lunedì 2 maggio 2016

GIUSY FRISINA: "TRA MITHOS E LOGOS"

In risposta a http://nazariopardini.blogspot.it/2016/04/vito-lolli-linizio-che-fu-la-fine.html di Vito Lolli del mese di aprile.



                      TRA MITHOS E LOGOS

Sono appena tornata da un emozionante viaggio nel cuore dell’antica Grecia e credo non ci sia momento migliore per rispondere alle coinvolgenti richieste de “L’inizio e la fine” di Vito Lolli, provando a proporre a mia volta un confronto diretto con alcune delle potenti “immagini” che mi hanno colpito in questo breve ma intenso percorso. E mi piace ritrovare un “inizio” proprio a Micene dalle ciclopiche mura, nell’antichissima “Porta dei Leoni”, anche se forse sarebbe più corretto chiamarla “Porta delle Leonesse”, straordinaria per la sua elegante essenzialità. Antonio, un greco di personalità e cultura straordinarie, che ci ha fatto da guida e da angelo custode per tutto il viaggio, ci suggerisce questa più recente interpretazione. Se infatti è vero che le due immagini rampanti poste specularmente sui due massi che sorreggono la porta rappresentano l’emblema della potenza degli Atridi, è anche vero che la donna gode ancora di grandissima importanza  nella civiltà micenea e che la forza non significa necessariamente violenza.  
Così  poi non è più stato nel mondo greco, nonostante Platone abbia insistito nella Repubblica sulla quasi totale uguaglianza tra l’uomo e la donna, ed abbia riconosciuto un ruolo decisivo, nella discussione sulla tematica d’amore del Simposio , proprio ad una donna , per giunta straniera, la misteriosa sacerdotessa Diotima. Anche il cristianesimo ha ben presto dimenticato i messaggi di Gesù di Nazareth  sulla dignità della donna (e ripenso alla figura dell’ “adultera”, che andrebbe vista  prima di tutto come una persona, ma anche a tante altre figure femminili “trasgressive” che costellano il Vangelo) , a partire dalla misoginia di Paolo di Tarso. Ed eccoci dunque di fronte al più grande “luogo comune” – o per meglio dire “pregiudizio” -  che tanto fortemente prima, più sottilmente dopo, ha influenzato in modo determinante il destino di una buona parte  della società  occidentale, e non soltanto dell’Islam.
L’universo maschile pertanto ha infine scelto e fatto prevalere il pensiero logico-razionale su quello intuitivo- immaginifico, in altre parole il Logos sul Mito, e anche se può sembrare una semplificazione, questa è la vicenda essenziale, a mio avviso, che ha condotto gradualmente al cosiddetto “oblio dell’essere” di heideggeriana memoria, con tutti i rischi nichilistici che esso ha comportato e comporta ancora. Il due-che-si-fa-uno, per richiamare il tema di Franco Campegiani, ha sacrificato una parte di sé, quella più preziosa della “sensazione”, ovvero della visione “estetica” , della metafora ambigua, di ciò su cui si può solo  dire per accenni, privilegiando invece l’arroganza dell’Io, la logica deduttiva e l’arte della guerra, per capovolgersi all’improvviso nell’uno-che-si-fa-due. Ma non nel senso migliore dell’interazione e dello scambio paritario, bensi dell’inevitabile eterna contrapposizione che non riesce mai a raggiungere tuttavia l’agognata sintesi hegeliana. E perché mai poi? Per un “Assoluto come risultato” che porti allo Stato etico o, peggio, al dogma talebano? Ma vige tuttora la “divisione” , come quella che ci parla di uno ”scontro di civiltà”e ripropone l’era delle guerre di religione. Del resto la teologia monoteistica ha dato un’impronta emblematica a questa divisione, nel senso che il pensiero religioso sarà  prevalentemente condizionato dall’obbligo di una interpretazione  “totalitaria “ e totalizzante della divinità. Ma se l’ebraico “non avrai altro Dio fuori che me” proposto come un comando da Mosè significasse solo che comunque una scelta deve essere fatta  per tenere a bada il dubbio del politeismo e quindi del pluralismo politico?  Perché due cose fondamentali ho compreso in questo mio piccolo viaggio iniziatico: che  il pensiero greco    -ancora il nostro,  una filosofia che ha detto tutto - è in qualche modo sempre pensiero politico, e che comunque il dubbio debba essere costantemente pronto a mettere in discussione il dogma.


