mercoledì 4 maggio 2016

A SONIA GIOVANNETTI IL PREMIO "CITTA' DI GROTTAMMARE" PER LA SAGGISTICA



Sonia Giovannetti, collaboratrice di Lèucade

"7° Concorso letterario “Città di Grottammare”

Comunicazione a vincitori e classificati


Preg.mo Poeta/Scrittore

Abbiamo il piacere di comunicarle che la Giuria, dopo esame delle opere pervenute, sulla base della votazione complessiva conseguita, ha deciso di conferirle il seguente Riconoscimento:

1° CLASSIFICATO
   SEZIONE: SAGGIO

Le rammentiamo che la cerimonia di premiazione si terrà Sabato 7 Maggio 2016, alle ore 15.30, presso la Sala Kursaal del Comune di Grottammare, sita in Via C. Colombo n. 1, Grottammare. "


Poesia e tempo tra due secoli
(Il tempo ritrovato della poesia)
di Sonia Giovannetti

A partire dalla fine del XX secolo, com’è noto, l’umanità vive gli effetti di una trasformazione epocale prodotta dalla combinazione di due fenomeni concomitanti: la globalizzazione dell’economia, esito di un processo di smisurata crescita della sua dimensione finanziaria a scapito di quella produttivo-manifatturiera, e la crescente pervasività dell’informatica, che dominano ormai ogni aspetto della vita individuale e sociale, accelerandone straordinariamente il ritmo e facendo della tecnologia il nuovo paradigma del tempo presente, il fulcro del pensare e dell’agire dell’uomo contemporaneo. Tanto che gli studiosi di cose umane non esitano a definire come vera e propria “rivoluzione antropologica” gli effetti di queste impetuose quanto radicali trasformazioni, annunciate sì nel secolo scorso, ma in pieno e progressivo dispiegamento nel secolo attuale.
Per un verso, infatti, la dominanza, nella produzione della ricchezza e nella conseguente distribuzione del potere, della dimensione simbolico-astratta - il denaro, i titoli finanziari - in luogo di quella, più concreta e visibile, degli “oggetti” - i beni d’uso, le merci - fa sì che le “immagini” delle cose abbiano ormai conquistato, nella vita di tutti e per ogni aspetto della vita, maggiore importanza delle cose medesime.
Per altro verso, le nuove tecnologie trasformano in virtuale ogni aspetto della vita reale e dei rapporti di cui essa è intessuta, primo tra tutti la socialità, connotato distintivo dell’uomo.
In qualche modo, inoltre, annullando lo spazio e comprimendo il tempo, esse sembrano complici della globalizzazione, completandone e rafforzandone l’opera.
Grazie al combinato disposto di entrambe, si potrebbe infine osservare che il mondo non solo è sempre più piccolo, ma si fa anche sempre più astratto (anche se ciò non manca, beninteso e quasi paradossalmente, di produrre effetti reali, e talvolta drammaticamente reali, come dimostra la crisi globale che attanaglia da quasi un decennio l’occidente).
Questi paiono alcuni dei tratti salienti, e invero rivoluzionari, del secolo presente, dominato come mai altri da profonda incertezza, tale da indurre negli uomini un sentimento di sgomenta perplessità. Il futuro è divenuto imprevedibile e opaco: le cose accadono per cause sempre più imperscrutabili (in un mondo così interconnesso,  sono troppe ormai, dunque inafferrabili, le combinazioni della catena causale che le generano). Il destino di ognuno sembra sottratto come non mai alla volontà e al controllo dell’individuo: dunque, semplicemente, accade. Il tempo non ha più una qualità lineare che consenta di distinguere il presente dal futuro. E il futuro, semplicemente, non è più immaginabile: arriva prima che ci si aspetti da non si sa dove, né tantomeno perché.
Nessuno, beninteso, in epoche precedenti conosceva il futuro; ma della sua inevitabilità, nonché della sua imminenza, si aveva certezza, così come si aveva speranza che il suo avvento fosse migliorativo, perfino salvifico, per le sorti individuali, purché meritevoli: il retaggio biblico ha sempre fornito all’uomo un modello entro cui dispiegare e organizzare nel tempo la propria esistenza terrena. Così come, oltre alla vita, dava un senso all’etica.
  
