Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade |
Si tratta di una raccolta di poesie. Se ne volete sapere di
più vi trasmettiamo la postfazione di Franco Campegiani, e il link alla
prefazione di Nazario Pardini.
Lo potete ordinare in libreria, o nelle
varie librerie online, come: IBS: http://www.ibs.it/code/9788865914755/fiorentini-claudio/grido.html
Franco Campegiani collaboratore di Lèucade |
"Di giorno
dorme"
"Grande
poesia. Sento i brividi leggendola. E' l'apoteosi dell'amore e della fede,
quelli veri". Queste scarne
e sentite parole inviai a Claudio, dopo aver letto la poesia che compare
all'inizio di questa silloge, scritta da lui la sera prima, a caldo, dopo un
incontro al Polmone Pulsante sui temi dell'autocentrismo,
termine da me coniato nel 2001 in un trattato pubblicato da Armando. Aggiunsi
poi al telefono: "Avrei voluto scrivere io questi versi". Così
mi posi di buon animo alla lettura del testo che lui mi dette in visione
qualche giorno dopo.
Qual'è la
tipologia umana che affiora da queste poesie? quella di un essere
sartrianamente gettato nel mondo, con la sensazione tuttavia di
essersi smarrito da chissà quale patria cosmica. Un esilio che il poeta tenta
di superare per tornare, come lui dice, all'"altro Me finché con lui /
ritornerò completo, e sarò Uomo". E sta qui la nota che distanzia
questa visione del mondo dalle filosofie esistenzialiste. Un eloquio
fortemente metaforico, con una musicalità tutta propria e atmosfere dolci-amare
inconfondibili, parla di una distanza incolmabile fra sogno e realtà. Pur
tuttavia in questa weltanschauung il sogno è considerato
aspetto della realtà caduto in oblio: "altra coscienza che di
giorno dorme".
Il grido di
Fiorentini pertanto non è un urlo disperato, terrorizzato, ma il grido di un
uomo smarrito che sa di potere e dovere tornare a se stesso, al proprio
personale ovile: "Giuro di portare in me questa pena / intera tutta / per
trasformarla in gioia"; perché "è un frutto fecondato dal dolore
/ la gioia". Questo grido, allora, non è che un'invocazione dolcissima
rivolta all'arcana maestà di se stesso, vedendosi finito chissà come in
una realtà ridotta e meschina, esiliato dalla propria patria interiore, o
comunque gettato nella periferia di se stesso: "io guardo su / dove la
luce è vera", anche se nascosta e persa nell'immenso.
Claudio
Fiorentini sembra avere percezione di una vita duale: microcosmo e macrocosmo,
separati ma attratti irresistibilmente tra di loro. Una vita parallela ci
scorre a fianco, ed è un conflitto, una scissione che tende alla
riunificazione. E' di notte che
avviene l'incontro, come quello degli amanti, in note rigeneratrici e
catartiche di avvilimento e di perdono. Di giorno le due realtà si dividono, presi
nell'infernale ingranaggio delle incombenze quotidiane, ma di notte torniamo in
noi stessi e siamo indotti a guardarci dentro: "Io l'osservo da fuori, ma è dentro che succede / ... / Fuori /
c'è solo distanza".
Di giorno il tempo ci domina e la vita ci sfugge, ma di notte, mentre si
accende la luna e l'anima viaggia "a luce spenta" liberandosi,
"in tormentate lotte", del proprio fardello di azioni meschine,
diveniamo noi i padroni della nostra vita e del nostro tempo. In tal modo
l'uomo migliora e si avvicina a Dio: "al suo Dio", si premura di sottolineare Fiorentini, rinviando al
divino interiore che sommessamente opera nel cuore dell'uomo e costituisce il
polo più elevato della propria humanitas, della propria essenza, della propria scintilla
divina.
Più che metafisico definirei misterico l'impianto
di questa silloge, aggrumata intorno al mistero dell'armonia dei contrari, che
è poi il mistero dell'amore, il mistero della dualità dell'Essere. Il mistero
della relazionalità, che prima di tutto è relazione dell'individuo con se
stesso. I due amanti sono specchio l'uno dell'altra, ma specchiandosi non perdono
la propria identità: "Io resto io, tu resti tu, / non conosco il tuo
mondo, / lo immagino riflesso del mio / ma è altro". Amare non è perdere
la propria identità, ma è attraversare il mondo rischiando di perdersi, per
ritrovarsi al termine del viaggio nella sola luce di sé.
L'importante,
in vita, è comunque consumarsi per amore, logorarsi come lo stoppino e la cera
per dare luce a sé e agli altri, senza nulla chiedere in cambio. Anche
se, giunti al capolinea, ci renderemo conto che "il tempo non è bastato a
farci capire / che matti si è savi e savi si è stolti". E "ci
ritroveremo allora / per un attimo / eterno, vero, solido / ... a
pentirci".
Franco
Campegiani
Poche righe, caro Claudio, per raggiungere una recensione vera e propria. Ecco le mie prime impressioni prima di avere il tuo
RispondiEliminalibro.
Il nitore di questa raccolta poetica è balzato ai miei occhi senza aggredire l'anima, scolpendo nella mente parole, immagini, sguardi e emozioni che ci appartengono legati alla condivisione.
Non è mai sufficiente rileggere i risvolti della nostra esistenza, vissuti così intensamente da Claudio e recepiti da me con profondo
respiro. Grazie a te. Patrizia p.
Ringrazio il Prof. Pardini per avermi di nuovo ospitato in questo spazio. Il grido grida, e meno male!
RispondiEliminaClaudio