                                    
Arriviamo così a Delfi, luogo assolutamente  magico posto su una verdissima altura, tra il mare di un blu difficile da ritrovare, e il più che mitico Parnaso ancora innevato in aprile, oggi meta di sciatori per lo più inconsapevoli della eccezionalità del posto. Il Tempio di Apollo intanto, a cui è consacrato il luogo, è il tempio a cui si chiede un responso oracolare. La Pizia era una donna che oggi noi chiameremmo isterica, e su cui la nostra guida si rifiuta di soffermarsi, ricordando però come Plutarco fosse molto scettico sulle possibilità di rivelazione attraverso parole. Intanto una cosa molto più interessante: il dio non ha un nome, ma ha tutti i nomi che noi decidiamo di attribuirgli. Dunque Apollo sta per Divinità nel senso più ampio del termine, dato che qui ogni visitatore, ogni straniero  è “accolto” e ognuno può venire qui a pregare e a chiedere lume al suo dio. Oracolo è tuttavia “indicazione” e non risposta. Del resto la sfinge egizia è lì a ricordare che l’enigma è il volto del sapere che non sa, per cui Socrate verrà elogiato dall’Oracolo . Ed ecco che il paradosso si propone ancora come la terza chiave di volta del pensiero greco ma non è mai un gioco di parole  fine a se stesso, anzi è un modo per intuire l’indicibile che sfugge al principio di non contraddizione fondato da Parmenide, pur mantenendolo.
 Sul Tempio c’erano due scritte, ora cancellate per sempre dal tempo, ma che rimangono come sospese nell’aria e nell’anima di chi le ricorda. La prima, la più famosa era “conosci te stesso” che, come riferisce Diogene Laerzio, fu da Antistene attribuito in primo luogo a Talete, il quale pure sembrava solo occuparsi di cosmologia (ma il termine greco“cosmo” significa ordine, armonia, quindi bellezza, e ciascuno di noi è un microcosmo da conoscere). Ma ci sono anche altre varie attribuzioni – come quella immaginifica dei sette sapienti, tra cui comunque Talete, indicata  da Platone nel Protagora. Questo messaggio è davvero  fondamentale , dà il senso  della soggettività con cui l’interpretazione dell’oracolo deve essere compresa, anzi la chiave stessa della comprensione di tutto, che non è tuttavia da intendere come una forma di relativismo esasperato, ma come “punto di vista”, ciò di cui oggi ci parla in modo straordinario la fisica contemporanea, ancora purtroppo poco conosciuta. La questione della soggettività va trattata a mio avviso con grande delicatezza ed è facilmente deformabile  in un altro  “luogo comune”, quello del moderno individualismo , che ben poco ha a che fare con la visione collettivistica della polis greca. E tuttavia “individuo” è termine ambiguo, perché se da una parte non divide dall’altra separa ogni singolo dall’altro singolo, creando una società  composta  dagli  atomi separati della libertà negativa , che pure ha fondato il moderno liberalismo, ma che tuttavia non sempre coincide con la libertà tutta interiore del “conosci te stesso”. Ecco allora che l’Apollo di Delfi ci parla parlando al minimo, con una frase che risponde senza rispondere,  perché dare una risposta precisa e definitiva cancellerebbe il dubbio e la ricerca che sono la nostra  più vera libertà. Il che è come dire che se il dio – quale che sia – rivelasse la sua esistenza noi saremmo definitivamente schiavi, e quindi è bene che ciascuno si crei il suo Dio a propria immagine e somiglianza, purché impari davvero a conoscere se stesso in profondità e la scintilla”divina” che è in lui, o altrimenti avremo integralismi e dogmatismi e guerre di “inciviltà”anziché civili società aperte. L’altra scritta pare fosse poi nella sua sintesi esemplare , il messaggio della moderazione e dell’equilibrio, ovvero “Niente di troppo” che dice tutto senza dire nulla e su cui non c’è bisogno nemmeno di fare commenti, se  non che il principio dell’equilibrio è quello che sempre alla fine vince nel mondo greco, pur se passando attraverso l’errore degli eccessi. Ma se “errore” è errare”e il cammino ha una meta, sia pure mai raggiunta, la guida ci propone  quell’ordine e misura che è poi Bellezza, quella che va dal caos al cosmo.
Eppure a Delfi non c’è solo il bellissimo Apollo, giunto con il carro del Sole (che è lui stesso),  con le sue Muse meravigliose che generano arte, musica e poesia.  Non tutti sanno che anche Dioniso vi regna nei mesi invernali, quando appaiono più fumose le ombre, e le inquiete Tiadi danzanti si scatenano sul monte Parnaso, a loro assegnato. Ma nessun vero greco può mai pensare a una contrapposizione,a una “divisione”, semmai a due forze complementari della psiche, perché di anima si sta parlando. E laddove Apollo rappresenta l’ideale e il sogno, ma anche il divino Sole che scende sulla Terra a portare bellezza e creazione artistica, Dioniso ha l’ aspetto di un ermafrodito, si serve dell’ebbrezza e della danza delle fugaci e irrequiete fanciulle – ed è nomade egli stesso, condannato ma in qualche modo eletto ad esserlo – per istillare la vivacità del desiderio che è slancio e divina follia. Ed ecco che il due si fa uno nel senso più autentico e gioioso dell’eros platonico. Ma tutto questo non passa poi nel cristianesimo, per lo meno quello … del suo “inizio”? Non è il Cristo colui che si fa uomo e che tende ancora al divino unificando così Apollo e Dioniso? E che senza la bellezza e l’amore non avrebbe potuto risorgere e salvare l’Uomo?E che senza il suo lato femminile dionisiaco (l’adultera, l’andare oltre) non avrebbe saputo portare il Logos, ovvero la Parola che perdona e salva( non troppe parole, qualcuna, scritta sulla sabbia, che non si legge quasi nemmeno e poi voli via ma rimanga nel cuore). Platone e Cristo si incontreranno poi mirabilmente in Agostino neo-platonico , grazie al  quale si rafforza tuttavia anche la Chiesa che unisce e divide. Sarà poi una certa politica ad adattare il cristianesimo al potere deformandolo nel salvaguardarlo. Ma ci penserà poi Francesco d’ Assisi a riproporre il messaggio dell’inizio che non è fine. Infatti Cristo è anche potentissimo Mithos che sfugge a ogni dogma definitivo, e dunque per sempre Dioniso perseguitato e crocifisso, dentro e fuori, ebreo errante e nello stesso tempo figlio di Dio che siede alla destra del Padre. Ma l’emisfero destro del cervello non è stato individuato come la sede dell’intuizione?...
                                        


