sabato 13 maggio 2017

M. GRAZIA FERRARIS "IN MEMORIA DI UBALDO DE ROBERTIS"




Ubaldo de Robertis,
collaboratore di Lèucade

Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade

Ubaldo de Robertis, poeta, ricercatore chimico nucleare, membro dell’Accademia Nazionale dell’Ussero di Arti, Lettere e Scienze, nato nel 1942  si è spento l’11 maggio, all’età di 75 anni, a Pisa dove viveva.
Aveva appena pubblicato una ampia Antologia bilingue, inglese italiano con Chelsea Editions, The Rings of the Universe e ricevuto il riconoscimento ufficiale del premio Astrolabio di Pisa.  Nel 2008 pubblicava la sua prima raccolta poetica, Diomedee, e nel 2009 la Silloge vincitrice del Premio Orfici, Sovra (il) senso del vuoto. Nel 2012 editava l’opera Se Luna fosse… un Aquilone; nel 2013 I quaderni dell’Ussero.  Nel 2014: Parte del discorso (poetico). Sue composizioni sono state pubblicate su: Soglie, Poiesis, La Bottega Letteraria, Libere Luci, Homo Eligens. È stato autore di romanzi Il tempo dorme con noiL’Epigono di Magellano, 2014, e di numerosi racconti inseriti in Antologie.
Ha scritto e collaborato con importanti blog letterari, dove ha trovato spazio e riconoscimenti, tra questi anche Alla volta di Leucade. Io stessa ho commentato alcune sue composizioni come:   Biscuit (da Diomedee, Edizioni Joker 2008), una poesia giovanile, evocativa,  che si immerge  tra i “piemontesi” tra splendide evocazioni di atmosfere gozzoniane: la consolle rococò, la ballerina infinitamente danzante che si spezza senza consolazione alcuna, biscuit dolce, e sentimentale come sapeva essere Etienne Falconet, il suo creatore…tra singhiozzi e lamenti corazziniani: “Vous n’avez pas entendu, tout ce que j’ai perdu,…laisse moi…mourir”, ironici, ma da canzonetta. Sentimenti ambigui di nostalgia e ironico distacco. Intelligenza che gioca col sentimento. Uno splendido ricordo del Maestro Guglielminetti, dei suoi studi, del lavoro di chi ci ha preceduto e aiutato ad ammirare la forza potente della poesia.
Ed anche Ad immagine dell’infinito, pure pubblicata su Leucade, dove presenta l’Inquietante immagine del tempo –infinito- che noi ci ostiniamo a misurare a misura nostra, di piccoli uomini, con la clessidra: Nietzsche e Borges a confronto… Illusione che il congegno che misura e ci misura si spezzi, si rompa, ci dia una via di fuga. Il sottomondo, vasto, ci attira, ci invita: una via stretta per un’apertura nuova di possibilità che si sovvertiranno ogni volta,-cieli variabili, situazioni nuove-  inevitabilmente e per sempre.
Tempo perduto o ritrovato? Omini di niente siamo,  che occupano posizione di niente eppur insistentemente e freneticamente al lavoro per dare senso al tempo infinito, alla parola, al nostro consistere. L’abbandono fluente ed inarrestabile di ogni certezza e sicurezza è veramente la soluzione, la goccia di miele di conforto del nostro esistere? Una metafora della vita e della morte, eternamente riproponentisi, un ripensamento inquieto del nostro esserci. Ad immagine dell’infinito.
Commentando una mia poesia-Girasoli- mi regalò perfino  alcuni suoi versi sullo stesso tema, che terminavano con un verso sintetico, quasi preveggente, memore del suo passare e del suo voler essere ricordato:
“Le povere consumate notizie di me stesso”. (I girasoli).
Non era poeta autobiografico, eppure alcuni versi lo ricordano nel profondo della sua problematica personalità e possono essere letti come tali:

