Pietro Rainero, e famiglia, collaboratore di Lèucade |
CONCORSI LETTERARI
-
Quattro, certamente merita non più di un misero quattro! – pensò Omero – sempre
le solite insulse stupidaggini su amori non corrisposti, su descrizioni
autobiografiche e storie di famiglie distrutte. Fantasia, immaginazione,
originalità, zero! –
Prese
quindi la penna d’oca, appoggiata accanto a lui, e scrisse sul foglio di
papiro: 37) AMORE E PSICHE 4. Infatti era quello, AMORE E PSICHE, il trentasettesimo racconto che
aveva letto ed analizzato in qualità di giurato del premio letterario “
SENOFONTE” bandito dalla polis di Atene. Si trattava di un concorso prestigioso, uno dei più rilevanti
dell’intera Grecia e che egli, Omero con l’accento sulla prima O, aveva vinto
due anni prima, accettando poi di entrare a far parte della commissione
giudicatrice per le edizioni a venire.
Omero
era diventato uno scrittore per caso: sua moglie Ulna, ed alcune sue amiche,
sentendolo improvvisare storie per lo stuolo di bimbi, amici dei suoi figli,
che quotidianamente transitavano per la sua dimora, gli chiesero un giorno di
mettere per iscritto le narrazioni. Lui le prese in parola, scrivendo numerosi
racconti per i suoi due maschietti Femore e Perone e per la piccola figlia
Tibia , nel mese di dicembre del 755 avanti Cristo, raccogliendo poi tutto quel materiale in un
volume intitolato ILIADE, dato alle stampe per la casa editrice IL PELOPONNESO di Sparta il luglio
dell’anno successivo. Mentre io vi ho
fornito tutte queste notizie, il caro Omero aveva terminato intanto la lettura
della composizione numero 38, dal titolo SENZA FINE.
La
rilesse con scrupolo ad alta voce:
“Sempre
caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e rimirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e rimirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il
naufragar m'è dolce in questo mare”.
- Che
banalità di poesia! Come si fa a scrivere robaccia di questo tipo?–
Recuperò
il papiro nelle sue vicinanze e scrisse:
38) SENZA FINE 5, commentando nel frattempo - Fare il giudice in questo concorso è
proprio uno strazio senza fine! –
I tre
giurati del concorso SENOFONTE avevano il compito, durante una prima
valutazione, di assegnare un punteggio, che poteva variare dall’uno al dieci,
ad ogni elaborato pervenuto in tempo utile, e cioè entro il 31 agosto ( faceva
fede il timbro postale ), alla segreteria del premio, in Piazza Pireo 25,
Atene. Ed egli, il caro Omero intendo,
era ormai circa a metà dell’opera, avendo letto una quarantina tra poesie e
lavori di narrativa. Aveva valutato tre o quattro elaborati con il voto 8, un’altra mezza
dozzina con 7 o 6, mentre molte altre
novelle, fiabe o poesie avevano riportato una valutazione insufficiente, come
appunto il 5 assegnato a quel SENZA FINE, opera indubbiamente di scarso
valore. Passò quindi a pescare, da
una cospicua pila di fogli, il numero 39. Ma, mentre Omero legge il 39, voi non
dovete pensare che in quei lontani giorni della nostra narrazione egli leggesse
soltanto. Si ritagliava anche il tempo di scrivere. E, siccome non era tra i
più scarsi in questa professione, la cosa non gli riusciva poi così male. Non
solo se la cavava bene, ma era, a metà di quell’anno, tra i più premiati nei
concorsi dell’intera Grecia: sapete quale era la sua media? Un riconoscimento
ogni…. sei giorni!! Praticamente, se lo avesse voluto, ogni fine settimana si
sarebbe potuto recare in qualche località a ritirare un premio!
Queste
onorificenze andavano da semplici
segnalazioni di merito via via all’insù, passando per premi della critica,
menzioni d’onore e podi, ma…mancava la vittoria! A fine luglio non aveva ancora vinto alcun
concorso. Inaudito! Incredibile per un autore della sua notorietà e bravura.
Egli,
che aveva pubblicato due libri di successo, l’ILIADE e l’ODISSEA, che aveva vinto in carriera 23 concorsi ed
incamerato più di 140 riconoscimenti, i cui scritti erano presenti su 52
antologie curate da case editrici o relative a premi letterari, non aveva
ancora, in quel triste anno 748, centrato la prima piazza in nessuna
manifestazione, neppure in piccoli ed insignificanti premi quali PROFUMO DI
MARZO, a Rodi, L’ARCO IN UN BALENO di Mikonos o CITTA’ DI ARGOSTOLI, PERLA
DELLO IONIO, ovviamente ad Argostoli. Mentre vi ho detto ciò, il nostro
scrittore ha terminato di esaminare il trentanovesimo elaborato, INCENDIO A
TROIA, una corta poesia che finalmente incontra il suo entusiasmo, e che
io riporto diligentemente per farla
apprezzare anche a voi:
Eschilo, Eschilo!