Un’ultima immagine che mi ha colpito è quella del piccolo Dioniso rappresentato teneramente in braccio ad Hermes di cui è appunto fratello, nella splendida statua di  Prassitele custodita a Olimpia. In  quest’opera Ermes  è l’umanissimo angelo custode del fratello,colui che non vola ma corre con le ali ai piedi, messaggero del divino attraverso la “sensazione” che appunto fa capo al pensiero ermetico, ritrovato nella rinascimentale Primavera di Botticelli mentre scosta le nubi col suo cadùceo serpentino, simbolo di pace donato da Apollo, per far passare la sua stessa Luce di verità e conoscenza. Ermes e Dioniso insieme potevano rappresentare anche la pace tra Elide (sacra a Hermes) e Arcadia (sacra a Dioniso), ma il giovane Hermes aveva in mano un grappolo d’uva verso cui il piccolo Dioniso si protendeva, per evocare la sua propensione al vino e all’ebbrezza. Eppure è un’immagine ancora di grande equilibrio ma anche segno di grande affettività. L’universo maschile qui ritrova dunque i suoi valori di pace e di tenerezza e mette insieme gli aspetti dell’intelligenza e della gioia di vivere come dimensioni peculiari della giovinezza. Ecco qui ritrovato l’inizio avanzato che non può diventare fine, sia pure passando apparentemente per la morte e la distruzione, attraverso Dioniso fatto a pezzi e mangiato dai suoi fedeli per poter incorporare la forza del dio. Così come accade poi nel cristianesimo dove l’ostia consacrata diventa il corpo di Cristo, nutrimento anticipato nel Vangelo da immagini ormai archetipiche come la pesca miracolosa o la moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Il pericolo è però quello di far diventare tutte queste immagini evocative (immagini poetiche dunque) un sistema razionale di stampo hegeliano. Oppure quello di vedere in ogni immagine un passaggio da superare in nome di un progresso di pensiero che possa staccarsi definitivamente da questi  attimi di illuminazione a cui poter attingere come al pozzo dell’acqua inesauribile. Ancora acqua, l’acqua di Talete, materia e immagine di tutte le cose diventate  trasparenti, e ancora oggi piene di dei.


Giusy Frisina
















19 commenti:

  1. Gentile poetessa Giusy Frisina, conosco ed apprezzo da tempo il suo percorso letterario, anche grazie “Alla volta di Leucade”; pertanto ho letto con vivo interesse questo suo scritto in cui traspare evidente il legame affettivo con la terra e la storia dell’antica Grecia. Nel suo racconto il lettore si è sentito guidato da un valente cicerone alla scoperta, o riscoperta, di un territorio in cui affondano radici della civiltà.
    Paolo Bassani

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  2. Si parte da un viaggio, ma subito si comprende che quello geografico risponde, per ampiezza, a un viaggio della mente per riscoprire il senso della parola anima, sempre che non sia azzardato usare ancora oggi un termine simile per dire di ciò che l’uomo ignora di sé. Per far questo, nel suo commento alla bella pagina di Lolli, Giusy Frisina abbandona ogni remora e con competenza, non solo linguistica, percorre anditi apparentemente così diversi tra loro come la religione e la ragione. Perché è nello spazio tra i due termini, come anche tra mito e le diverse Fedi religiose , che è possibile individuare gli incroci fecondi che hanno condotto alla odierna società, non escluse le contraddizioni che ci caratterizzano, a oriente come a occidente. Una civiltà da sempre suddivisa, così appare quella regione a causa dei conflitti del passato e ancor più feroci di oggi.
    Ma nelle parole di Giusy Frisina vi leggo un grande messaggio di saggezza e di speranza nel recupero di quell’appartenenza così gravemente messa a rischio.

    Giuseppina Di Leo

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    1. Grazie Giuseppina, per avel colto il profondo desiderio che c'è nelle mie parole,grazie per essere con me nella ricerca comune di armonia e bellezza...

