o pseudo retorica. E soprattutto per due affermazioni che sempre mi colpiscono e che tornano nel suo pensiero: la storia non è maestra di vita, l’ esattezza che non includa la complessità e l’opposizione, non risolve i nostri problemi, non dà spazio al buon senso che è sintesi di intuizione, comprensione ed esperienza.. “Sotto accusa non è la ragione come elemento dell'esperienza duale, ma il razionalismo che viaggia a una sola dimensione” che dimentica perché non sa più riconoscere sapienza e amore.
    Da letterata, mi ritorna in mente quello che scriveva I. Calvino: “Dal momento in cui ho scritto quella pagina (Le città invisibili) mi è stato chiaro che la mia ricerca dell'esattezza si biforcava in due direzioni. Da una parte la riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti con cui si possano compiere operazioni e dimostrare teoremi; e dall'altra parte lo sforzo delle parole per render conto con la maggior precisione possibile dell'aspetto sensibile delle cose. …due strade divergenti che corrispondono a due diversi tipi di conoscenza, una che si muove nello spazio mentale d'una razionalità scorporata, dove si possono tracciare linee che congiungono punti, proiezioni, forme astratte, vettori di forze; l'altra che si muove in uno spazio gremito d'oggetti e cerca di creare un equivalente verbale di quello spazio …con uno sforzo di adeguamento minuzioso dello scritto al non scritto, alla totalità del dicibile e del non dicibile.” Ancora una volta “la dualità che muove la vita”.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Maria Grazia, il tuo commento è molto prezioso. Ti sono grato per avere arricchito con così dotti confronti il mio, tutto sommato semplice, pensiero. Come tuo solito, apri finestre fascinose e imprevedibili sullo scibile umano. E hai ragione nel dire che dovrei tenere a bada la vena polemica che in qualche modo fa parte della mia natura. Anche se la radice tomista e aristotelica è lontana dal mio universo interiore.
      Franco Campegiani

      Elimina