domenica 17 febbraio 2019

ANNA VINCITORIO: "OSIP MANDEL'STAM. L'OPERA IN VERSI"

OSIP MANDEL’STAM[1]
L’Opera in versi
Giometti – Antonelli – Macerata
a cura di Gario Zappi
novembre 2018


           M’è dato un corpo: che farne?
così unico e così mio?
Per la quieta gioia di vivere
e respirare
chi, ditemi, devo ringraziare?
Sono il giardiniere e anche
il fiore,
non sono solo nella prigione
terrena.
Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade


Penso di iniziare dal brano di poesia dell’incipit.
Questo brano lo conoscevo – avevo seguito anni fa un corso sulla letteratura russa e questa poesia era citata nella traduzione di Remo Faccani, che qui riporto. Sfumature diverse date dall’impronta personale del traduttore. I primi due versi sono identici. Poi:
Sommessa gioia di respirare, esistere;
a chi ne debbo essere grato? Ditemi –
Io sono il giardiniere, io sono il fiore;
nel mondo carcere io non languo solo.
Alla lettera, il carcere in russo, è camera buia.
È importante notare come il traduttore non si limiti a tradurre ma cerca di penetrare nello spirito del poeta senza intaccarne la libertà di espressione.
In primis è necessario conoscere la lingua originale e rimpiango di non
poter comprendere il russo, ma è importante liberarsi da ogni schema, da ogni limite e arrivare all’anima del poeta senza ingabbiarlo. Questo difficile lavoro può farlo un buon traduttore pervaso di sensibilità poetica. Arrivare all’anima. Non è facile. Abbandonare ogni schema, intuire, penetrare. La poesia anticipa. Apre le porte del futuro. È sciamanica. Basta una sfumatura e si apre il mondo del poeta che è complesso.
In quello che scrive c’è la realtà contingente, la lotta nel voler cambiare
eventi trascinanti e la libertà anche se illusoria. Il poeta non può essere vincolato; a lui la libertà di poter dire: “Sono misero come la natura,/ sono semplice come le nubi,/ e la mia libertà è illusoria/ come il canto degli uccelli a mezzanotte”.
Il poeta, se angosciato, può vedere il sole nero, la patria indifferente, il
“cielo opaco dal riflesso strano”. Sentirsi come un aquilone che, all’improvviso si leva “nell’ampio vento di Orfeo”. Tutto questo, prima che sopraggiunga la morte. Il cielo sovverrà il poeta in sogno. È ancora una speranza. Nella notte un rifugio; lontano dalla luce “delle monotone stelle”. Il tempo, il vagare del poeta lo faranno ritornare… “là non potevo amare/ qui ho paura d’amare…”.
La poesia russa ha inizio nell’800. Il punto culturale di riferimento è la
Francia, legato anche a scoperte archeologiche, alla pittura. È anche importante Roma, il suo passato, la Grecia. Temi ricorrenti nella poesia di Mandel’stam detto familiarmente Osja. Tuttavia può dirsi che gli artisti russi sono alla ricerca di loro stessi. Tra le figure più in vista: Gorkij che arriva in Italia nel 1908 e vi permane fino al 1913. È punto di riferimento. Accanto a lui si raduna un cenacolo socialista tra russi e italiani. La cultura russa avverte la nostalgia del mondo classico – la Grecia: democrazia e libertà. A Pietroburgo dal Capodanno 1912 al marzo 1915, è presente un luogo d’incontri: Il cane randagio – Caffè frequentato dai poeti del momento: Achmatova, Majakovskj, Mandel’stam etc… Era uno scantinato dove, per primo, lesse i suoi versi  Majakovskj. Osip, grande amico di Anna Achmatova dal ‘20 al ‘30. Ambedue, insieme a Gumiliev esponenti dell’acmeismo (dal greco akmé – sommità, culmine, fiore). Si esalta l’universo, l’uomo. Poesia che doveva raggiungere il sublime. Hanno vissuto in se stessi fuori dal mondo estraneo. Ad Anna Achmatova Osip dedica due poesie: “Di mezzo profilo. Oh, tristezza! Volgesti agli indifferenti lo sguardo./ S’impietrì cadendo dalle spalle, lo pseudo classico scialle./ Una voce sinistra ancora ebbrezza – sommuove l’anima nel profondo…” Probabilmente si fa riferimento al dramma di Anna il cui figlio Lev fu arrestato. La sua via crucis la trasformò in una testimone involontaria ma di grande impatto poetico. In quel tempo la voce della poesia viaggiava e si scambiavano versi. Anna è stata espressione dell’avanguardia russa. Per lei come per Osip la parola è più larga del significato che deve essere puro suono; fisicità della parola. Un’altra poesia dedicata ad Anna da Osip è denominata Solòminka (fili di paglia, fuscello, cannuccia con cui si beve un cocktail). Vezzeggiativo con cui gli amici l’avevano soprannominata. Riporto alcuni versi notevoli nella loro resa in italiano dal traduttore Gario Zappi.
