Anna
Vincitorio: Il dopo Estoril. Blu di
Prussia editrice. Piacenza. Pg. 110
I tuoi passi e la terra
i tuoi occhi nel cielo
Nel dolore il ricordo
Questo
nell’incipit. Un annuncio di una poesia dal verso apodittico, conclusivo, di
grande valenza ontologica che ci dice dell’umano e di tutto ciò che l’umano
coinvolge e sconvolge: memoriale, realtà, inquietudine del vivere e del
vissuto, interrogativi sul fatto di esistere. Una poesia folta, zeppa di
intense vicissitudini, di immagini calde e lucenti, reali e scottanti che tutte
assieme danno forza allo scorrere dello spartito. E basta leggere la poesia eponima
che potrebbe benissimo fare da momento incipitario per il suo valore verbale,
emotivo, e etimo-fonico. Dove la parola è sufficiente a se stessa dacché a essa
è affidato l’arduo compito di rivelare il senso della vita. Una parola, che,
incastonata in versi anche bisillabi, allunga sguardi oltre il senso di una
grammatica usuale, canonica. Ed è con essa, col suo potere, che la Poetessa
vuole esprimere la complessità del suo sentire, ricorrendo a figure stilistiche
di grande effetto simbolico, di grande resa significante, per agguantare le cospirazioni che in Lei lavorano da tempo. Una decantazione
di luci e barbagli che, ora, sgomitano per uscire a nuova vita; per confermare
la loro esistenza; per allungare sguardi verso orizzonti che superino i limiti
entro cui è delimitata la nostra vicenda:
Seduta
Rumore compatto,
luce aggiunta
È già tutto lontano
Il verde che si allunga
E fascia la strada
Fiori, piante
nell’ondulato azzurro
vibrante
che riflette il cielo
(…)
Da una parte
la conclusione di un cielo
Dall’altra,
giovinezza e speranza
di giorni uguali
agli altri
in fila come il treno
verso la mitica Belem
(…)
Una
verticalità poematica di forte impatto emotivo. Da una parte la realtà del
presente, con un cielo calante di forte senso allusivo; dall’altra i giorni di
giovinezze e speranze, ma tutti eguali, uno dietro l’altro, in una corsa
implacabile, senza sosta, che tanto dice dell’imperscrutabilità del luogo e del
tempo che ha a che vedere col mistero della vita. Verticalità! proprio! La
Poetessa è presa da una urgenza impellente di confessare il suo pathos. E la
sua versificazione è quasi come un
liquido che esce da una fiasca gorgogliando. A fiotti, a singhiozzi. Non
c’è spazio neppure per l’interpunzione tanta è la necessità di un aveu che si
fa voce di ermetica memoria; di memoria Zanzottiana. E una grande funzione è
assunta dal naturismo in questo azzardo etimo-esplorativo. Sono il verde, i
fiori, le piante, l’azzurro, il cielo, a concretizzare e rendere visive le
emozioni dell’Autrice, le sue meditazioni, cosciente, Ella, della precarietà
dell’esserc-ci. Dacché gli stessi azulejos di un recente passato sono già
realtà remota. E il presente solo sguardi in fondo a un pozzo che tanto allunga il tiro al
misterioso quanto indecifrabile futuro. Una poetica complessa, plurale, che abbraccia
il fatto di esistere con tutto il suo senso di odisseico sapore. Di un viaggio
verso porti di grande respiro, ma di difficile ancoraggio per un’anima
cosciente della sua miopia. L’opera divisa in
tre sezioni (Il dopo Estoril,
Solitaria follia, Per Alma), si sviluppa in un climax di crescente
indagine. Ricerca, scoperta. Un'epifanica palingenesi fatta di andate e ritorni
in cui la Nostra gioca un ruolo di odeporico travaglio. Di salita verso mete
eccelse partendo da un realismo di minimalista fattura. E dove passato,
presente e futuro si embricano inscindibilmente a favore di un poièin di epigrammatica
consistenza:
Dormi fanciullo
nell’anfora fiorita
come il ventre di tua madre
Il pianto insegue le stelle
e vara spazi verdi
nell’azzurrità di cieli
mai conquistati…
Sì, è proprio la condizione umana, il suo
esistere fra rien e tout a determinare quella dualità fra dolore terreno e
ambizione stellare. Il dolore delle nostre eroiche incertezze e l’avventura che
ci elevi al di là della nostra pochezza. Ma alla fin fine quello che più
colpisce la nostra sensibilità, è la sonorità di un memoriale che trascina la Vincitorio
verso punte di un lirismo di rara efficacia. Un serbatoio che si fa vera vita,
e che ci portiamo affettuosamente dietro come un tesoro da conservare. A quello
Ella è aggrappata con la speranza di poterlo trasferire con sé oltre il guado
di questo vorticoso fiume.
Belli,
quegli acquazzoni di
primavera,
gocce di luce
sui tuoi scuri capelli
Quell’indugiare
col gruppetto di amici
nel verde protettivo
della fortezza
(…)
Dentro,
un sommesso gorgogliare
e quei volti
rimasti giovani
(Gioventù).
Nazario
Pardini
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