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  3. Tra Mithos e Logos

    Sono le persone colte, che amano viaggiare non solo per diporto ma per ampliare le loro conoscenze, a prediligere, tra i luoghi da visitare, la Grecia. Uno dei motivi che giustifica tale scelta è il ricordo delle letture scolastiche, lo studio delle opere che narrano la storia di questo piccolo stato che conserva i resti di antiche civiltà tra le più importanti d’Europa, del mondo; di civiltà che resero vincitore un popolo vinto il quale seppe imporsi all’attenzione dei dominatori con la cultura, l’arte,l’amore per la Bellezza. Non si può non ricordare, a tale proposito, il “Graecia capta ferum victorem cepit” di Orazio e il “Vincebamur a victa Graecia” di Cicerone e tra gli scrittori Omero, il più grande, il vate cieco che errava tra le rovine greche per cantare le gesta di dèi ed eroi, colui che, nell’Iliade e nell’Odissea, ci ha trasmesso notizie su fatti, tradizioni, costumi, guerre e personaggi di tempi lontani che riviviamo come leggenda, come mito.
    L’autrice del saggio “Tra Mithos e Logos” narra del suo viaggio nella
    Grecia antica, in un monologo in cui pensiero e parola procedono in sintonia, “come
    un discorso interiore secondo ragione il pensiero, la parola come espressione del pensiero che in questo esprimersi si concreta”. Nel suo discorrere ella esprime entusiasmo, emozione, commozione, estasi, stupore, risentimento per la morte dei valori; ricorda, rivive, descrive immagini ed impressioni, confronta l’antico con l’attuale, lamenta il degenerarsi dei costumi, l’oltraggio alla natura. Nella sua vasta cultura, che nel saggio emerge come conoscenza particolarmente profonda in campo filosofico e teologico, Giusy Frisina fa commenti, paralleli, riferimenti frequenti a noti filosofi quali Socrate, Platone, Talete, Diogene, Hegel , Heidegger ed altri e a personaggi del Cristianesimo, tra gli altri Gesù di Nazareth, Paolo di Tarso, San’Agostino, San Francesco d’Assisi; confronta il pensiero di ognuno con il suo pensiero, si pone domande, dà risposte, trae conclusioni, procede con consapevole,
    oculata esegesi.
    Quale il motivo che l’ha indotta a stendere il saggio? E’ scritto nell’incipit: <>. Ritrova un “inizio” a Micene, la città dalle mura ciclopiche, nell’antichissima “Porta dei leoni” (meglio “delle leonesse”), e dei due massi che sorreggono la porta e che rappresentano l’emblema degli Atridi. E’ Antonio, ottima guida greca, a farle notare che la donna gode ancora di grande importanza nella civiltà micenea; così non è più stato nel mondo greco nonostante Platone avesse predicato l’uguaglianza totale tra uomo e donna, e neppure nel mondo cristiano a partire dalla misoginia di Paolo di Tarso. “Luogo comune” quest’ultimo o “pregiudizio” ?




    Seconda tappa: Delfi, luogo magico tra il mare “di un blu difficile da ritrovare” e il mitico Parnaso. Vi è il Tempio di Apollo al quale si chiede un “responso oracolare”.
    L’oracolo, però, è solo “indicazione”, non risposta. Sul Tempio vi sono due scritte:
    la prima è <>; il suo messaggio dà il senso della “soggettività” e
    ognuno può interpretarlo come vuole, deve guardarsi dentro. La seconda scritta è: <>, dice tutto senza dire nulla.
    A Delfi non c’è solo Apollo, c’è anche Dioniso. Tra i due non c’è “divisione”; Apollo rappresenta il sogno, l’ideale, Dioniso l’ebbrezza: il “duo si fa uno” come l’eros platonico. Cristo unifica i due. Platone e Cristo s’incontreranno in Sant’Agostino. Sarà Francesco d’Assisi a riproporre “ il messaggio dell’inizio che non ha fine”. Ed eccoci alla terza tappa: Olimpia. Ciò che colpisce la Frisina è l’immagine del piccolo Dioniso tra le braccia di Hermes, suo fratello. Hermes ha in mano un grappolo d’uva e Dioniso cerca di prenderlo: ciò evoca la sua propensione al vino e all’ allegria. A questo punto così conclude l’autrice: <>.
    C’è un inizio, ma non c’è una fine.

    Antonia Izzi Rufo

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    1. Proprio così...grazie della spendida interpretazione Antonia!

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  4. In partenza per Delfi

    La strada per Delfi e’ lontana
    ci sono sassi di pietra ad aspettare
    restano i tramonti lungo i viali
    steli freddi di Sidone
    la mia stanza non ha ombre
    restano i colori
    restano i corpi
    distesi e muti
    non ho niente
    solo aria di ampolle
    di pelle di capra
    la strada e’ una cometa
    non c’e’ terra
    l’aria e’ tesa
    piccole donne attendono l’alba
    i loro canti circolano per strada
    - centro di donerò il silenzio –
    e’ l’attesa la più gaia.
    (miriam luigia binda - improvviso profondo - helicon)

    La finestra aperta, nel tempio degli dei, fa vedere il mondo nuovo popolato dai noumeni folgoranti di bellezza. Ogni attribuzione all'oracolo di Delfi - conosci te stesso - amplia tale visuale. Non è apocrifa, a mio modo di vedere, anche la sfida della Sfinge che - appollaiata come l'aquila sul corpo del leone-o leonessa - sfida l'ignoto per protegge i trapassati nella resurrezione. Conoscere se stessi è dunque un viaggio - per la vita che nasce; iniziatico per ciò che diviene essente. L'essere venuto al mondo ha così la possibilità di cogliere gli effetti sottilissimi della creazione. Anche come anima del mondo, in un certo senso diviene essente; Infinito come gli dei concepiti in forma mitologica, dalle sembianze mutevoli e ben descritte nella narrazione ovidiana. Apollo nel tempio parla ai mortali; a Delfi assume la responsabilità di offrire la base orfica della conoscenza - a partire da se stessi. Conosci te stesso - si esprime così - il dio greco ma cosa significa? Approfondire i propri desideri, gusti passioni? Io concordo con l'interpretazione che affida alla mente la conoscenza; mente e corpo vuole anche dire andare oltre lo stato apparente poiché, la nostra conoscenza sensibile nella mente coglie l'invisibile.

