martedì 2 maggio 2017

AURORA DE LUCA LEGGE: "PLACOR" DI ALFONSO ANGRISANI

Aurora De Luca su ALFONSO ANGRISANI, Placor, StreetLib, Ottobre 2016, Vignate (MI)
PLACOR ovvero del TROPO Placor

Aurora De Luca,
collaboratrice di Lèucade

Poesie nella dimensione di un tempo diverso. In cerca di segnali ed emozioni di ritorno. Mettere una persona davanti alla propria ombra equivale a mostrarle anche ciò che in essa è luce. C.G.JUNG La lettura di Placor è straniante come può esserlo la fusione della mitologia classica a quella moderna, come può esserlo il riuso di immagini topiche in ambientazioni ultra moderne. La letteratura di Placor è straniante perché si fonda sul tropo, ovvero dal greco trópos, derivato da trépō, «vòlgo, trasferisco».

Metronimia

La città incrocia i miei pensieri
così come si incrociano le tangenziali così come si disegnano le croci

e confonde
compone e scompone
ogni giorno i suoi colori e veleni
dietro vetri scintillanti od opachi di povertà

sono il tuo pedone
tu sei la mia Regina
a cavallo di quali motori andremo oggi verticalizzando tra negozi e semafori
fra accordi raccordi di razionale bellezza

i miei pensieri incrociano la città
così come incrocio le strade
e disegno in A4 la mia croce_
p.10  

Metronimia che è l’uso della metonimia nella vita quotidiana: [Avviene in base alle relazioni causa/effetto e contenente /contenuto e attraverso molte altre inferenze possibili collegate alle prime]. Essa è un tropo in quanto sovvertirebbe le attese del contesto in cui viene inserita. Per questo Placor è straniante, in qualche modo soverchiante, perché «Le parole dicono le cose / ma non sono le cose» (Le cose, i segni l’amore, p.29). E in più, oltre all’uso astuto e poetico di tropoi e al cadenzato ritmo rimico, vi è un intenso recupero di topoi, dall’epica eroica a quella odeporica, che fino a noi, dal primo viaggio d’Odisseo da Itaca a Itaca, è giunta, discendendo da Virgilio a Dante fin negli inferi più oscuri e tormentanti e salendo, nel contempo, prima in un olimpo pagano poi in uno Celeste. Si tratta comunque di un riuso implicito e nascosto, come avviene per il tema della rosa (che ha invero radici elegiache e poi tardoantiche): ricostruita anche nella forma, la rosa perde ad ogni verso un petalo, ovvero una parola, finché non ne resta nient’altro che l’essenza (Una rosa nascosta, p.11). Bella è la messa in scena di chimere mitologiche come l’Idra della poesia, o delle magiche Ali di Dedalo, qui messe in vendita da un anonimo artigiano: «[…] in questa bufera / senza stelle e senza bussola / dove ognuno vaga / con la sua nera o rosa chimera / là dove nel mistero del cuore / si perde ogni certezza» (La Chimera, pp.13-14). Cito un testo, che in sé riassume molte tradizioni:

Ulisse in città

Mistico rosa del mattino
camion passano come bestiami
a mezza strada tra la città
e il cielo

non ho più bisogno
di chiudere gli occhi
per credere
non ho più bisogno
di allargare le braccia
per volare

le stelle andate
il fresco nelle valli
freme d’attesa tutto l’orizzonte

un canto di sirena questa febbre dell’andare_
-p.106

Ricompare il mistico rosa Dantesco, allorquando i due pellegrini, dopo l’oscura discesa-visione negli inferi, risalgono a ‘riveder le stelle’; vi è la fusione dell’immaginario bucolico con la realtà metropolitana contemporanea, fino a rievocare il coraggioso balzo nel vuoto del giovane alato: qui egli non è solo Dedalo, ma nel contempo è Ulisse, richiamato al volo dalle sirene. È una poesia dotta e metamorfica, che da un sembiante passa ad un altro camuffandolo con apparentemente assoluta semplicità espressiva. Fortemente ancorata all’esperienza giornaliera, tristemente resa impoetica dalle frenesie e dalle nevrosi, la poesia di Placor mette in melodia per l’appunto Metromorfismi. Se fosse semplice tutto questo non potrebbe starci: dunque non è semplice, è leggero. Placor discende nelle cose, attraverso le parole, con penna leggera e sorridente, ironica e rimata, come fosse il canto d’un aedo che voglia svegliare la propria corte. Ed è una corte tutta umana, piegata alle leggi della propria natura. In luogo di Cloto, "io filo", di Lachesi, "destino", e di Atropo "inflessibile”, le tre Moire greche (o Parche Romane, o Norne Norrene) personificazione del destino ineluttabile, compaiono, in Placor, Tre Persone di Città: l'illusionista, il tornitore e il venditore di pezzi d’ombra e di cipressi. Non mancano neppure la poesie aritmetiche, di sillogismi matematici, quelle che cantano di Riduzioni triangolari al monossido o di Asimmetriche Sottrazioni; mettono in pratica, ed anche in struttura, la tecnica della riduzione finché del testo, che Aurora De Luca 4 è sinonimo di vita, non resta null’altro che un ‘riducendo’: ovvero un gerundio, un’azione che non si arresta. Dunque Placor è una lettura che ripropone, stravolgendolo, il nostro immaginario poetico, sicché ci sembra di trovarci in luoghi già percorsi, ma senza poterli riconoscere, come quando non sappiamo associare al volto un nome pur avendo l’inconscio sospetto di conoscere sia il nome, sia il volto. Eppure è uno stravolgimento senza boati, fluido, senza virgole, senza punti fermi, senza asprezze, ma anzi fatto di rime che ritornano, di assonanze, di richiami. Sarà perché Plăcor, ˉoris, m., vuol dire piacere, contentezza, soddisfazione, Vulg. E Placo, as, avi, atum, are, 1 tr., vuol dire placare, calmare, rappacificare, riconciliare. Riappacificare il formato Word con l’arte orale, l’anglicismo con il latinismo, l’inferno con il paradiso, la terra con il cielo, la strada aperta con il senso unico, la pausa con l’andare, il mattino con il notturno, le presenze senza nome con le identità, le epoche con le epoche, l’uomo con l’uomo; poiché in effetti «Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà d’un solo momento: il momento in cui l’uomo sa per sempre chi è» -Jorge Luis Borges. (Leggere la Propria Itaca, p.125)


Aurora De Luca

1 commento:

  1. Assolutamente straordinario l'intervento di Aurora come relatrice della serata dedicata a questo libro che tocca infiniti tasti e induce a riflettere e a scendere a livelli metafisici. Ancora grazie a tutti i volontari romani e al nostro magico Nazario!
    Maria Rizzi

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