giovedì 2 aprile 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "LA', DOVE PIOVEVA LA MANNA" DI I. TOGNACCI



Imperia Tognacci: Là, dove pioveva la manna. Edizioni Giuseppe Laterza. Bari. 2015. Pg. 80



Precipite il tempo: tra onde
di ritorno chiama il faro
dell’ultima frontiera.
Tutto, all’improvviso, deraglierà.
Poco importa a te, madre terra,
se sarà stata la punta
di una pietra di salice,
o la frana dei giorni su di noi,
a condurci dove ogni
cosa tace e dove l’ombra
senza memoria regna.

Un inizio di grande essenza significante, dove è possibile leggere l’inquietudine dell’esistere e le tappe di un iter che fa della realtà un motivo d’indagine. Questo “Poema” lineare e organico per pensiero e forma – un verso libero che permetta a Imperia Tognacci di non restare vincolata a un modus scribendi che può limitare l’effusione lirica del canto – parte proprio da una realtà fisica e spirituale per cercare di agguantare le soglie della verità. Cammino difficile e intricato attingere qualche risposta dai perché della vita; dacché il nostro essere, pur cosciente della precarietà della sua vicenda legata al luogo e al tempo, contiene quegli impulsi che lo elevano e lo invogliano alla ricerca. Lo spirito e la materia, la terra e l’oltre, le cose e la fuga; un equilibrio di contrapposizioni, una fusione di contrari che alimenta con energica forza linguistica la storia di un’anima. Il suo viaggiare in un mare illuminato da un faro dalla scia troppo breve per le esigenze di uno spirito vòlto alla conoscenza di sé, del rapporto col mondo, con le stelle e l’universo, con l’ingordigia di un’ora che tutto trangugia; col rapporto con l’aldilà, e con tutto ciò che comporta questo travaglio interiore per staccarsi dal vissuto, pur facendone motivo di risalita. D’altronde quel mare è troppo vasto e ostile alla navigazione. È un mare che allunga i suoi spazi a orizzonti troppo vasti per la mente umana; che ci rende piccoli piccoli, inesistenti; ma che si apre, anche, a estensioni di libertà per la conoscenza dell’altra parte di noi, del nostro vivere e del perché: soluzioni a quesiti di cui va in cerca la Nostra. “Tutto, all’improvviso, deraglierà”. È il nostro ente che è destinato a  chiudere il sipario con in petto tutti quegli interrogativi irrisolti. Un’opera plurima, di polisemica valenza, questa della Tognacci. Un’opera in cui si toccano tutti i tasti dell’andare e tornare; dell’essere e soffrire, di quella vicenda odisseica che ci mette di fronte ad un viaggio zeppo di trabocchetti e insidie, per cui niente è facile ma tutto è possibile se misurato col nostro bisogno del ritorno: un nostos di grande significato umano e sovrumano che non significa solo donna, uomo, terra, paese, radici, amore; piuttosto rinnovamento, un nuovo esistere pregno di conoscenze, di riflessioni, e delusioni, in base a quello che ci eravamo proposti di raggiungere. Anche se, pur sempre, storia di nostoi con in cuore Nausiche, Circi, Polifemi, Sirene che tornano a mente mutati in altre fisionomie; in immagini sfumate dal tempo; rivissute con saudade, con nostalgia di un qualcosa che non è più realtà, ma pathos che tiene in sé vicissitudini di primavere lontane. Sì, tutto questo trovo nel viaggio interiore della Tognacci vòlto ad una terra reale e surreale, agognata e, forse, mai raggiunta; una terra che esiste nelle sue aspirazioni; un amore edenico, un suolo incontaminato, un mèlange di memoriale e di parènesi oracolare che riaffiora con forza per sconfiggere il nulla; quel nulla che ci opprime e che la Poetessa trova: “Là, dove pioveva la manna”.  Ben VII le tappe di questa “Odissea”: Il sé come orizzonte, Spazio aperto, Non siamo separati, Per sentieri di sabbia e vento, Alzo segnali di fumo, Nell’eternità dell’anima, Verso Aquaba.   
Una vera ascesa; una scalata verso cime da cui si possa vedere, a cielo sereno, un panorama senza quei confini  che delimitano il nostro esser-ci:

Nel mio viaggio lungo il deserto
fino ad Aquaba, mi guidate,
voi, beduini, su maestosi
cammelli, immagine vivente
di stagioni perdute
su sentieri di sabbia e di vento
 e di ancestrali ritmi dal sangue
trattenuti…

Un procedere di urgente metaforicità espressiva affidato al supporto di intrecci narratologici; un “Poema” che si fa sempre più allegorico nel dipanarsi di una vicenda immaginifico-esistenziale dove Aquaba, i cammelli, i beduini, i sentieri di sabbia e di vento divengono visualizzazioni concrete di sentimenti e sensazioni, di memorie e aspettazioni alla ricerca di un’oasi in cui:

Mi parlerai dell’altra riva,
dove gorgogliano acque eterne,
dove si raduna ciò che non ha fine

Là è volta l’anima della Nostra, là è diretto il cammino: in un mondo eternamente eterno, bucolicamente affabulante, terrenamente ultraterreno; là dove l’immaginazione poetica possa vincere le sottrazioni del quotidiano; in un continuo cammino, senza sosta, senza esatta destinazione, alla ricerca di un’isola vestita di sole:

Non ti dirò, Eolo, l’esatta destinazione,         
che la Parca mi colga andando.


Nazario Pardini

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