“Nelle ore d’insonnia gli oggetti sono più grevi,/ come fossero meno, tale è il silenzio,/…No, non è Solòminka un raso solenne/ nella nera alcova, sulla nera Nevà/ sono, dodici mesi che cantano l’ora della morte/ e azzurro-pallido fluisce il ghiaccio nell’aria”. Come si può notare dalla lettura dei testi di Osip e degli altri poeti dello stesso periodo, la poesia, in Russia, è sempre stata tragica. Al poeta è riservato un destino crudele: Puskin prima esiliato e poi morto in duello; Majakovskj suicida nel ‘35; Marina Cvetaeva anche lei suicida; Osip morto d’inedia nel lager di Vtoraja Récka presso Valdivostok nel ‘38.
Racconta nella prefazione Gario Zappi che Osip era semiassiderato,
accovacciato vicino a un immondezzaio e rosicchiava zollette di zucchero recitando brani della Divina Commedia e del Canzoniere del Petrarca. Nella vita sentimentale di Osip Mandel’stam ha rilievo l’incontro con Marina Cvetaeva avvenuto nel 1915. L’anno dopo Osip perde la testa per Marina ascoltando i suoi versi. Fu amore breve e intenso. Lei di Mosca, lui di Pietroburgo.
Marina gli dedica 11 poesie, lui a lei tre. La moglie Nadezna Mandel’stam
assieme alla cognata di Osip ha conservato poesie inedite del marito in una scatola di fiammiferi. Tanti fogliolini di carta da sigarette. Lo racconta Gario Zappi che si trovava a Mosca in casa di Aleksandr Mandel’stam. Dice…non potevano essere tramutati in “polvere da lager e sono giunti così fino a noi come estrema postrema testimonianza…”.
Le parole del traduttore manifestano il suo profondo amore per il poeta e
ne hanno penetrato appieno lo spirito.
Molte sono le poesie di Osip testimoni del suo dissenso politico dal regime staliniano. Anche se non esplicite, dagli esperti del regime furono rilevate nella loro essenza e gli valsero ben due arresti e il lager. Non possiamo non esaminare almeno una delle più significative: Tristia, in cui è codificato il suo credo. La parola scritta di Osip farà fede e ci saranno il riconoscimento delle sue idee e le estreme conseguenze. Questa poesia dà il nome alla raccolta ed è la più amata in Russia. “L’ho appresa la scienza degli addii/ negli scarmigliati lamenti notturni./ Ruminano i bovi, perdura l’attesa,/ è l’ultima ora delle vigilie urbane./ E osservo il rito di quella notte da gallo/ in cui…guardavamo lontano gli occhi lacrimosi/ e il femmineo pianto si mesceva al canto delle muse./ Nelle guerre soltanto a noi viene dato il dado/ mentre loro è dato divinando di morire”.
Non posso non riportare alcuni versi del 1913 da Poesie disperse: “Il
battere dell’orologio e le ombre dei sovrani…/ Russia, tu che ti reggi sulla pietra e sul sangue,/ prendimi nella tua corazza di ferro, almeno con la gravezza: benedicimi!”
Il poeta insegue la luce; vola dietro i suoi raggi. La luce è infinita come la
libertà.” Io alla libertà, come alla legge sono inanellato “e pertanto/ non mi toglierò mai/ questa lieve corona./ E proprio noi, abbandonati nello spazio/ condannati a morire/ dobbiamo rimpiangere la meravigliosa perseveranza/ e la fedeltà!”. Voglio pensarti Osip vagare tra azzurre falde di vento con ali lievi di libellula o camminare tra la neve che profuma di mele come un antico! Tu, poeta che ami “il popolo che vive a fatica,/ che considera un anno un secolo,/ che partorisce e dorme e grida inchiodato a terra.”…Ancora: “Il popolo ha bisogno di versi misteriosamente/ familiari, che in eterno, lo possano destare/ e nelle onde color lino, ricciute e castanee/ nel cui suono si possa lavare…” – 19 gennaio 1937, da Quaderni di Voronez.