Altrimenti Sofocle.
Ma attento alle scale Euripide
Se no Tucidite
Quei
pochi versi, divertenti e ricchi di giochi di parole sugli autori allora più in
voga, lo avevano convinto in pieno; assegnò soddisfatto un bel 9 al
componimento.
Quello
stesso giorno, verso le 11 del mattino, gli giunse da Maratona, recapitata da
un postino trafelato per la fatica della lunga corsa, la comunicazione della
classifica finale del Premio DARIO E SERSE,
MARATONA IN VERSI . Con l’animo
agitato dalle aspettative aprì la missiva e lesse quanto scritto dagli
organizzatori:
“
Gentile Autore, siamo lieti di comunicarle che il suo voluminoso racconto
“Eneide” ha ottenuto una menzione di merito
nella graduatoria finale del nostro concorso. La premiazione avverrà il
giorno 6 settembre presso la biblioteca di Maratona, in via Echidna, n. 8
Qui di
seguito viene riportata la classifica finale:
1° Vita
passata di Dione Crisostomo
2° Guerra
e pace di Pausania il Periegeta
3° I
pilastri della Terra di Eliano Tattico
Menzioni
di merito:
Eneide di Omero e
Le allegre comari di Tebe di
Androne di Alicarnasso.
Complimentandoci
ancora con Lei, Le formuliamo distinti saluti”
Il
sangue gli andò alla testa.
-Una
menzione di onore! Quelle capre dei giudici di Maratona hanno premiato quel
capolavoro, Eneide, solo con una menzione! Ignoranti, capre, cammelli!! Come
hanno potuto, quegli sciagurati incompetenti, stabilire che quei versi così
meravigliosi meritino solo una menzione di merito? Dione Crisostomo? E chi è?-
Omero era sconcertato. Pensava che il suo racconto, che trattava degli
avvenimenti susseguitesi alla caduta della città di Ilio, avesse tutte le carte
in regola per puntare alla vittoria sbaragliando gli antagonisti. Si ritrovava
addirittura fuori dal podio, ancora una volta!
Aprì,
stracciandola, la busta che, giunta insieme al plico principale, riportava
l’Antologia del Premio, con le copie dei lavori premiati ed andò a consultare,
al colmo dell’ira e della curiosità, l’elaborato vincente. I suoi occhi videro
questo:
VITA
PASSATA, poesia di Dione Crisostomo.
Ei fu,
siccome immobile
salì
sull’automobile
scese
dall’altra parte
era
Napoleone Bonaparte.
Dall’Alpi
alle Piramidi
dal
Manzanarre al Reno
andava
in bicicletta
perché
non c’era il treno.
-Chi è
questo Napoleone Bonaparte? Un Carneade come Dione Crisostomo? E cosa sono
l’automobile, la bicicletta, il treno? E’ una poesia molto criptica, ermetica,
postmoderna. Non è di mio completo gradimento. Nessuno può negare che sia di
notevole spessore, ma certo l’Eneide è molto meglio!- E Omero, mentalmente, recitò i primi
versi del suo componimento…
“Canto le armi e l'eroe, il quale per
primo dalle coste di Troia giunse in Italia, profugo per volere del fato, e alle spiagge….”
-Meno
male- si sorprese a pensare –che in serata dovrebbero essere rese note anche le
risultanze del concorso LA VALLE DEI TEMPLI di Agrigento, dove ho spedito la
mia Odissea, che ha già vinto quattro concorsi e non è certo inedita, ma
d’altronde sul bando non c’era scritto che i lavori dovessero per forza
esserlo. Sicuramente è il mio cavallo di battaglia ( ed il pensiero gli
andò al suo cavallo di Troia ).
La vittoria è pressoché sicura e mi renderà meno amara la giornata-
E,
chinato il capo, si concentrò di nuovo sul
lavoro di giurato, iniziando a leggere le prime righe de LA ZANZARA, che
era in gara col numero 40.
“ C’è
un uccellino appollaiato sul ramo di un albero, vicino ad un fiume. Passa un
cane. Il piccolo uccello gli domanda:
< Chi sei? > < Sono un
canelupo > < Non è possibile; o
sei un cane o sei un lupo > <
Sì, invece. Mia madre era un cane e mio padre un lupo, perciò sono un canelupo
>
Ed il
cane si allontana.
Dopo
un po’ passa, nel fiume, un pesce.
<
Chi sei? > gli chiede, curioso, l’uccellino.
<
Sono un pescecane > < Non può
essere. O sei un pesce o sei un cane >
< Mia madre era un pesce, mio padre un cane, e quindi io sono un
pescecane >
L’uccello
resta interdetto. Dopo un altro poco
passa, volando, una zanzara.
<
Chi sei? > chiede, naturalmente, il piccolo uccello.
