venerdì 10 aprile 2020

ROSSELLA CERNIGLIA LEGGE: "ANTOLOGIA " DI LUCIANO POSTOGNA, GUIDO MIANO EDITORE




Luciano Postogna
ANTOLOGIA
Guido Miano Editore, 2020

Recensione di Rossella Cerniglia


Solo a partire dall’anno 2000, il poeta Luciano Postogna, ha cominciato a pubblicare i versi che teneva in serbo da circa una trentina d’anni. Alle prime due sillogi, Pensieri nudi, e Ali  d’Arcangelo, pubblicate nell’anno 2000, si sono succedute poi Raggi rossi al tramonto del 2001, Anatomia del vento, del 2002, Oltre ogni orizzonte, del 2003, e infine L’ombra dell’anima del 2006. Da esse sono state scelte le poesie che vengono a comporre la presente Antologia.
Straordinari ed esemplari ci appaiono, innanzitutto, i versi posti in apertura dell’intera raccolta, come un esergo annunciatore di quel sentire intimo e profondo che interamente la pervade, travalicando l’elemento denotativo delle molte descrizioni verso risonanze e connotazioni ampie e  profonde, che trascendono, in suggestioni rare ed ineffabili, gli orizzonti del tempo e della storia.
Verso l’infinito ci si mostra, perciò come un testo di epigrafica e paradigmatica valenza: al suo centro è l’uomo, con le sue ferite e precarietà e debolezze; colmo di angoscia nella notte, foriera del triste presagio della morte, e ancora avvinto, agli albori del giorno, alla speranza e ad una nuova illusione, che sembrano valere come i cardini su cui, imperiosa, ruota la vita.
La forma afferisce, per molti aspetti, alla tradizione, al patrimonio classico, non tanto dal punto di vista metrico quanto piuttosto sul versante linguistico e lessicale. I versi, infatti, non seguono alcuno schema fisso: solo talvolta mantengono la rima - qualche volta alternata, o anche interna al verso - con un dettato morbido e sciolto, ma sempre vigile e misurato, dove  le scelte lessicali attingono decisamente, al registro alto della nostra migliore tradizione letteraria. Talora, inversioni ed anastrofe o l’uso di alcuni termini un poco desueti, conferiscono ai fraseggi e alla compagine versificatoria, una lievissima patina antiquaria.
Man mano che si procede nella lettura dei testi, risulta sempre più evidente che la poesia più genuina ed autentica del nostro autore è intimamente connessa alla realtà della sua terra, alle sue radici triestine e carsiche, e all’elemento naturale che ne evidenzia le spiccate peculiarità.
La regione carsica, è concepita e vissuta dal poeta come vera Patria e come Madre, ed egli respira, perciò, lo stesso alito e la stessa vita che da essa gli deriva. Un amore filiale, pervasivo, anima perciò queste pagine, e una venerazione della natura che trova corpo in quella terra.  La poesia che ne fa le lodi è evocatrice, colma di echi e risonanze e suggestioni rare, sconfinanti nell’indicibile. 
Nelle descrizioni del paesaggio, che intesse i suoi anni dall’infanzia, si mescola il sentire, ora assorto, ora vigoroso del poeta, si avverte l’amorevole afflato - materno e filiale - confluire in uno, come avviene tra creature intime e intrinsecamente necessarie. Così si leva il Cantico incipitario del figlio alla sua Terra: “...La mia anima è a Trieste/ pallore della luna,/ la bora e voci calde;/ la mia anima è sul Colle/ prezioso ancor pei ruderi/ che diede Roma antica;/ la mia anima è tra i boschi/ e lande torturate/ del Carso novembrino (...)”                 
Nei versi si mostra l’anima di questo paesaggio che sembra scorrere nello sguardo del poeta man mano che si addentra nei luoghi amati, perlustrandone le bellezze, e godendone, con uno stupore antico che ognora si  rinnova: “Risalire il mio fiume/ dalla foce imminente/ alle fresche sorgenti/ rivedendo acque chete/ gorghi e rapide irruenti,/ ascose anse che portano/ in stagnanti acquitrini/ e allegre cascatelle:/ è la mia unica vita!” (Il mio fiume.
I vari testi trascorrono dentro lo sguardo del lettore come visioni che annotano, quasi diaristicamente, l’eterno peregrinare del poeta sul corpo amato, e financo dentro il ventre della sua amata terra.  In Sotto il Carso scorre... rivive l’ardore di ogni rinnovata scoperta, nella simbiosi animica di uomo e paesaggio. Già nei versi iniziali, il poeta disegna, con un breve tratteggio di  immagini vivide, lo scenario naturale e quello interiore, dove i verbi, tutti al presente, ci immettono d’emblée dentro un  preciso istante di quel cammino che  viene a costituire la sua storia: ”Sotto il Carso scorre,/ negli ascosi alvei, il Timavo/ e la mia vita.// Il fresco mattino di collina/ mi trova inebriato/ dai profumi d’un Carso settembrino/ ed attento m’inoltro nel bosco, (...)  ...tra muti biancospini/ e aromatici ginepri,/ scendo il ripido pendio/ della dolina ombrosa: (…) Mi partorisce il bosco/ sulla landa calda del primo meriggio/ e tra l’erba “rossigna”,/ macchiata qua e là/ da stregonelle ingiallite e centauree già vizze (…) Il fiume scorre/ e illuso m’appoggio all’imbocco/ d’un abisso profondo,/ quasi a carpire quel palpito cupo/ del cuore che fa vivere il Carso. (...)”. I versi annotano le delizie che abitano lo sguardo di questo figlio devoto, l’amore di fronte a scorci e immagini di incontaminata purezza, e il sentore della pace divina che da essa si effonde. Mai come in questo caso si potrebbe parlare di vis medicatrix naturae  come di fronte al sentimento di quiete e beatitudine che pervade l’animo del poeta nel suo andare peregrino  incontro al corpo della sua  venerata Madre Terra.
Ma, a volte, - sull’onda, forse, del sentimento o del ricordo, e di pensieri inquieti che si aggirano nell’animo senza trovare strada e risposta agli incresciosi e drammatici interrogativi della vita - il paesaggio intensamente si tinge di nero scontento, e turbamento, e le immagini dei luoghi portano inscritte le passioni e i tormenti e le cupe inquietudini che attraversano l’animo del poeta. Così in Fuga carsica, Autunno, Ho lasciato il mio corpo, Sera, Impietoso Carso, L’ultimo pastore - e ancora in molti altri testi - regna, a tratti, una stessa atmosfera grigia e tormentata.  Alcuni passi, financo, richiamino alla mente le cupe atmosfere di un romanticismo nordico incline alla poesia sepolcrale:“ La bora porta/ dei volti antichi/ strappati/ negli orti lapidari,/ alle statue attonite/ e spegne,/ nei cimiteri;/ i lumi fatui: si destano così i fantasmi timidi/ dei paesi morti./ le folate portano/ quelle vesti bianche/ e le pietrose facce/ tra i cupi boschi carsici...” (Carso). E così, il paesaggio si veste dei colori inquieti dell’anima, spesso in un sentore vago di ignote e oscure presenze.
Ma, in ogni caso, ogni descrizione di questo paesaggio è permeata del sentire del poeta. Sia che ne canti con stupore infinito la bellezza, sia che colga in esso un riflesso della propria realtà interiore, esso è la sua Madre Terra. E nelle loro vite scorre uno stesso sangue e uno stesso respiro.

Rossella Cerniglia


Luciano Postogna, ANTOLOGIA
Guido Miano Editore, 2020
mianoposta@gmail.com

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