Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade |
Tragicamente rosso, di Michela Zanarella
Il titolo è già una poesia; verrebbe da
pensare che questo libro covi violenza e manchi di pudore, invece è proprio il
contrario. Tragicamente rosso è una suite per parola e silenzio scritta da
passione e pensiero. La suite è composta da cinque movimenti: rosso donna,
rosso shoah, rosso mondo, rosso natura e rosso guerra. Ogni movimento è
composto da un minimo di sei e un massimo di quindici poesie. Si chiude con un
monologo che ben si presta ad adattamenti teatrali, e infatti è stato già più
volte rappresentato riscuotendo numerosi successi.
Ma veniamo al libro: potrebbe essere
definito una silloge, un libro di poesia, una raccolta, ma in realtà è ben
altro, perché raccoglie in un corpo perimetrico cinque fascicoli molto ben
delineati, come se le sillogi fossero cinque, oppure cinque fossero i temi
trattati con intonazioni diverse, quindi, come dicevo, una suite che in cinque
movimenti racchiude l’estro creativo di un musicista romantico.
Cosa dice l’autrice in questa suite? O
meglio, cosa cerca? Già, perché dire e cercare sono due cose molto diverse.
Dire significa imporre un proprio suono e ritmo, esprimere idee o proporre
pensieri. Da -> a, mai al contrario, l’ascolto non è contemplato nel dire.
Cercare significa scavare, esplorare, scoprire, scoperchiare, spostare i
mobili, alzare i tappeti e… guardare, ascoltare, toccare, annusare con
attenzione, quindi ricevere tutti gli stimoli sensoriali, attivare i neuroni
dell’ascolto e rendersi disponibili a ricevere. Ricevere cosa? Per ora basti
sapere che cercare è anche predisporsi a ricevere.
La parola è lo strumento, ma non solo, c’è
il silenzio, la pausa, l’intenzione… il tutto condito da interiorità inespressa
che attende di farsi spazio nella luce.
Bene, allora, la poesia? È questo:
ricerca! Leggendo i versi di Michela Zanarella non si trova, ma si cerca. Le
poesie non sono risposte ai nostri quesiti, ma scaturigine di altri quesiti.
Per questo non occorre capire, ma solo lasciarsi andare già dall’inizio:
Appesa ad un
silenzio
nel precipizio
di un amore
tragicamente
rosso
cedo e m’adeguo
alle forme del
dolore.
L’autrice non descrive luoghi o contesti,
semmai definisce una presenza che si identifica con la nostra. E quando dice
La pelle cosparsa
di dolore
Non grida
E cede il
respiro
Ad un silenzio
Che lacera e
nasconde
Vuoto intorno
Non denuncia, ma comunica con le fibre più
intime di ogni lettore rendendolo protagonista della lettura.
Molto più esplicita, invece, quando scrive
Aggrappata al
sangue dell’odio
Anche la neve
ha sguardi neri
Hanno
inghiottito il grano e le epidermidi
Le oscurità di
Auschwitz.
Il linguaggio che sembrerebbe tenue invece
stringe come una tagliola. Già, non è un linguaggio facile, non è chiaro né
immediato, ha qualcosa di subdolo, perché ti accerchia con le sue poco effusive
moine, e se fai attenzione ti accorgi che il messaggio veste un velo di seta
che lo rende all’apparenza dolce. Ma si sa, il velo è anche un simbolo
profondo: ciò che si squarcia quando muore Cristo, è l’imene custode della
verginità, è il pudore che si stende come l’ombra delle nuvole, è ciò che nel
suo “velare” giustifica la menzogna, perché sotto il velo c’è la verità che non
ha pudore, che è cinica, che è sempre preferibile alla falsità, ma che
atterrisce!
Non ha motivo
di insistere il
dolore
nei palmi tesi
del mendicante
nelle infanzie
infrante
di un bambino
nel respiro
muto
di una terra
che inciampa
tra le mine,
nel grembo in
croce
di una donna
dove il falso
amore
ricalca
prepotente
lividi e
promesse.
La vita
non ha bisogno
di lacrime
o avidità del
tempo.
Dove piange il
mondo
è debole la
radice di ogni uomo
che ha macerie
incise sulla
pelle,
come silenzi
addestrati ad
ignorare
il sangue e il
sudore
delle epoche.
L’autrice non sentenzia né impone il suo
pensiero, ma attraverso un verso libero, quasi scarno, assolutamente privo di
pizzi e merletti, apre le porte della percezione e mette l’uomo di fronte
all’abisso, là dove non sapevi che un giorno saresti arrivato e dove potresti
cadere. Del resto questo deve proporre la poesia: l’abisso! Quindi
Toglietemi la
vostra giacca
D’incenso,
il furore
assurdo,
l’intreccio di
logiche assenti.
E lasciatemi così, mentre
Intorno a me
follie bellissime
Rovesciano la
mente
E mi schiantano
nel buio
Ad imparare
l’assurdo.
Perché nell’assurdo c’è verità nuda, e
imparando l’assurdo saluto questo libro che disegna un percorso poetico dipinto
di tragico e meraviglioso rosso, e musicato da un iride di parole e silenzi.
Claudio Fiorentini
Ringrazio Claudio Fiorentini per l'attenta analisi de libro e Nazario Pardini per la pubblicazione nel sito.
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