 Anna Vincitorio
 21 gennaio 2019


[1]     Il 5 dicembre 20189, giorno in cui gli editori hanno mandato in libreria L’Opera in versi di Osip Mandel’stam a cura di Gario Zappi, è uscito un esauriente articolo sull’evento. Commenti recenti di Alessandro Baricco e Adriano Barra.

6 commenti:

  1. Ringrazio Anna Vincitorio per questa bella cornice di attenta tensione ai testi, e alla vita, di Mandel’stam e ai poeti russi di un periodo molto sofferto (…). Apprezzo - tra l’altro - il tono di condivisione, anche affettuoso, della Vincitorio che immagina il poeta “vagare tra azzurre falde di vento con ali lievi di libellula o camminare tra la neve che profuma di mele come un antico!” Ci si ri-trova in un mondo di luce dove i poeti hanno – per loro natura - la libertà di dire, dirsi…lontani da ogni condizionamento interno o esterno e, per dirla con questi meravigliosi versi che Anna Vincitorio ci ricorda, vicini al popolo, perché “Il popolo ha bisogno di versi misteriosamente/ familiari, che in eterno, lo possano destare/ e nelle onde color lino, ricciute e castanee/ nel cui suono si possa lavare…”
    Sonia Giovannetti

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  2. Una breve esistenza, come breve fu quella di Majacovskjj, la loro morte drammatica determinata dall'involuzione tirannica della rivoluzione sovietica. Ma questo poeta ci è ancora più vicino, come sensibilità, come personalità e come espressione artistica. Un uomo che ha viaggiato molto, aperto al mondo, sensibile e curioso, allo stesso tempo triste e nostalgico, capace di grandi sentimenti. Colpisce la dolcezza delle sue immagini, la classicità dei suoi versi, l'amarezza delle sue conclusioni. Anche il titolo di una sua famosa raccolta "Tristia" ci evoca Ovidio, che sembra condividerne i tratti di personalità, il ricordo della terra, l'infelicità dell'esilio. E la Siberia che ha dovuto subine per motivi politici, non è forse un parallelo dell'esperienza di Ovidio, relegato da Augusto nella lontana Tomis nella Dacia, oggi Romania. Quante cose comuni nella vita degli uomini, pur di tempi e di luoghi diversi...

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  3. Questa brillante nota critica di Anna Vincitorio intorno all'opera poetica di Osip Mandel'stam, condotta riflettendo sul saggio recentemente edito da "Giobetti & Antonello" di Macerata, curato da Gario Zappi, pone in evidenza la tragica delusione di un poeta (come di un'intera generazione poetica), che ha vissuto sulla propria pelle l'irrealizzabile utopia di un agognato connubio tra poesia e potere, tra popolo e potere, tra potere e spiritualità. La poesia, scrive la Vincitorio, è per sua natura "sciamanica". Condivido totalmente l'assunto. I versi di Osip Mandel'stam sono antinichilisti per eccellenza. Greci lo sono: nel senso socratico del termine, e non in quello dei pensatori classici che usavano dividere il Vero dal Buono e dal Bello. Un poeta come Osip credette profondamente in quell'unità dell'Etica con l'Estetica che condusse Socrate al suicidio di Stato ("democratico", non c'è che dire). Mi complimento vivamente con la Vincitorio per questo suo stimolante studio.
    Franco Campegiani

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  4. "La poesia anticipa. Apre le porte del futuro.E'sciamanica"
    Con queste tre brevi, ma incisive affermazioni Anna Vincitori ci introduce nella magia della poesia russa, che al pari della musica riesce ad evocare atmosfere di straordinaria profondità.Ottimo intervento,che in poche righe contestualizza il momento storico degli scritti sottolineando con particolare attenzione la vita e le opere dell'autore e dei suoi contemporanei, accendendo così il desiderio di approfondire l'argomento.
    Grazie di cuore e complimenti vivissimi
    Paolo Buzzacconi