    Luigia Miriam Binda
    Continua

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  5. Continua

    Dunque questo "oltre" è anche l'ignoto, in divenire è civiltà rivelata e trascendente. In questa prospettiva, il tempio futuro, è la città celeste che Sant'Agostino ha ben descritto ed interpretato nel Civita Dei, senza nullificare l'essenza dell'uomo sulla terra, Sant'Agostino al contrario invita gli uomini a tenere bene "in mente" quali sono le speranze future verso loro stessi e verso il prossimo e sono spesso riferite all'Eterno o Dio. Il motto orfico posto sul tempio di Delfi - conosci te stesso - può quindi rappresentare un tre d'union tra gnosi e tradizioni di culto che includono l'apologetica cristiana. E' davvero interessante il commento dell'autrice Giusy Frisina che nell'appassionarsi all'oracolo di Delfi, durante il suo viaggio in Grecia definito, non a caso "viaggio-iniziatico" pone, in prima linea, la questione dell'individualismo, della società attuale; "ben poco ha a che fare" specifica l'autrice," il moderno individualismo con la vita collettiva della polis greca"; così come quel - niente di troppo - che appare scritto sul tempio di Apollo. Niente o nulla di troppo forse mette in crisi il super-uomo dalla volontà prometeica che vorrebbe nullificare la natura in nome della sua tecnica? Certamente è ben augurante - la consapevolezza di un limite - quando assistiamo al contemporaneo mettere mano alla ricerca scientifica come se, ogni scoperta, fosse autorizzata a stravolgere l'equilibrio e l'armonia del cosmo; esempio con l'embrione modificabile a mio avviso, nullifica l'umano e lo trasforma in un attraente-mostruoso per gli scienziati. La virtù della conoscenza di sé ed il limite che si pone a contatto con l'oracolo - nulla di troppo - invita a liberare l'individuo dall'egoismo del solipsismo; in forma olistica, tale liberazione, partecipa alla vita della polis senza escludere l'esercizio della contemplazione dell'universo. L'essere intrappolato nel "non limite" dell'individualismo eccessivamente liberista (definito anche pauperistico) alimenta uno stato futuro di permanete caducità. Per cui bene venga la conoscenza di se stessi a fronte di un limite senza il quale, le prossime generazioni, potrebbero fare i conti con una natura completamente stravolta e pericolosa anche per la civiltà. Il testo della Frisina, è un concentrato di spunti culturali che andrebbero amplificati; meriterebbe anche da parte mia più attenzione ma, il buon consiglio che pone al centro - la consapevolezza dei propri limiti - m'invita a lasciare spazio ad altri studiosi, che hanno in serbo commenti e speculazioni più affini alla discussione del presente saggio caro ai classici ed alla mitologia. Lascio quindi spazio ad altri e, nel ringraziare l'amico e poeta Nazario Pardini per l'invito a partecipare, in seno a Leucade, auguro a tutti buon viaggio. Miriam Luigia Binda (28 aprile 2016)

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    1. Bellissima poesia Miriam Luigia, in piena sintonia direi anche.E grazie delle tue parole di ulteriore riflessione intorno a questa ricerca comune e senza fine...

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  6. Mi risulta piacevole non solo seguire l'amica Giusy Frisina nel suo suggestivo itinerario greco ma anche scoprire, al termine del suo commento a Vito Lolli su " L'inizio che fu la fine", che poi nei fatti reali e nelle potenzialità umane questo Inizio non può essere diventato fine, nonostante la sua apparente distruzione e morte, e che l' Essere, come rivelazione sapienziale resta nel tempo e nella storia come pure rimane l'ancoraggio e il ricorso al mito e alla fase onirica del nostro esistere. Varie le tesi seguite dalla Frisina nella sua esegesi critica, tutte piene di fascino e poesia, ad iniziare dal : " due-che-si-fa-uno con l'affermazione del Logos sul Mito, la perdita della visione estetica e la fase dell'oblio dell'Essere, all' uno-che-si-fa-due attraverso il recupero della contrapposizione e del dubbio. Poi una lunga carrellata di luoghi e divinità chiarificatrici del pensiero greco circa l'armonia del cosmo fino a giungere alla questione della soggettività e dell'individualismo opposto alla polis greca che contrassegna il tempo della modernità. Non meno interessante, anzi a mio avviso fondamentale per l'uomo per riprendersi il suo stato di coscienza superiore e la profonda comprensione della propria identità, la questione della sua identificazione col divino, acclarata dalla apparizione sulla terra di Gesù e dunque l'uomo che si fa a immagine di Dio e così giungere al fine al concetto assoluto di Bellezza, ossia dal caos al cosmo. E dunque con Apollo e Dionisio, le arti, la danza, ecco che ripartiamo dal due-che-si-fa-uno nella meraviglia dell'eros platonico come afferma l'autrice. Altresì affascinanti e consolatorie per tutti noi le sue argomentazioni sulle immagini di Cristo e sul suo lato femminile e dionisiaco, da cui poi scaturiscono le successive concatenazioni nella quali il binomio Platone-Cristo si ritrova in Sant'Agostino e in San Francesco d'Assisi per riaffermare ancora una volta che il messaggio dell'inizio non è la sua fine. Tutto questo a dimostrazione a mio avviso che, nonostante la sempre maggiore liquidità della società umana, la perdita della propria interiorità, la sterilità del pensiero creativo e la razionalizzazione totalizzante con le politiche dell'opportunismo più spietato, resta intatto nello scorrere dei secoli e col suo intenso, indescrivibile aroma il territorio incontaminato dell'anima, della purezza dell'amore e della poesia, dove, come poi scrive Giusy, proponendo l'immagine del piccolo Dioniso in braccio ad Hermes, si scopre un universo maschile che ritrova equilibrio, valori di pace, tenerezza e gioia di vivere. Ma questo, a patto, come conclude, che la bellezza di queste immagini non venga offuscata da una strenua razionalizzazione del pensiero tanto accattivante per legarsi al progresso e alla fatua affermazione quanto inutile per riconoscersi nella vera dignità di sentirsi esseri umani.

