mercoledì 1 aprile 2020

NAZARIO PARDINI LEGGE: "FOGLIE" DI MARIAGRAZIA CARRAROLI


Mariagrazia Carraroli. FOGLIE. Balda Editore. Prato. 2019


Maria Grazia Carraroli si presenta sulla scena letteraria con una nuova silloge editata per i caratteri di Balda Editore, dal titolo FOGLIE; un titolo che con tutta la sua portata iconica  ci mette già in viaggio attraverso boschi e frescure, verso un’isola felice, dove la natura con tutta la sua potenza visiva e contemplativa fa da concretizzazione degli stimoli panici della versificazione. A questo punto credo che sia importante, per entrare da subito nel mare magnum della poetica dell’autrice, riportare una pericope che si legge sull’aletta di copertina: “Sono affascinata dal bosco, dal suo verde coniugato in mille sfumature, percorso e sorvolato da respiri selvatici e voli. Quelli, per esempio, di Carpineta, un angolo nascosto dentro le selve dell’Appennino tosco-emiliano.  Un rifugio d’anima, dove respirare la natura: una piccola  casa circondata per tre lati dal bosco e accarezzata da un prato dove due annosi meli danno ancora frutti ai caprioli... Così, a te che leggi, vorrei consigliare di sfogliare queste pagine, come fossero  foglie di un albero che si incontra, si guarda, magari si ammira, con la consapevolezza, però, che la forza, la bellezza, il ristoro e il dono vengono dalle radici che non si vedono, dal loro lavoro profondo, sotterraneo, capace di far circolare il nutrimento in superficie.”.  Iniziare da qui significa inoltrarci nell’empatica fusione fra la Carraroli e la natura che la circonda. Una fusione intima, d’amore, di pace, di respiro e nutrimento. L’autrice si fa tutt’uno con l’ambiente panico, con gli alberi, il verde, le radici, le foglie; e trae da tutto ciò la linfa necessaria a concretizzare il suo pathos. Sì, perché è da l’ambiente floreale e arboreo che trae lo spirito giusto per un mondo di edenico riposo, di amore oblativo. Recondite armonie, per tirare in ballo il mio maestro Puccini, che attirano e abbracciano, che turbano e inquietano, che  avvolgono e ispirano, facendosi sostanza netta per una ispirazione pulita e liricamente fluente. E’ proprio la poetessa a invitarci a prendere in mano le sue FOGLIE, a accarezzarle, a respirarle con lo stesso afflato, che Ella infonde nel suo Invito: “... Lasciami spighe da raccogliere/ per un pane spezzato in parole/al banchetto festante/ di nozze condivise”. Una vertigine ontologica che richiama gli empiti ispirativi di Daniel Varujan, nel pieno del suo Cantico al pane. La lingua non può dire tutto, non è capace di  reificare coi suoi sintagmi il magma di un animo in piena ispirazione; la poesia ha bisogno di qualcosa di più ed è per questo che la poetessa allunga il tiro rifacendosi a figure retoriche di ampio respiro, a sinestesie, a iperboli, a metafore così che il linguismo assuma significanti che vadano oltre i significati, per toccare le corde dell’eccelso. Contribuisce  non poco l’intervento di Luciano Ricci, che, con le sue immagini disseminate nel testo, dà forza e visività agli abbrivi emotivi di Maria Grazia. E tutto scorre con  eleganza formale, con euritmica sonorità, come se l’autrice volesse eguagliare con la versificazione l’armonia del creato:

da Carpineta:

“... rattengo lacrime
davanti alla porta di casa
quella piccola nostra con prato
e tutto l’ingorgo di verde
che m’inghiotte e stupisce...”

a Pianta:

“Le radici hanno il colore
della luna
affondano nei suoi crateri
crescono con sogni
e pianto...”.
Il verso scorre limpido e segmentato, per tenere dietro agli input emotivi: si fa apodittico, breve tanto che non è raro che una sola parola si faccia essa stessa verso. Un vero diagramma di alti e bassi, di salite e discese, come l’animo richiede,

da Diospiro

“... Ho chiesto un albero in dono...”

a Il fico:

“... L’altalena saliva scendeva saliva
più ardita
a vincere l’alto delfico...”

da L’albicocco a l’Olleandro, da Il rovo a il Tronco, a Lezione:

“Da quali dita magate
l’olmo apprende
la pazienza della trina...”

Così lo spartito, diviso in tre sezioni (Invito, Poranceto, fogliefogli), procede con abundantia cordis per tradursi a volte in narrativa poetica in certi commenti di particolare intensità lirica. Per farsi prosimetro in questo testo articolato. Tutto è plurale, polisemico, proteiforme, tutto è vòlto a tradurre un animo intento a rendere umano un bosco di orchestrali e poeti: “... noi bosco/ al sensibile/ rspetto dettiamo/ contemplazione sosta/ e d’equilibrio/ esatta radicata metafora/ noi/ orchestrali e poeti/ ritmi diversi/ componiamo alle stagioni/ d’identica inattesa/malia/” (Poranceto). Uno si perde facilmente in un bosco di tanta esplosione panica; fra un verde che ti cattura e ti invita a godere dei suoi profumi; in un bosco che ti invita al dialogo, con le sue radici che recitano poesie. Ed è in questo anfratto di pace e silenzi che mi piace stendere le mie membra per  ripulire il respiro dagli inquinamenti giornalieri, ricorrendo ad un  lacerto di Sandro Angelucci che nella sua postfazione  ci invita a chiudere in bellezza questa recensione: “... Testi come Violino, ad esempio – lo strumento che prende la parola per raccontarsi – non sarebbero mai nati se la Natura, precedentemente, non avesse trasfuso il fruscio della selva, i respiri dei nidi, il sapore del miele, il colore della resina in quel corpo di legno, e mai e poi mai il violino avrebbe potuto “suonare la foresta che (è) sublimata”.

Nazario Pardini

1 commento:

  1. RICEVO E PUBBLICO

    Carissimo Nazario,

    solo un Poeta come te poteva immergersi, cantandola, la poesia di FOGLIE. Solo un Poeta come te può leggere la poesia tutta, rendendone udibili le note sotterranee, anche a chi ancora non si è potuto accostare al testo. il mio GRAZIE, sentito e affettuosamente ribadito, si unisce quindi idealmente a quello di tutti gli autori che tu sai così ben valorizzare e porgere al lettore del tuo prestigioso blog.
    Augurandoti tutto il bene che meriti, ti saluto e ti abbraccio.

    Mariagrazia Carraroli

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