lunedì 20 aprile 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "IL DOPO ESTORIL" DI ANNA VINCITORIO



Anna Vincitorio: Il dopo Estoril. Blu di Prussia editrice. Piacenza. Pg. 110


I tuoi passi e la terra
i tuoi occhi nel cielo
Nel dolore il ricordo

Questo nell’incipit. Un annuncio di una poesia dal verso apodittico, conclusivo, di grande valenza ontologica che ci dice dell’umano e di tutto ciò che l’umano coinvolge e sconvolge: memoriale, realtà, inquietudine del vivere e del vissuto, interrogativi sul fatto di esistere. Una poesia folta, zeppa di intense vicissitudini, di immagini calde e lucenti, reali e scottanti che tutte assieme danno forza allo scorrere dello spartito. E basta leggere la poesia eponima che potrebbe benissimo fare da momento incipitario per il suo valore verbale, emotivo, e etimo-fonico. Dove la parola è sufficiente a se stessa dacché a essa è affidato l’arduo compito di rivelare il senso della vita. Una parola, che, incastonata in versi anche bisillabi, allunga sguardi oltre il senso di una grammatica usuale, canonica. Ed è con essa, col suo potere, che la Poetessa vuole esprimere la complessità del suo sentire, ricorrendo a figure stilistiche di grande effetto simbolico, di grande resa significante,  per agguantare le cospirazioni  che in Lei lavorano da tempo. Una decantazione di luci e barbagli che, ora, sgomitano per uscire a nuova vita; per confermare la loro esistenza; per allungare sguardi verso orizzonti che superino i limiti entro cui è delimitata la nostra vicenda:

Seduta
Rumore compatto,
luce aggiunta
È già tutto lontano
Il verde che si allunga
E fascia la strada
Fiori, piante
nell’ondulato azzurro
vibrante
che riflette il cielo
(…)
Da una parte
la conclusione di un cielo
Dall’altra,
giovinezza e speranza
di giorni uguali
agli altri
in fila come il treno
verso la mitica Belem
(…)

Una verticalità poematica di forte impatto emotivo. Da una parte la realtà del presente, con un cielo calante di forte senso allusivo; dall’altra i giorni di giovinezze e speranze, ma tutti eguali, uno dietro l’altro, in una corsa implacabile, senza sosta, che tanto dice dell’imperscrutabilità del luogo e del tempo che ha a che vedere col mistero della vita. Verticalità! proprio! La Poetessa è presa da una urgenza impellente di confessare il suo pathos. E la sua versificazione è quasi come un  liquido che esce da una fiasca gorgogliando. A fiotti, a singhiozzi. Non c’è spazio neppure per l’interpunzione tanta è la necessità di un aveu che si fa voce di ermetica memoria; di memoria Zanzottiana. E una grande funzione è assunta dal naturismo in questo azzardo etimo-esplorativo. Sono il verde, i fiori, le piante, l’azzurro, il cielo, a concretizzare e rendere visive le emozioni dell’Autrice, le sue meditazioni, cosciente, Ella, della precarietà dell’esserc-ci. Dacché gli stessi azulejos di un recente passato sono già realtà remota. E il presente solo sguardi  in fondo a un pozzo che tanto allunga il tiro al misterioso quanto indecifrabile futuro. Una poetica complessa, plurale, che abbraccia il fatto di esistere con tutto il suo senso di odisseico sapore. Di un viaggio verso porti di grande respiro, ma di difficile ancoraggio per un’anima cosciente della sua miopia. L’opera divisa in  tre sezioni (Il dopo Estoril, Solitaria follia, Per Alma), si sviluppa in un climax di crescente indagine. Ricerca, scoperta. Un'epifanica palingenesi fatta di andate e ritorni in cui la Nostra gioca un ruolo di odeporico travaglio. Di salita verso mete eccelse partendo da un realismo di minimalista fattura. E dove passato, presente e futuro si embricano inscindibilmente a favore di un poièin di epigrammatica consistenza:

Dormi fanciullo
nell’anfora fiorita
come il ventre di tua madre
Il pianto insegue le stelle
e vara  spazi verdi
nell’azzurrità di cieli
mai conquistati…

 Sì, è proprio la condizione umana, il suo esistere fra rien e tout a determinare quella dualità fra dolore terreno e ambizione stellare. Il dolore delle nostre eroiche incertezze e l’avventura che ci elevi al di là della nostra pochezza. Ma alla fin fine quello che più colpisce la nostra sensibilità, è la sonorità di un memoriale che trascina la Vincitorio verso punte di un lirismo di rara efficacia. Un serbatoio che si fa vera vita, e che ci portiamo affettuosamente dietro come un tesoro da conservare. A quello Ella è aggrappata con la speranza di poterlo trasferire con sé oltre il guado di questo vorticoso fiume.

Belli,
quegli acquazzoni di primavera,
gocce di luce
sui tuoi scuri capelli
Quell’indugiare
col gruppetto di amici
nel verde protettivo
della fortezza
(…)
Dentro,
un sommesso gorgogliare
e quei volti
rimasti giovani (Gioventù).


Nazario Pardini

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