    Carmelo Consoli

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  7. Grazie Carmelo per il tocco morale e profondamente religioso della tua lettura!

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  8. Nel complimentarmi vivamente con Giusy Frisina per questo saggio che punta a rammentare le origini armoniche della cultura greca e occidentale, sento il bisogno di fare alcune puntualizzazioni. Che l'uomo sia sempre uomo e che, sotto tale riguardo, gli inizi non possono avere fine equivale a dire che l'uomo non è mai stato uomo, per cui anche la sua fine è perenne (come sembra detto nel Genesi), fin dai suoi albori. Personalmente preferisco pensare ad un movimento oscillante e ciclico che esce e rientra rispetto agli inizi edenici dove tutto è collaborazione, equilibrio, armonia (intesa, questa, come armonia di contrari). Per venire al mondo greco credo debba distinguersi nettamente il periodo più arcaico, mitico-sapienziale, di ascendenze micenee, come dice la Frisina (dove l'indiscussa potenza mascolina degli Atridi conviveva con la grandissima importanza concessa alla figura femminile), dalle successive elaborazioni schematiche e logico-razionalistiche del pensiero che non appartengono soltanto all'universo maschile, ma anche a quello femminile se pensiamo alla cultura saffica non meno tragica ed unilaterale. Il bifrontismo è invece sempre presente nei miti aurorali (si pensi ai culti neolitici e prenuragici attenti all’allineamento Terra-Cielo, alla collaborazione della Dea Madre con il Dio Toro, similmente ai simboli taoisti dello Yin e dello Yang). Tutti i miti delle origini parlano di questa alleanza e di questa impervia armonia che risponde a quella visione profondamente interiore e misterica della vita magistralmente espressa nel motto socratico e delfico del "conosci te stesso". L'Apollo e il Dioniso delle origini non sono altro, in fondo, che simboli della Materia e dello Spirito di cui ogni singolo individuo è formato e di cui nessuno può fare a meno, pena la propria lacerazione. Ed è infatti nel momento in cui la visione esteriore e schematica del mondo prende il sopravvento su quella interiore che tra Apollo e Dioniso inizia quel clima di conflittualità che condurrà il pensiero greco verso forme di razionalismo refrattarie e addirittura allergiche al mistero, preferendo l'armonia dei simili all'armonia dei contrari. L'omosessualità ovviamente non c'entra, se non in minima parte, in questa argomentazione. Essa ha radici molto più complesse che non è il caso di analizzare in questa sede. Ciò che qui mi preme sottolineare è che l'avvento della filosofia razionalistica nel mondo greco, e successivamente anche cristiano, soppianta la visione misterica e mitico-sapienziale delle origini che spinge i contrari a collaborare tra di loro, instaurando un modo di pensare che divide e separa il maschile dal femminile, la luce dalle tenebre, il cielo dalla terra ed ogni altra coppia di opposti in armonia. Sta qui l'inizio della fine di cui parla Vito Lolli, e che io condivido nonostante alcune differenziazioni (non irrilevanti) che non è il caso di ribadire in questa sede. C'è tuttavia da aggiungere che la storia è ciclica e non lineare, per cui la fine muore sempre nell'inizio e l'inizio sorge sempre dalla fine. Ciò è vero nella storia collettiva, ma tanto più in quella individuale (in particolare se trattasi di individui creativi), dove in continuazione si muore e si rinasce dalle proprie ceneri come l'Araba fenice. Si sbaglia a confondere l'individualità con l'individualismo, come mi sembra asserisca anche Giusy Frisina, se è vero che esistono individui generosi e magnanimi, aperti ai venti universali. L'universalità è nell'uomo stesso, è la sua scintilla divina: quella sua coscienza misteriosa e profonda che lui non potrà mai afferrare, ma con la quale potrà sempre entrare in sintonia. Purtroppo l'universale, nella visione esteriore (e possiamo dire anche greca) della vita, viene invece svilito al pubblico consenso, ad un'idea politico-sociale dell'esistenza che - sono certo - l'incompreso Socrate non avrebbe mai condiviso.
    Franco Campegiani