<
Sono una zanzara tigre > < Ma
vai a quel paese! > risponde,
esasperato, il nostro uccello.
Cari
lettori, la morale della favola è che, non avendo l’uccello aspettato la
risposta, noi non sapremo mai se la madre era una zanzara od una tigre.”
Uhmm..
è nel tipico stile di Esopo, mi sa che è
sua. Comunque è bellissima,
entusiasmante, addirittura da 10.
Scrisse
dunque senza esitazione sul papiro:
40) LA ZANZARA 10 , pensando
- Finalmente un lavoro perfetto: che soddisfazione! Credo proprio che il concorso lo vincerà
Esopo, quest’anno. -
Il
nostro scrittore continuò poi, dopo un
lauto pranzo a base di capretto arrosto, lo scrupoloso lavoro di esaminatore e
giudice , leggendo con impegno, cura ed attenzione i vari lavori pervenuti.
Ma
ahinoi, ma più che altro ahilui, quel pomeriggio, sul far della sera, lo
attendeva un’altra poco lieta novità: fu informato infatti, da una lettera
proveniente da Agrigento, delle risultanze del concorso LA VALLE DEI TEMPLI, e,
con sua enorme costernazione, venne a sapere che “Odissea”, la sua opera, si
era classificata terza. Guardava
incredulo il verdetto, dove, tra nomi di giurati, di sponsor e complimenti
vari, era riportato:
“Primo
premio: INFERNO di Anniceride di Cirene.
Secondo
premio: ROTAZIONE TERRESTRE,
TRAMONTO E PENDOLO DI FOUCAULT di
Filistione di Locri.
Terzo
premio: ODISSEA di Omero di Atene.
Non
poteva crederci, proprio non poteva!!
Febbrilmente
aprì l'Antologia ( c'era questo di bello in quegli antichi tempi: che gli
organizzatori allegavano sempre al verdetto l'Antologia del concorso ).
Volete
leggere anche voi INFERNO? Eccovelo:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la
diritta via era smarrita.
Ahi
quanto a dir qual era è cosa dura
esta
selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
-Una selva oscura? I
cervelli dei commissari giudicanti sono oscuri! Nel mezzo del cammin di nostra vita? Nel
mezzo della classifica del concorso si dovrebbe trovare quella baggianata!
Non certo al primo posto!! Che la diritta via era smarrita? Ciò che di certo si
è smarrita è la capacità dell’autore di collocare gli esatti sostantivi
dopo i verbi e di mettere le virgole al posto giusto!!-
Passò
al componimento secondo classificato:
« Ognuno sta solo sul cuor della
terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera. »
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera. »
-E io
sarei arrivato dopo una poesia così idiota? Pazzesco, semplicemente pazzesco.
E’ assurdo, non si è mai vista una cosa simile! Tre misere righe ridicole! La
mia ODISSEA, così bella: Narrami, o musa, dell'eroe multiforme, che tanto vagò,
dopo che distrusse la Rocca sacra di Troia....
Ed è
subito sera? E’ subito notte,
buio pesto sulla poetica di tutte le poleis greche! Che pagliacciata. E le
hanno dato pure un premio!!-
Era
esterrefatto, ed anche distrutto. Smise
di leggere i racconti del SENOFONTE e si sdraiò in giardino, sotto un grande
albero, con il morale sotto le sue radici. Deluso dal mondo, non rientrò
nell'abitazione neppur per mangiare. Saltata la cena, per fortuna ritrovò un grammo di serenità
prima di coricarsi, grazie naturalmente allo scrivere.
Buttò
giù poche righe, in preda all'eccitazione, in uno stato di grazia. Collocò
l'ultimo punto al posto giusto in fondo all'ultima frase e poi, chiamati a gran
voce e convocati a sé i familiari,
disse:
“Su!
Ulna, Tibia, Perone, Femore, venite! Ascoltate” Ed incominciò a leggere la sua ultima
fatica, informandoli che sperava, anzi era certo, che quella meraviglia sarebbe
entrata a far parte di una Antologia dal titolo OSSI DI SEPPIA, che un editore
di Micene aveva in programma da mesi:
“ Appena arrivato in un piccolo villaggio, un
principe da poco diventato Re decide di andare a fare visita a tutti gli
abitanti. In una abitazione modesta,
piena di bambini, è ricevuto dalla donna di casa. Le chiede quanti figli abbiano lei e suo
marito. “Dieci” risponde “Cinque coppie di gemelli”.
Il
Re domanda: “Ha sempre avuto
gemelli?” Al che la donna risponde “No,
maestà, qualche volta non abbiamo avuto nulla” Allora, che ve ne
pare? Non è forse sublime??”
Pietro Rainero
Arguto, ironico, ben scritto, evidenzia, anche, cultura e notevoli capacità creative,
RispondiEliminaProf. Angelo Bozzi