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  5. Ringrazio Anna Vincitorio per aver iniziato questo suo commento critico affrontando, con grande perspicacia, l’annosa questione della traduzione della poesia, offrendoci due versioni diversi dell’incipit della stessa composizione. Saltano immediatamente all’occhio, anzi sarebbe meglio dire all’orecchio, le differenze, ché la prima traduzione a me sembra molto più musicale della seconda, pur avendo entrambi i traduttori rispettato il significato dei versi, com’è logico che sia. Da questa considerazione, sorge immediatamente una domanda: quanto è importante la traduzione affinché le opere di un poeta raggiungano pienamente il lettore, facendo sì che egli sia un autore più o meno compreso, più o meno amato? Indipendentemente dal significato dei versi, è ben noto che la poesia è anche musica; non è certo il caso di ricordare ciò che si intendeva per lirica nell’antica Grecia! Ritengo, pertanto, che il ruolo del traduttore sia fondamentale, quando, come osserva la Vincitorio rammaricata, non si conosce la lingua in cui un’opera è stata scritta, ché soprattutto la poesia andrebbe letta nella lingua originale.
    Ho affrontato questo problema personalmente, avendo tradotto in inglese alcune mie poesie o di amici per far loro un favore. Confesso di avere impiegato giornate intere! E la Vincitorio, con acume, osserva che “un buon traduttore” deve essere “ pervaso di sensibilità poetica” per “arrivare all’anima” dell’autore che traduce e tradurlo correttamente. Solo in questo caso egli potrà far sì che anche il lettore arrivi all’anima del poeta che ha tradotto. Grazie, quindi, Anna Vincitorio, per aver messo in evidenza un aspetto della “poesia” sovente trascurato.
    Trovo Osip Mandel’stam un autore straordinariamente attuale. Testimone e vittima del suo tempo, la sua è poesia di dissenso e di denuncia. Quale potenza hanno i versi “il popolo che vive a fatica,/ che considera un anno un secolo,/ che partorisce e dorme e grida inchiodato a terra”, versi che potrebbero ben essere scritti oggi, con riferimento a tanti popoli contemporanei. E colgo quest’ottima occasione per far notare che la poesia di denuncia, se proprio vogliamo etichettarla, a me molto cara, non è legata ad avvenimenti contingenti, ché la tirannia, l’oppressione, la privazione della libertà, sono sempre esistiti e, temo ahimè, che sempre esisteranno e, pertanto, ora e in avvenire “Il popolo ha bisogno di versi misteriosamente/ familiari, che in eterno, lo possano destare/ e nelle onde color lino, ricciute e castanee/ nel cui suono si possa lavare…” !
    Ester Cecere

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  6. Complimenti: senza dubbio molto evocativa e dotata di un piano sintetico di lettura con raffinate analisi nel dettaglio, si mostra la recensione di Anna Vincitorio della poetica di Osip Ėmil'evič Mandel'štam, con particolare riguardo all’antologia curata da Gario Zappi. Nato a Varsavia (all'epoca interna all'Impero russo) autore dei versi – lo ricorda la Vincitorio - «Io sono il giardiniere, io sono il fiore; / nel mondo carcere io non languo solo», è il medesimo poeta che compose diffondendolo il celebre epigramma rivolto a Stalin quando nel 1933 giunse al potere, dove è indicato simile a un «montanaro del Cremlino», le cui «tozze dita come vermi sono grasse».
    Amico di Vladimir Majakovskij, e con lui altri grandissimi – leggiamo nel commento – «alla ricerca di loro stessi», il geniale Osip fu insigne membro del movimento letterario dell'Acmeismo. Viaggiando in Europa, più volte in Italia, «esalta l’universo, l’uomo». Purtroppo muore «d’inedia nel lager di Vtoraja Récka presso Valdivostok nel ‘38» e, secondo il racconto (riportato dalla Vincitorio) nell’introduzione di Zappi, «semiassiderato, accovacciato vicino a un immondezzaio», rosicchiando «zollette di zucchero recitando brani della Divina Commedia e del Canzoniere del Petrarca». In un’epistola alla moglie Nadežda Jakovlevna scrisse: «Mia cara bambina, non c’è praticamente nessuna speranza che questa lettera ti arrivi. Prego Dio che tu capisca quello che sto per dirti: piccola, io non posso né voglio vivere senza di te, tu sei tutta la mia gioia, sei la mia tutta mia, per me è chiaro come la luce del giorno. Mi sei diventata così vicina che parlo tutto il tempo con te, ti chiamo, mi lamento con te».
    Sono parole che, chissà come, rievocano al turco Nazım Hikmet, rifugiato in Russia, mentre nella poesia Varsavia, 1960 annotava: «La mia donna è venuta con me fino a Brest / è scesa dal treno è rimasta sul marciapiede / si è fatta più piccola più piccola più piccola / un seme di grano nell’azzurro infinito / poi, eccetto i binari, non ho visto più niente. / E poi mi ha chiamato, dalla terra polacca non potevo / rispondere / non potevo chiederle dove sei, mia rosa, dove sei / mi ha detto vieni ma non potevo andare da lei / il treno correva come se non dovesse fermarsi più / soffocavo dalla tristezza / E poi sulla terra i pezzi di neve si scioglievano / e a un tratto ho capito che la mia donna mi vedeva / mi chiedeva mi pensi ancora mi pensi ancora».

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