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  9. Ringrazio di cuore Franco Campegiani per avermi prestato tanta attenzione, dandomi così la possibilità di riflettere sulle sue osservazioni critiche e di poter fare alcune precisazioni. Forse ho tralasciato la visione ciclica della storia - pure molto greca a partite da Anassimandro e poi da Eraclito, con i contrari che proprio opponendosi l'uno all'alto creano armonia - ma solo perchè, come bene ha osservato Giuseppima Di Leo, il mio percorso, più che un'analisi antropologica sul destino dell'umanità ( quest'ultimo a mio avviso alquanto imprevedibile) voleva essere la traccia di un viaggio negli archetipi della nostra mente, alla luce di alcune immagini illuminanti del mondo greco. E'questo forse un modo "analogico" - più che "logico" - di pensare... In qualche modo l'esteriore è per me una metafora dell'interiore e tutto il nostro vissuto ha valore solo se può tradursi in una chiave di interpretazione che provi a dare un senso a quello che ci accade, al di là della nostra esistenza animale. Come diceva Paul Ricoeur, l'uomo è un'animale simbolico, è questa la sua peculiarità , se la mente non è altro che un laboratorio di immagini, a cui segue la tanto esaltata e vituperata "parola". Il fatto è che comunque ci portiamo dentro tutto, ma che non sempre riusciamo a ritrovare il bandolo della matassa. Sono tuttavia d'accordo con con Vito Lolli , solo ritengo che si tratti non di fine ineluttabile ma di una pericolosa "tendenza" a dimenticare la preziosa unità dei contrari. E proprio per questo faccio riferimento ad alcuni personaggi e messaggi sapienziali che "fatalmente" ritornano o riemergono, proprio quando meno ce lo aspettiamo...e non è pensiero magico, ma possibilità di meditare, soffermarsi, sttingere alla infa vitale che è dentro ciascuno di noi. Quanto alla polis greca e al problema dell'Universale, volevo notare come lo stesso Socrate denunciando la degenerazione democratica indicasse nella ricerca del "concetto"(e mi perdoni Nietzsche che proprio su questo punto lo ha criticato, ma poi da qui dovremmo ricominciare daccapo tutto il discorso...) la possibilità di ritrovare ,attraverso il dialogo,valori condivisi da tutti, tra Mithos e Logos.
    Giusy Frisina

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    1. Il viaggio negli archetipi conduce verso quella visione interiore della vita che non ignora l'esteriorità ma la considera specchio dell'interiorità. Dire che l'uomo è un animale simbolico significa nominare quella dualità e quel mistero, quell'armonia dei contrari che i razionalismi filosofici della più svariata natura hanno sempre osteggiato o cercato di travisare. Condivido in toto il pensiero che questa non sia "una fine ineluttabile" ma solo "una pericolosa tendenza" culturale, ed è per questo che parlo di ciclicità. La possibilità di "attingere alla linfa vitale che è dentro di noi" è sempre aperta e disponibile, ed è questa considerazione ad allontanarmi da Vito, di cui pure condivido moltissimi spunti. Ottimo l'esempio di Francesco d'Assisi, ma che dire dei tanti anonimi personaggi della vita popolare(e qui rimando ai miei articoli su 'U Pazànu") che la storia non ricorda ma che pure offrono piccole tracce indelebili di quella saggezza immarcescibile che viene dalla Creazione universale? Si tratta di ignari maestri di quel dialogo interiore che punta alla ricerca del daimon: di quella verità interiore che Socrate (indebitamente travisato come fondatore dell'attività teoretica) pone a fondamento di una sana vita sociale.
      Franco Campegiani

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    2. Siamo perfettamente d'accordo allora

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  10. Come in precedenza ho fatto, non voglio entrare nella questione filosofica, convinto - con Campegiani - che "quel mistero, quell'armonia dei contrari che i razionalismi filosofici della più svariata natura hanno sempre osteggiato o cercato di travisare" nuoccia fortemente, non soltanto all'uomo, ma all'intero benessere del Creato (e non c'è necessità di rifarsi al pensiero moderno; si può risalire fino al cosiddetto peccato originale: "contraddizione in termini", a mio modo di vedere -).
    Ma, come asserito in apertura, non intendo approfondire la questione dal punto di vista filosofico, inevitabilmente razionalistico; per cui mi limiterò a dire che il pericolo non è "quello di far diventare tutte queste immagini evocative (immagini poetiche dunque)..." e neppure quello di
    "vedere in ogni immagine un passaggio da superare in nome di un progresso di pensiero che possa staccarsi definitivamente da questi attimi di illuminazione...": cioè il suo contrario. la minaccia (molto, ma molto più reale) sta nel continuare a dividere, a separare ciò che - colla degli universi - insostituibilmente unisce.

