lunedì 9 maggio 2016

UMBERTO CERIO: NOTA PER "OLTREFRONTIERA" DI PASQUALE BALESTRIERE

Umberto Cerio, collaboratore di Lèucade


Pasquale Balestriere, collaboratore di Lèucade


NOTA  PER   “OLTREFRONTIERA”
      di Pasquale Balestriere





Pasquale Balestriere: Oltrefrontiera (per crinali di luce e cune d’ombra). Edizioni Confronto. Fondi. 2015. Pg. 47

Nella sua splendida poesia, come nella sua vita di poeta-contadino, -una scelta di vita credo tardiva ma estremamente fruttuosa, pianta nei solchi solidi dei versi, una parola, poi un’altra e un’altra ancora …. e nasce una pianta, un albero con rami possenti, come pianta semi (egli predilige quelli della vite, mi pare) nei solchi della terra (del padre) con fatica, ma anche con passione ed amore. Fa come faceva il padre che “in accennati solchi/depositava semi” da cui spesso nascevano scarsi frutti, ma frutti veri, fragranti e saporosi Non è la prima volta che parla del padre nella terra avara e scomoda dell’isola di Barano d’Ischia, lo ha fatto ampiamente e spesso in passato in altre sillogi, ponendo in primo piano la figura del padre, che ha amato e che ama ancora (ne ho già parlato su questo blog). E’ un dovere dovuto agli avi e alla terra, una virgiliana “iustissima tellus”, che richiede dura fatica ma che poi dona i suoi frutti, soprattutto dorati grappoli d’uva da cui nasce il suo nobile “pitecusano”. (Perdonami, Pasquale, se rivelo qualche tuo piccolo segreto!).
In questa ultima silloge, che ha vinto il prestigioso premio di poesia  “Libero De Libero”, P. Balestriere riesce a fare un affresco degli affetti familiari, delle sue memorie sempre vivide, significative, che spesso diventano simboli, del senso della vita, della fatica di essere uomini, senza rassegnazione ma anche senza rabbia, sempre con serena visione delle cose e del mondo, con dolore che spesso affiora, ma sempre dominato dalla saggezza dell’uomo, del tempo che passa inesorabile sulle trame dei giorni che spesso ci trascinano lontano da nostri desideri più vivi, come andare “nei campi”, perché “Mi aspetta invece/Orazio Venosino mio fratello/quello del carpe diem, vina liques”. E’ una dichiarazione d’amore per l’antica (e la nuova) classicità che possiamo ritrovare in “Sorte”, in “Tramonto a Paestum”,  in “Il canto degli dei”, in “Era l’età del sapias, vina…”, dove possiamo cogliere l’eterno susseguirsi degli eventi dell’umana ventura.
E’ una silloge , quest’ultima di Balestriere, che, tra crinali di luce e cune d’ombra si legge tutta d’un fiato, e la si legge ancora, e ancora, nella quale “I momenti”, “I luoghi”e “I tempi” segnano solchi profondi dove nascono alberi di poesia possente, classici nella fattura del verso ma moderna e viva nella sostanza, dove risuonano i rumori della metropoli, dove le memorie non sono rimpianti, ma vita attraversata spesso con gioia, quando era gioia, e non solo peso e fatica quando poi compare il dolore e il male di vivere.
Mi piace sottolineare ancora che questa ultima fatica di P. Balestriere riesce a cogliere la storia della vita con precisione, spesso con disincanto, verità talvolta amara, ma saggiamente e umanamente attraverso un dialogo con la natura e con se stesso, senza infingimenti, senza significati nascosti e segreti, ma con la semplicità delle parole che vogliono cogliere il significato ed i significanti della vita in tutte le sue pieghe e della “sorte” dell’uomo.
Complimenti, Pasquale, con tutta la sincerità d’animo. E scusami il ritardo (tu ne conosci la ragione) e scusami anche l’incompiutezza di questa nota, che non basta a dire tutta la bellezza di questo tuo lavoro.
  
Umberto Cerio


                                         




                                         

            


                                              

2 commenti:

  1. Quello di Balestriere è un esempio luminoso di come la poesia possa rinnovarsi ed essere contemporanea restando legata alla classicità. Ciò non vuol dire che il poeta non sia consapevole che il mondo classico sta andando in frantumi nella modernità. Non credo pertanto che il suo intento sia di "restaurare", di "conservare", quanto piuttosto di continuare a cogliere in ciò che si è infranto l'aspirazione all'unità. La sua poesia delle piccole cose è tesa a scoprire nel particolare il battito dell'universalità. Non è l'intimismo crepuscolare che vive il frammento come dispersione, come frattura dolorosa e irreparabile dall'unità. Né tanto meno c'è traccia, in questi versi, del minimalismo dei tempi attuali, che ha chiuso totalmente i ponti con l'universalità. Balestriere avverte nel quotidiano, nella semplicità degli affetti e dello scoglio in cui vive (la sua isola, la matria terra dei padri)il lampo lontano dell'eternità, di quegli archetipi da cui l'umanità s'è allontanata, ma che sono e restano il suo stampo perenne, la sua quintessenza, la sua verità. Ho già avuto modo di leggere "Oltrefrontiera" e conto di tornare a farlo con maggiori attenzioni, magari con la guida dell'acuta lettura che qui Umberto Cerio ne dà.
    Franco Campegiani

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  2. Voglio ringraziare il carissimo Umberto Cerio per questa nota emozionata ed emozionante, pervasa d'affetto, di competenza, di cultura, di conoscenza della realtà nella quale normalmente spendo i miei giorni. E un affettuoso grazie anche a Franco Campegiani che, come sempre, acutamente intuisce; e dichiara.
    Pasquale Balestriere

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