giovedì 9 aprile 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "A RICCARDO" DI DOMENICO DEFELICE



Domenico Defelice: A Riccardo (e agli altri che verranno). Il Convivio. Castiglione di Sicilia. 2015. Pg. 64

Un climax che drizza le vele al porto della vita, al miracolo della sua presenza

Splende la sposa come una regina,
il re ha giurato amore eterno.
Mangiate e bevete, amici,
le labbra sorridenti, gli occhi molli;
bevete e mangiate
tra balli e canti fino a notte fonda.
Sarà un’alba radiosa e nuova
sopra una terra piena di germogli.

Leggere la poesia di Domenico Defelice è un’emozione schietta; è un contatto di polimorfico sapore, di plurale contaminazione: musicale, espressiva, umana, estetica,  quindi etica, sociale, e civile. Una contaminazione legata alla vis creativa di un Poeta aduso ad indagare sulla vita e su tutta la sua complessità: la memoria, l’esistere, il tempo, gli affetti, i parenetici messaggi, e l’odeporica mèta verso un porto di umana problematicità. Dacché riconosce, il Poeta, le aporie dell’uomo nei confronti di se stesso e dell’intero pianeta, anche se, qui, appena accennate in versi che lo mettono, più che altro, a contatto con una innocenza rousseauniana. Ma è questa innocenza che preme a Defelice, e di questa si bea: tutto è sapido di gioia e di piacere. Tutto è vòlto a vincere le ristrettezze del vivere coi limiti che ciò comporta. È la nascita di un nipote, di un virgulto, Riccardo, la sua tenera storia, a portare speranza e lucentezza. Amore totale che dà sostanza al futuro, all’avvenire. Messaggio di nuovo sangue, e di prosieguo. Di continuità a vincere i limiti a cui sono vincolate le vicende terrene. D’altronde è umano, strettamente umano confrontarsi col giorno che scorre imperterrito e indifferente al nostro esistere. Come è umano aspirare al Cielo, a confondere le nostre deficienze in qualcosa di supremo, di bien haut: contemplazioni che annullino le pochezze della contingenza. Sta in questa diaspora, in questa dualità, il fatto del nostro esser-ci. Vivere a terra con lo sguardo vòlto all’oltre. Ma si sa quanto il nostro sguardo sia miope e quanto non arrivi a superare la siepe che ci delimita. Ed è proprio da una realtà che si fa verità, dalle gioie che questa può offrire che Domenico prende la linfa ardente per il suo canto. Un canto che contiene tutta la forza di un terreno che fa del contingente un frutto dell’aldilà. Ma persino per un credente è scomodo confrontarsi col tempo e con la morte, dacché è la terra con tutta la sua generosità di suoni e colori, di affetti e di presenze a tenerci radicati: “Non so quando, Tesoro, non so quando,/ ma presto dovrò lasciare questo mondo!/ Inutile tentare immaginarlo/ allor che avrai i miei anni”. Ed è così che ancora di più l’Autore ci coinvolge: lo fa dando al suo verso il compito non solo di narrarlo ma soprattutto di perpetrare, con richiami foscoliani, una storia, una saga di affetti, di amore, e di esistenze da tramandare. A Riccardo il titolo e due i sottotitoli: il primo, con valenza eponima, il secondo Per gli altri che verranno. Un “Poema” che si distende con urgenza emotiva su uno spartito di polisemica affettività, di polimorfica connessione fra dire e sentire. Dacché mai il Poeta fa traboccare la sua pienezza ontologica, la sua forte interiorità, considerando, fra l’altro, la facilità con cui si potrebbe scadere, in certi argomenti, in un sentimentalismo di scaduta stilistica. Qui tutto è arginato da un verbo di grande valenza prosodica che evidenzia l’abitudine alla frequentazione letteraria del Nostro.
Fa da prodromico avvio la foto di Roberto e Gabriella (figlia del Poeta), gli sposi che  doneranno il frutto dell’amore:

Ho consegnato allo sposo
la mia perla più preziosa;
davanti a Dio gliel’ho consegnata.
(…)
Sarà un’alba radiosa e nuova
sopra una terra piena di germogli (La perla più preziosa).

Tutto si fa radioso e splendente; la natura gioisce e si rende partecipe con i suoi germogli dell’evento miracoloso;  destinato a rinvigorire il futuro di Defelice.
Si succedono, così, temi che riguardano la crescita di Riccardo:

da Il primo dente:

Per poco ancora. In bocca la corona
neppure intera brillerà
che avrai compreso già tanti perché…

al Sorriso legato alle galassie:

(…)
Anche noi tutti siamo stati angeli
all’alba della vita, poi negli anni contorta!
Breve è nell’uomo l’innocenza…

da La prima volta:

(…)
A chiamarmi nonno
è stato per telefono, dal mare
di Puglia arroventata.

(…)

Se La vita è sogno
- come scrive Calderón –
ed è un sogno la vita,
questi momenti dolcissimi
sono la sua poesia,
la rendono infinita,      

fino a Meghi (il cane scomparso)

Sempre al centro dei nostri giochi
gli animali:
la scimmia, il coccodrillo, Topolino,
il gatto verde, la nera formica…
Ma, sopra tutti, un cane peluche
da te posto a guardia di un club segreto
(non permetti lo chiami Meghi,
come a dissacrarne la memoria),

ma non senza riferimenti all’uomo, alle sue pecche, e alle sue deviazioni. Quindi con sfumature sociali e civili che si fanno urgente valore aggiunto all’opera:

(…)
Sappi che il mondo
sarebbe calma e dolce una placenta
se gli umani, a vicenda,
poi si confortassero,
se combattessero solamente il Male
partendo da se stessi, se, poi,
a vicenda non si divorassero (La divina matrioska).

La seconda sezione, più breve, di appena cinque composizioni,  si apre con la foto del figlio Stefano con la compagna Emanuela:

(…)
Astate e stupende le ragazze, ma tu
conquistato hai la Perla di Labuan,
agile e scattante come una pantera.
Bella, orgogliosa, altera,
le punte dei capelli corvini
le si attorcono come alle Meduse;
spille lucenti sono gli occhi neri.
(…)
  
Ed è qui la conferma di un Poeta credente; la verticalità di un uomo attaccato alla vita, alle sue Bellezze, fisiche, spirituali e naturali. Di un uomo che sa levare lo sguardo al Cielo, per ringraziarlo, non solo per la fede che gli ha concesso, ma soprattutto per i grandi doni carnali in cui vede il simbolo del suo prosieguo:

Non morirò del tutto.
(…)
Alberi voi sarete
a porgere frescura alle mie ossa,
a coprirmi di odori.

La natura con tutta la sua potenzialità cromatico-sonora fa da volume ai sentimenti dell’Autore. È ad essa che Egli si rivolge per dare visività fenomenica ai suoi stati d’animo; ed i versi, attraverso importanti significanti metrici, si fanno tatuaggi di un sentire crescente da romanza rossiniana:
Tu non lo sai,
ma tutti trepidiamo
perché tu venga
nell’azzurro sperato,
nel verde immacolato
di questo orrendo sasso
ch’è la terra (Perché tu venga).

Un climax che drizza le vele al porto della vita, al miracolo della sua presenza; perché è ad essa che Defelice volge lo sguardo e l’anima; ed è alla Poesia che affida il sacrosanto compito di farne un inno da consegnare all’amore, alla Storia:

Vedrò la luce con i vostri occhi,
i colori, le forme,
le tante meraviglie strepitose


Nazario Pardini

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