    Sandro Angelucci

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  11. È illuminante la tua narrazione sul viaggio iniziatico, chiarisce il senso di una appassionata ricerca che è un sapiente “errare”. Credo che, per ogni interrogativo, le risposte, già presenti nel tuo colto bagaglio fatto di storia, di filosofia, di psicologia, teologia e quant’altro, abbiano trovato conferma ad ogni passo, in ogni tappa di quel viaggio e, se ciascuno è un microcosmo da conoscere, l’itinerario che hai percorso a te sia servito per riconoscerti. Fin dall’inizio tu cogli la sintesi greca di ordine e misura immaginando di varcare quella porta che, insieme con la potenza maschile, richiama anche l’importanza data, da un’antichissima civiltà, al ruolo femminile. Singolare l’accostamento che fai tra la misteriosa Diotima del Simposio e l’adultera del Vangelo: entrambe sanno qualcosa sull’amore che restituisce bellezza e dignità e a me viene in mente il versetto: “Le sono perdonati i suoi molti peccati perché ha amato molto…”. È vero che qualcosa si spezza o viene meno allorchè il Logos avanza e il Mito regredisce: al dubbio, alla ricerca, al pluralismo, alla libertà si sostituiscono – almeno in una data visione religiosa – il dogma e il totalitarismo. Eppure il Mito non sparisce, non può sparire completamente se ancora oggi viene chiamato in causa, se ci serve a far luce su tante verità che riguardano la vita dei nostri maggiori, l’interpretazione del loro mondo. (E anche del nostro). Una vita e un mondo pieni di dei, di sacri luoghi dove gli uomini sono invitati, come avviene a Delfi, a conoscere, a cercare se stessi e la scintilla divina che ognuno ha in sé. I richiami alle forze complementari della psiche, ai valori di pace e di equilibrio, alla luce di verità e conoscenza, alla Divinità che tutti accoglie rivelano il desiderio che ancora si possa accendere, che possa rimanere accesa quella scintilla divina. Te lo auguro, Giusy e ti abbraccio
    Maria Rosa Grillo

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    1. Che bello il tuo commento Maria Rosa! E’ proprio vero che abbiamo bisogno del punto di vista dell’altro per riuscire a vedere con più chiarezza quel che pure già sappiamo. Le tue parole gettano un fascio di luce su una strada vecchia e nuova su cui ci incamminiamo come trasognati , guidati dal dèmone interiore. Grazie anche per aver notato il legame tra Diotima e l’adultera, nell’essenziale ricerca comune dello stesso Volto, della stessa luce divina. Un caro abbraccio.
      Giusy

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  12. Leggo con piacere la riflessione di Giusy Frisina su Mithos e Logos, a seguito del suo viaggio compiuto in Grecia. Ho percorso anch’io anni fa il brullo territorio che ha ospitato una delle Civiltà più raffinate al mondo. Veleggia la Parola ancora su quegli scogli, su quelle pietre: negli occhi dei contadini ancora perdura il lampo di tutti i drammi consumatisi nel corso di una ricca Antichità. Che dire? Qui il Bene e il Male, non sono abbellimenti estetici, ma carne che duole: Miti sepolti come la vipera ai piedi dell’ulivo. E’ così certamente. E lo dico dimenticando ogni aspetto verbale in nome di un senso del Destino che porto in me fin dall’adolescenza. Edipo mi è vicino e Cassandra pure, e così Prometeo, e ogni figura del Passato fino a Cristo il Demente, che con il suo vicolo cieco ha decretato la fine della dignità dell’uomo di fronte a Dio e al Mondo.

    Alla base di ogni Mito mi sembra vi sia una forma di lotta con l’Autorità Suprema. Le implicazioni di ciò non credo siano state ancora attentamente vagliate. Nonostante i poderosi e innumerevoli studi, solo pochi si sono avvicinati al significato “Verboten” del Mito. “C’è Qualcosa che Qualcuno non vuole che sia riconosciuto e discusso”.

    Ciò che dovrebbe essere discusso, che l’Eroe vorrebbe discutere, è la discrepanza fra le fondamenta del Creato e le forme umane che ne dovrebbero reggere l’incanto - e di come ciò non accada – e il non accadere si realizzi e perpetui. Il Mito è anche e sempre l’espressione di un Dolore, dolore individuale e supremo, nobile e indiscusso. Solo il Singolo può soffrire per il Mondo.

    La Società, nei suoi componenti e nel suo insieme, non conosce, non può vivere di Miti, non di quelli antichi perlomeno: troppo impegnativi! l’unico alla sua portata essendo quello moderno, il denaro. Essa vive una vita mezzana – una vita di Riti. Dietro il Mito, potente c’è il Padre, Tiranno e Servo, che inculca nel Figlio il veleno dell’orgoglio del dio generante: sedicente trionfatore del Mondo – semplice portatore invece di sperma.

    Credo che il nucleo del Mito, poggi sul problema atemporale dell’adattamento, del conformismo. Il Mito descrive le pene spettanti al Ribelle, al Creativo – l’unico che il Potere tema, perché l’unico che ne legga il Tema. Il Mito esiste da sempre e per sempre, espressione della “non fratellanza” e del “disonore” dell’uomo comune di fronte a chi si affanna affinché sia innalzato il suo livello, perché sia sempre più gloriosa ogni giorno l’alba.

    L’improbabile di oggi è la realtà di domani: solo tre secoli dividono l’improvvisata forca sulla pubblica piazza, da un’aula di tribunale con l’aria condizionata. Ma questo è dovuto solo a chi si appassiona, a chi freme – a colui per cui il Tempo è sempre in ritardo - “Per dire che assassinato il vero Re, perché troppo magnanimo. E tenuta nascosta la notizia”.




    (Emidio Montini)

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