mercoledì 4 maggio 2016

CLAUDIO FIORENTINI: "TRAGICAMENTE ROSSO" DI MICHELA ZANARELLA

Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade



Tragicamente rosso, di Michela Zanarella


Il titolo è già una poesia; verrebbe da pensare che questo libro covi violenza e manchi di pudore, invece è proprio il contrario. Tragicamente rosso è una suite per parola e silenzio scritta da passione e pensiero. La suite è composta da cinque movimenti: rosso donna, rosso shoah, rosso mondo, rosso natura e rosso guerra. Ogni movimento è composto da un minimo di sei e un massimo di quindici poesie. Si chiude con un monologo che ben si presta ad adattamenti teatrali, e infatti è stato già più volte rappresentato riscuotendo numerosi successi.
Ma veniamo al libro: potrebbe essere definito una silloge, un libro di poesia, una raccolta, ma in realtà è ben altro, perché raccoglie in un corpo perimetrico cinque fascicoli molto ben delineati, come se le sillogi fossero cinque, oppure cinque fossero i temi trattati con intonazioni diverse, quindi, come dicevo, una suite che in cinque movimenti racchiude l’estro creativo di un musicista romantico.
Cosa dice l’autrice in questa suite? O meglio, cosa cerca? Già, perché dire e cercare sono due cose molto diverse. Dire significa imporre un proprio suono e ritmo, esprimere idee o proporre pensieri. Da -> a, mai al contrario, l’ascolto non è contemplato nel dire. Cercare significa scavare, esplorare, scoprire, scoperchiare, spostare i mobili, alzare i tappeti e… guardare, ascoltare, toccare, annusare con attenzione, quindi ricevere tutti gli stimoli sensoriali, attivare i neuroni dell’ascolto e rendersi disponibili a ricevere. Ricevere cosa? Per ora basti sapere che cercare è anche predisporsi a ricevere.
La parola è lo strumento, ma non solo, c’è il silenzio, la pausa, l’intenzione… il tutto condito da interiorità inespressa che attende di farsi spazio nella luce.
Bene, allora, la poesia? È questo: ricerca! Leggendo i versi di Michela Zanarella non si trova, ma si cerca. Le poesie non sono risposte ai nostri quesiti, ma scaturigine di altri quesiti. Per questo non occorre capire, ma solo lasciarsi andare già dall’inizio:

Appesa ad un silenzio
nel precipizio di un amore
tragicamente rosso
cedo e m’adeguo
alle forme del dolore.

L’autrice non descrive luoghi o contesti, semmai definisce una presenza che si identifica con la nostra. E quando dice

La pelle cosparsa di dolore
Non grida
E cede il respiro
Ad un silenzio
Che lacera e nasconde
Vuoto intorno

Non denuncia, ma comunica con le fibre più intime di ogni lettore rendendolo protagonista della lettura.
Molto più esplicita, invece, quando scrive

Aggrappata al sangue dell’odio
Anche la neve ha sguardi neri
Hanno inghiottito il grano e le epidermidi
Le oscurità di Auschwitz.

Il linguaggio che sembrerebbe tenue invece stringe come una tagliola. Già, non è un linguaggio facile, non è chiaro né immediato, ha qualcosa di subdolo, perché ti accerchia con le sue poco effusive moine, e se fai attenzione ti accorgi che il messaggio veste un velo di seta che lo rende all’apparenza dolce. Ma si sa, il velo è anche un simbolo profondo: ciò che si squarcia quando muore Cristo, è l’imene custode della verginità, è il pudore che si stende come l’ombra delle nuvole, è ciò che nel suo “velare” giustifica la menzogna, perché sotto il velo c’è la verità che non ha pudore, che è cinica, che è sempre preferibile alla falsità, ma che atterrisce!

Non ha motivo
di insistere il dolore
nei palmi tesi del mendicante
nelle infanzie infrante
di un bambino
nel respiro muto
di una terra
che inciampa tra le mine,
nel grembo in croce
di una donna
dove il falso amore
ricalca prepotente
lividi e promesse.
La vita
non ha bisogno di lacrime
o avidità del tempo.
Dove piange il mondo
è debole la radice di ogni uomo
che ha macerie
incise sulla pelle,
come silenzi
addestrati ad ignorare
il sangue e il sudore
delle epoche.

L’autrice non sentenzia né impone il suo pensiero, ma attraverso un verso libero, quasi scarno, assolutamente privo di pizzi e merletti, apre le porte della percezione e mette l’uomo di fronte all’abisso, là dove non sapevi che un giorno saresti arrivato e dove potresti cadere. Del resto questo deve proporre la poesia: l’abisso! Quindi

Toglietemi la vostra giacca
D’incenso,
il furore assurdo,
l’intreccio di logiche assenti.

E lasciatemi così, mentre

Intorno a me follie bellissime
Rovesciano la mente
E mi schiantano nel buio
Ad imparare l’assurdo.

Perché nell’assurdo c’è verità nuda, e imparando l’assurdo saluto questo libro che disegna un percorso poetico dipinto di tragico e meraviglioso rosso, e musicato da un iride di parole e silenzi.

Claudio Fiorentini



1 commento:

  1. Ringrazio Claudio Fiorentini per l'attenta analisi de libro e Nazario Pardini per la pubblicazione nel sito.

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