Bibliografia
J. Achrafian, Diciotto
poesie armene, Him, Roma, 1939; Id. "Daniel Varujan", in Orfeo.
Il tesoro della lirica universale, a cura di V. Errante e E. Mariano,
Sansoni, Firenze, 1949; Id. "Daniel Varujan", in La poesia
armena moderna. Poeti armeni dell’Ottocento e del Novencento, a cura di
padre M. Gianascian, Mechitar, Venezia 1963; B.L. Zekiyan, "Daniel
Varujan. Dall’epos al sogno", In forma di Parole, n.s. 1, 3,
luglio-settembre 1990, pp. 127—181; K. Beledian, "Un paganisme poétique.
Essai sur le fondement de la poésie chez Daniel Varoujan", in Annali
di Ca’ Foscari, serie orientale 20, XXVIII, 3, 1989, pp. 83-95.
Aia
Mi siedo sull’aia sognando
all’ombra del mio asino
che legato vicino a me
sfrega
la sua dolce mascella sulla mia spalla.
Sulla pianura, calma, dilaga
l’onda bianca del sole
i covoni vi nuotano, e la
tartaruga
la cerca per riscaldarsi.
L’ala del vento, carica di
tiepidi profumi,
si muove appena, pigramente.
L’ombra della vacca sulla
luce gloriosa
è un largo rattoppo nero.
Trasportate le sue cose, il
contadino
ha fondato là un nuovo villaggio...
lontano giace sulla soglia
muschiosa
e fa la guarda solitario il mastino.
Nell’aia il covone stuccato
dal sole
sembra una casetta dorata.
L’ombra fresca dell’albero
dal folto fogliamo diventa
il velo di una sposa novella.
Ed io seduto all’ombra del
mio asino
canto i valorosi della terra
che appena appesa la falce
al muro
addestrano il toro all’aratro.
Canto il pastore che spiana
l’aia
col rullo di pietra attaccato alle spalle,
la camicia inondata di
sudore
aperta sul petto.
Canto le spose che, con le
dita colorate di henné,
setacciano l’orzo vigorosamente;
si disperdono dai fori del
loro setaccio,
diresti, gocce di perle.
Canto i contadini che in
cima ai carri
eretti come dèi
col forcone ferocemente
distruggono
l’enorme catasta dei covoni.
La trebbiatrice canto, che
naviga intorno al raccolto
come su un lago color di fuoco,
e anche il grano turbinante
che già
nuota in mezzo alla paglia.
Oh, quanto è dolce
confondersi con l’essere
in questo lavoro sacro;
dai sandali fino ai capelli
immergersi
nelle polveri gialle dorate.
In cerca della scintilla del
forno, del pane del campo
essere il Pan delle aia,
restituire al cuore dei
mulini
i loro canti infiniti.
Un canto di meravigliosa e quasi estenuata dolcezza che, con fidenti e sereni toni georgico-bucolici, celebra divinamente la vita che sta tutta nei margini della natura e ad essa totalmente si affida, in essa ineffabilmente s'inscrive. Con sfolgoranti e dilatati effetti cromatici, se si considera l'ambito spazialmente ridotto, cioè l'aia, punto e oggetto di una così riuscita indagine poetica.
RispondiEliminaQuesto poeta armeno, a mio parere, ha davvero degnissima voce.
Pasquale Balestriere