CLAUDIO
NOME PROPRIO DI PERSONA...........
Quell'
odore acido possedeva artigli di tigre che raschiavano le pareti della
gola.
La
notte si prospettava avara di astri.
Accovacciata
in un angolo umido, mi abbracciavo le ginocchia con le mani. Il sospiro gelido
del freddo entrava in ogni cellula del mio corpo. Una paura sconosciuta mi
aveva attanagliata, infiltrandosi in ogni fibra e facendola vibrare come una
corda di violino pizzicata dalle dita di un violinista pazzo.
Una
sinfonia di note basse e stonate, violente e assordanti mi pervase.
Sfinita,
mi aggrappavo alle briglie di un cavallo bianco e galoppavo insieme al mio
cuore in una corsa frenetica, verso nuovi orizzonti.
Avrei
trovato la mia terra promessa?
Il
cavallo si trasformava in un ippogrifo che si librava in alto, trasportandomi
in universi sconosciuti, con la speranza di trovare qualcosa, che qui non
c'era.
In
fondo cosa cercavo: Un pizzico d'amore? Una manciata di comprensione?
Improvvisamente
l'ippogrifo mi disarcionò e caddi vertiginosamente nel vuoto, mi ritrovai
acciambellata sul pavimento freddo ed umido, con la gola dolente e gli occhi
che lacrimavano colpiti da quell'odore troppo acuto.
Nella
mente, le parole della frase del Vangelo, pronunciata dalla voce chioccia di
Don Carmelo, si divertivano a saltare come pulci, da un emisfero all'altro del
mio encefalo, sconvolgendone completamente il significato, ed assumendone
altri, misteriosi e terrificanti.
(Le
profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà la scienza svanirà, ma
l’amore non avrà mai fine. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la
nostra profezia, ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto
sparirà.)
La
minuscola intelaiatura di una finestrella quadrata incorniciava un fazzoletto di
notte senza lume. Tutti i rumori si erano spenti, anche il rumore del mio cuore
si stava affievolendo, scemando gradualmente, per passare dal galoppo al
trotto, fino a stabilizzarsi finalmente sul passo.
Il
buio non mi faceva paura, nemmeno la solitudine.
La
paura nella sua tonalità più accesa, l'avevo percepita quando all'uscita della
messa ero stata importunata da un ragazzo, che mi aveva apostrofata
volgarmente, a lui se ne erano aggiunti altri, in breve tempo si era formato un
gruppo coeso e minaccioso che perseguiva il comune scopo di usarmi violenza. “
Quello che è imperfetto sparirà!” gridava il mostro dalle mille teste,
rincorrendomi.
Era
stato orribile, via via che il gruppo si avvicinava la paura si trasformava in
terrore.
Gridavo,
ma nessuno sentiva.
Intanto
percepivo la maschera dell'urlo di Munch, incollarsi al mio volto,
modificandone i lineamenti.
Nella
corsa, avvertivo il tessuto muscolare delle gambe mutare consistenza, sentivo
la fibra sciogliersi, ed avevo la brutta percezione che di lì a poco, le gambe,
avrebbero sicuramente ceduto.
Il
gruppo inferocito si fermò un attimo a raccogliere pietre sul
selciato.
Io,
ancora, non ho capito per quale miracolo, sia riuscita a scantonare, ed a
tuffarmi nella prima porticina che provvidenzialmente mi si presentò.
Era
una piccola porta sverniciata, dotata di un chiavistello interno, che tirai
prontamente nel suo alloggio.
Se non
avessi trovato quel nascondiglio mi avrebbero sicuramente presa.
Dentro
di me avvertivo tutto il terrore dei condannati a morte, le grida di Giovanna
D'Arco mi si appiccicarono ad ogni lembo di pelle che non smetteva di tremare.
L'angoscia
devastante delle donne del Pakistan lapidate mi scivolò dentro le vene.
Avvertii
un freddo intenso, come se al posto del sangue scorresse neve liquida.
Era
evidente che quel gruppo di ragazzi, volesse finirmi, magari prendendomi a
sassate.
Mi
passò nella mente l'immagine di Safia una donna Pakistana lapidata, perché
trovata in possesso di un cellulare.
Il suo
volto era divenuto una maschera di sangue, i suoi aguzzini dissero che era
stata giustiziata.
Ed io
perché avrei dovuto essere giustiziata?
Qual
era il reato da me commesso?
Il
mostro mi aveva cercata dappertutto, avvertivo il rumore dei passi dei suoi
innumerevoli piedi, scalpitare sulla strada vicino al mio rifugio di fortuna,
smanioso di compiere il suo assurdo progetto.
Mi era
difficile comprendere il motivo di così tanta ferocia nei miei confronti.
L’avevo
sentivo vagare in quel raggio d'azione per diverse tempo, e solo sulla sera, si
era deciso a rinunciare, alla mia caccia.
Adesso
a notte fonda, quando la maggior parte della gente era abbracciata a Morfeo,
era calato il silenzio.
Io,
non osavo muovermi dall'angolino in cui mi ero appollaiata.
Nessuno,
da tempo usava, quella specie di bagno, anzi “logo” come era da molti
denominato,, sporco ed antigienico.
E
nemmeno avrebbe pensato, che io così schizzinosa, avrei osato nascondermi
proprio lì.
Mi toccai la fronte, era fredda e bagnata.
Il
fazzoletto della notte si faceva sempre più scuro.
Udii
uno scricchiolio, poi silenzio, un altro ancora ed ancora silenzio, poi delle
voci sommesse si fecero avanti,
non riuscivo però a distinguere le
parole.
Mano a
mano che le voci si avvicinavano, il cuore ricominciava a tuonare, ed io mi
ritrovavo ancora sopra la groppa del cavallo imbizzarrito.
Finché
sentii una voce invocare un nome: Claudio, Claudiooo!
Non
avrei voluto rispondere, perché ancora una volta, lei, aveva violato il nostro
patto.
La
voce si intensificava:-Claudioo, dove
sei!-
Non è
il mio nome gridavo dentro. Non quello!
Erano
ben quindici anni, che ero costretta all'interno di quel nome.
La
voce ripeteva: Claudioooo!
Il
cuore adesso aveva ricominciato a trottare, questa volta per la
rabbia.
Una
pausa di silenzio.
Pregavo,
perché capisse che quel nome, non mi apparteneva.
Pregavo
perché mi appellasse, finalmente, con un nome di genere contrario a quello.
“Con
il mio nome!”
Poi la voce riprese, questa volta, la avvertii: abbigliata di dolcezza, amore,
comprensione.
“Claudia per l'amor di Dio,
rispondi.”
Ancora il cavallo galoppava, forte troppo
forte, per giungere ad una meta quasi raggiunta.
Ecco, ci era riuscita!
Lei mi aveva trovato, finalmente mi aveva
riconosciuta!
La voce mi uscì dal petto rauca, poi sempre
più chiara:
“Mamma sono qua! Sono io, la tua Claudia.”
Serenella
Menichetti
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