Benedetto
Maggio: La lunga attesa. Casa Editrice
Kimerik. Patti (ME). Pag. 188. € 13,50
Dove
sei tu, bambino di quei giorni,
dove
sono gli amici, dov’è il cane
che
aspettava impaziente i tuoi ritorni?
E’
come un ciclo di avventure vane
questo
inseguire, come fan gli storni,
qualcosa
d’invisibile. La vita
li
sospinge più in là, oltre i contorni
dei
tuoi sogni più audaci, tra le dita
di
una mano che regola e governa
senza
incertezze. È cosa troppo ardita
cercarne
un solo senso. Calaverna
ha
come steso un manto sui pensieri,
ché
non veda, non senta, non discerna
nient’altro
che sopiti desideri.
(…)
Un
distico iniziale e quarantasette terzine di versi in rima incatenata che
mettono subito in guardia sull’abilità del poeta nel versificare. Una struttura
di endecasillabi che con la sua sonorità crea uno spartito di eufonica
partecipazione; uno stile che fa da supporto a contenuti di generosa valenza
emotiva.
Essere
ed esistere; niente e tutto; umano e disumano: quel pascaliano “…
milieu entre rien et tout” simboleggiato in un fiore reciso dalla falce del
tempo. E qui il tempo fa la sua parte nutrendo di sé la filosofia del Nostro; e
lo fa in un significante metrico che dà corpo all’ontologica espansione
dei sentimenti. Ho scelto questa poesia perché con tutta la sua eufonica misura avvolge con eleganza e sapienza gli
input intimi di Maggio. Emistichi che
interrompono l’andatura cantilenante del re dei versi, e danno respiro alla
lettura. E cosa fa il poeta? Cosa ci dice in questa lunga composizione? Racchiude
tutto il travaglio della sua vicenda esistenziale; di un viaggio il cui arrivo
è di difficile conquista. Dubbi, incertezze; perplessità sui perché del nostro essere,
dacché l’uomo in quanto tale parte svantaggiato nei confronti del tutto:
Qui
oggi
qualunque
timida speranza
conta
di più
di
ogni
nostra
consapevole
certezza. (Questo mucchietto).
E’
a quel porto che il Nostro ambisce arrivare ma al contempo è cosciente della
sua precarietà:
Questo
mucchietto
di
carne vivente
non
è nostro.
Si
esaurisce
qui
il
nostro fine. (Ibidem).
Può
essere la memoria a soccorrerlo, a riportarlo a primavere che con la loro
lucentezza vincono le sottrazioni della vita:
Ricordi
le storie
che
i vecchi raccontano ai bimbi
sulla
soglia di casa?
E
quell’aria afosa di giugno
e
l’incerto ma caro e soave
profumo
del vento marino
oltre
i campi di stoppie? (Ricordi le storie?).
Ricordi
passati che, rimasti a decantare nei meandri dell’anima, si traducono in poesia.
Sì, un odeporico percorso attraverso mari ora
in burrasca, simbolo delle difficoltà di una traversata; ora calmi, invito a
riflettere, a sognare, a riposare, a immergersi in mondi che non conoscono le
aporie dell’esistere: memoriale, incantamenti, saudade, coscienza dei
limiti del nostro esserci, fughe e
ritorni, illusioni e delusioni, eros e
thanatos, affetti, solitudini. Insomma tutti quegli ingredienti che
arricchiscono la navigazione dello spirito umano. D’altronde cosa di più vero della nostra
inquietudine? del nostro tormento nel
misurarci col tempo e con l’oltre?
Solo
fumo sarà, solo nebbia sarà di noi
ciò
che ora non siamo
ciò
che ignari già siamo
più
niente, più nulla
di
noi solcherà la storia; di noi
resterà
solo un sorriso. (Di noi resterà solo un sorriso).
Sta
qui lo sperdimento della nostra sostanza
umana. Sta qui la dicotomica dualità che ci
rende vulnerabili: piedi a terra ed
occhi al cielo. Sonno e morte: “… Il mistero del sonno e della morte è l’unico tema
della grande arte..” affermava De Chirico. E Höldernin
nove anni prima di essere ricoverato in una clinica per alienati mentali,
chiede nella lirica Iperione o
l’Eremita della Grecia, al “canto” che sia per lui “rifugio amichevole”,
affinché la sua “anima, raminga e senza radici/ non smanî di oltrepassare la
vita” e divenga “luogo di felicità (…) giardino curato con premuroso amore,/
ove aggirandomi tra fiori in perenne fioritura,/ in sicura semplicità io abbia
dimora,/ mentre di fuori con tutto il suo ondeggiare/ il tempo possente, il
tempo mutevole rumoreggia lontano”. Questi i motivi ispiratori che, intrecciati tra
loro, creano un mélange di polisemica valenza
metrica; e lo fanno con ritmi ora ampi, ora brevi, secchi, apodittici; con
ritmi che cercano di concretizzare, con efficacia, il tourbillon intimo del
poeta.
Un volo
verso l’alto, verso il cielo; un tentativo di vincere la gravità della terra
che ci tiene avvinti con la sua calamita:
Ma nei
giorni ritrovo lontano
il mio
orizzonte
e
dentro me
un uomo
sogna invano
il volo
eterno
di una
capinera. (Non scade in questa notte (1974)).
La lunga attesa, il
titolo, e cinque le sezioni in cui si divide l’opera, che deve la sua compattezza
ad un filo rosso che la percorre: un sentimento di melanconia che fa da
terriccio fertile alla fioritura del canto; all’esplodere della vita; una realtà vissuta e ri-vissuta
in un mondo che appartiene solo al poeta; la coscienza di una avventura che gli
è capitata casualmente, e alla quale, in fin dei conti, deve il fatto di
esistere in tutta la sua complessità. E anche se a volte una vena di
solitudine, di tristezza e di precarietà percorre i versi della plaquette, alla
fin fine, è l’amore a vincere su tutto: una fiamma che rende vivo l’altare del
poièin, dove sembra che tutto si plachi in un approdo panico, in un rifugio di
corpi profumati di storie e di colori; fra gerani e capelvenere indifferenti al
sopraggiungere del buio:
Dimmi
di sì. dimmi di sì
stasera!
ché
la notte non vaghi più
curiosa
tra
le alcove segrete
d’altri
amanti.
Che
si fermi immortale
su
di noi
dacché
imbrunì la felce
al
davanzale
e
il geranio si fuse al capelvenere
nel
buio. (Dimmi di sì).
Nazario
Pardini
Lieto di essere stato io a "presentare" l'opera dell'amico Benedetto Maggio al prof. Pardini nella quale avevo colto molti interessanti elementi.Un'altro autore si unisce ai tanti, degnissimi, che procedono Alla volta di Leucade.
RispondiEliminaUbaldo de Robertis