Ma nel XXI secolo la tecnologia, nella sua onnipotenza, sembra essersi sostituita al divino: è lei la nuova divinità dell’uomo. Nel suo contenerci, nel suo operare per noi e nel suo affidarci a lei, sembriamo non doverci più preoccupare di un dopo: viviamo così in un eterno presente, dove anche l’etica, fondata com’è sulla scelta, appare non avere più senso.
E tuttavia: forse che entità come la speranza, il dolore, la felicità sono scomparse dall’orizzonte del nostro sentire? Forse che non sentiamo più il bisogno di affidarci a qualcosa che sia di sostegno al nostro vivere? E cosa potrebbe mai incarnare tutto ciò, ora che Dio, il dio dei cristiani, il dio dell’occidente opulento e impaurito, il dio della salvezza, il garante del nostro futuro, dell’idea stessa di futuro, sembra obsoleto? Dove ritrovare un nume per l’uomo, nel mondo secolarizzato dalla tecnica di cui siamo divenuti servitori e che non ci distingue più tra credenti e non, ma ci fa tutti profani?
 “La bellezza salverà il mondo” ha affermato Tzvetan Todorov, echeggiando una delle frasi più celebri della storia della letteratura mondiale, fatta pronunciare da Dostoevskij al protagonista de L’Idiota. All’arte, e solo all’arte, sembra così affidato il gravoso quanto esaltante compito di restaurare quell’ “humanitas” dei valori in grado di sottrarre la coscienza dell’uomo al tragico destino della reificazione, al farsi essa stessa “cosa” tra le “cose” da cui è assediata e insidiata nella civiltà della tecnica. 
Occorre perciò guardare con speranza all’arte, convincere ed educare gli uomini al senso e al valore dell’estetica, affinché anche l’etica – pensabile in fondo come un’estetica del paesaggio interiore – possa riacquistare valore. E, con essa, restituire consapevolezza e significato alla vita, che si svela nel tempo e grazie al tempo come realizzazione, compimento di sé. L’estetica, dunque; l’arte come chiave d’accesso all’etica, sullo sfondo di un’idea di tempo che ammetta la possibilità della storia, di una storia come continua narrazione di sé da parte dell’uomo o, in altre parole, come processo ininterrotto di “produzione di significato” attraverso l’attività creativa.
Di tutte le espressioni letterarie e artistiche, la poesia è forse quella che, pur nutrendosi largamente dell’idea del tempo, riesca tuttavia più di altre a non subirne modelli ad essa esterni ma, viceversa, a crearne incessantemente di propri.
Reinventare il tempo, dunque. Un tempo, tuttavia, riabilitato nella molteplicità delle sue forme e non più compresso, annichilito, sacrificato alla nevrosi omologante dell’“hic et nunc”, del risultato immediato che, da criterio di misura dell’agire produttivistico, ha finito per imporsi tra i contemporanei come principio assoluto e universale, come “misura di tutte le cose”.
Un “tempo ritrovato”: un’oasi, per l’anima, di ristoro e rigenerazione dopo il miraggio accecante della simultaneità, del balenio che, riducendo nella lingua dei bit l’esistere a istante, cancella ogni memoria e mortifica ogni attesa, inibendo la percezione della vita come “scorrimento” e la libertà, per la vita interiore, di percorrerlo in ogni possibile direzione.  
La poesia, in particolare, come manifestazione autentica di vita dello spirito che si alimenta “del sentire” del poeta, risulta essere un luogo dove il tempo e lo spazio non
sottostanno alle regole del senso comune, della logica elementare, bensì a quelle assai meno cogenti – e anzi, per definizione, “caotiche” e insofferenti di ogni disciplina – dell’immaginazione, in ciò rivelando la sua stretta affinità con la sfera onirica. Sicché essa appare come lo strumento più idoneo, tra i campi abitati dalla parola, ad esprimere l’ineffabilità delle emozioni umane.
La poesia costituisce dunque una sfera di libertà, dove ogni cosa è possibile, ogni regola revocabile, ogni trasgressione ammissibile. Grazie soprattutto ad essa, abbiamo l’impressione di poter superare i nostri limiti e di poter attingere per intuizione, meglio che con qualunque altro mezzo, il mistero dell’essere, pur senza mai riuscire davvero – beninteso – ad infrangerne l’insondabilità.
Ecco perché l’uomo del XXI secolo, il secolo della velocità e dello smarrimento, della socialità virtuale e del solipsismo, può ritrovare proprio nella poesia, e nell’arte in generale, l’alleato più fidato per indagare sulla propria essenza e riflettere sul proprio destino, oggi oscurati da idoli assai potenti.
Sonia Giovannetti




2 commenti:

  1. Riflessione molto stimolante, questa della Giovannetti, premiata al Grottoammare. Essere uomini significa vivere nel tempo sullo sfondo dell'eternità. E' rapportandosi ai propri valori eterni ed immutabili che l'uomo crea il proprio tempo, la propria storia, dove il passato scorre verso il futuro per il tramite dell'attualità. Dico "attualità" volutamente, e non "presente", perché il presente non esiste, scivolando esso nel passato inesorabilmente, nel momento stesso in cui viene nominato. La più macroscopica assurdità dei nostri giorni consiste forse nell'avere assassinato il tempo (come pure lo spazio) in nome di una simultaneità astratta e virtuale che vanifica e rende insignificante la vita. L'uomo sta uscendo di scena inesorabilmente, e perché ciò non avvenga, dice la Giovannetti, è indispensabile riscoprire la "bellezza che può salvare il mondo", ovvero l'arte e la poesia, capaci di portare nel tempo quell'"humanitas", quei valori universali ed essenziali dell'uomo stesso "in grado di sottrarre la coscienza al tragico destino della reificazione". "Reinventare il tempo", pertanto, nello smarrimento in cui viviamo (dove nessuno pensa più al tempo, per cui si rischia che il tempo non verrà)è la vera sfida da affrontare con l'ausilio dell'arte e della poesia che, saldamente radicate nel tempo, parlano dell'eternità.
    Franco Campegiani

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  2. Chi potrebbe dire, incontrandola, che Sonia Giovannetti è una persona che pensa grande? Sembra la donna più semplice di questo Mondo ma, che i suoi scritti siano in versi oppure in prosa, è incredibile come essi riescano a smuovere le più recondite profondità del senso della vita umana. E così, da lei, s'imparano sempre un sacco di cose. Soprattutto s'impara a pensare.
    Andrea Citone

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