Ho quasi consumato
la materia di cui sono fatto
ricadrò in avanti o all’indietro
dopo aver compiuto
il massimo tragitto
fortemente curvato
sprofonderò su di me
crollerò sotto il peso
delle mie ossa
e non potrò sfuggire
nulla di me potrà uscire
da quella porta
si può solo entrare
neppure la luce
di cui erano fatti i miei occhi (Parti del discorso poetico)

Il poeta entra e non solo metaforicamente nel silenzio e la sua parola ormai confina con la morte.
Lui… non le stacca gli occhi di dosso
– Com’è cupo il tuo silenzio – le dice chiamandola con molti nomi
“È rotta, – ripete Lei- ahimé! È rotta! L’anfora più bella!
Ne sono sparsi i frammenti qua intorno!”(L’anfora)

La  scelta poetica espressiva dell’immagine dell’anfora rotta, anticipatoria –volontaria e involontaria- e del conseguente  silenzio da parte del poeta è coinvolgente e commuovente. Ripropone la modernità e la sapienza poetica di questo amico e Autore che ci ha lasciati e che vorrei umilmente e certo non sufficientemente ed adeguatamente  ricordare.

 Maria Grazia Ferraris


5 commenti:

  1. Forse è il caso di menzionare anche il suo bellissimo romanzo "L'epigono di Magellano", tra l'altro uno dei primi che ho avuto l'onore di presentare nella mia trasmissione radio. Grande libro! Grazie Ubaldo!
    Claudio Fiorentini

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Riposi in pace il caro Ubaldo de Robertis, Poeta raffinato e vero signore nei modi.
    Ave atque vale!
    Giorgina Busca Gernetti

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  4. Non ho avuto il piacere e l'onore di conescere Ubaldo de Robertis se non attraverso questo blog; ciò non mi esime di esprimere il mio sentito disappunto per la Sua, credo improvvisa, sconparsa. Quando viene a mancare un collaboratore di Leucade è, per noi quequentatori, una perdita incolmabile. Pasqualino Cinnirella

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  5. "E' rotta, - ripete Lei - ahimé! E' rotta! L'anfora più bella! Ne sono sparsi i frammenti qua intorno". Stupenda citazione, questa di Maria Grazia Ferraris, per ricordare "la modernità e la sapienza poetica di questo amico e Autore che ci ha lasciati". La sua poesia frammentaria non pone fuori gioco l'universale, anzi ne scorge la luce appunto frammentata in ogni tessera dell'immenso mosaico. Sono a tutti noti i suoi interessi scientifici professionali e i riferimenti alla fisica subatomica, nel suo caso, sono quanto mai appropriati, ma i veggenti di ogni luogo e tempo hanno sempre definito quegli elementi invisibili ed impalpabili - quelle che oggi chiamiamo "particelle" - come "coscienza universale". A parer mio, è giunto il tempo che la cultura riscopra quella sapienza arcaica, quella conoscenza che ha sempre alimentato le sorgenti più remote (e sempre attuali) del mito. Non sto dicendo di tornare alla mitologia, ma di attingere a quel serbatoio mitopoietico, a quel laboratorio creativo universale, a quel mistero profondo e intelligente cui tutto il vivente è collegato. Nel mito, in nuce c'è tutto: arte, poesia, religione, filosofia e scienza, non ancora entrate in competizione tra di loro per smanie di egemonia. Con Ubaldo ci intendemmo su questo punto, quando egli comprese che, difendendo il mito, io non intendevo denigrare la scienza, bensì, al contrario, evidenziarne l'essenza più pura. E' una poetica della frattura, la sua. E tuttavia una poetica profondamente armonica, se per armonia intendiamo non l'ordine razionalistico, profondamente arbitrario e disarmonico, bensì l'ordine universale ed implicito, incomprensibile, che governa dall'interno tutte le cose. Quell'interiorità che non ha nulla a che fare con il solipsismo, ma che è grande compagnia e festa universale. Quell'interiorità che viaggia in territori assai differenti da quelli dell'Io.
    Franco Campegiani

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